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Partorire in mezzo al mare

Constance e suo figlio con Alice Gautreau, ostetrica di Medici senza frontiere. (Dónal Gorman, Msf)

Quando i soccorritori si sono avvicinati alla piccola imbarcazione di legno che trasportava circa cento persone in mezzo al mar Mediterraneo hanno visto dei piedini spuntare da sotto una coperta.

Con la radio di bordo hanno avvisato i medici sul ponte della nave Aquarius della presenza di un neonato tra i naufraghi. “Prendete il bambino”, ha detto una voce alla radio. “Impossibile, il bambino è ancora attaccato con il cordone ombelicale alla madre”, hanno risposto dal gommone.

Constance, una donna del Camerun di 22 anni, era mezza nuda al centro dell’imbarcazione, stretta tra gli altri. Teneva il bambino appena nato avvolto con una maglietta che qualcuno le aveva prestato. “Abbiamo cercato di coprirla con delle coperte e l’abbiamo portata prima sul gommone e poi a bordo”, racconta Rocco Aiello, uno dei soccorritori di Sos Méditerranée.

Entrare sotto coperta nella nave Aquarius è come scivolare nella pancia di una balena: corridoi lunghi, scale ripide e strette conducono nelle piccole sale che sono usate dai medici per visitare i migranti soccorsi in mare. Il cuore della nave è una stanza rettangolare con i pavimenti di linoleum grigio, in cui vengono portate le donne e i bambini. La chiamano shelter, rifugio. Nel rifugio gli uomini non possono entrare.

Duemila dinari
“Dopo che Costance e suo figlio sono stati trasportati a bordo abbiamo tagliato il cordone ombelicale e abbiamo aiutato la donna a espellere la placenta. Constance aveva partorito da sola in mezzo al Mediterraneo senza nessun aiuto qualche ora prima. Nonostante tutto, le condizioni di salute della mamma e del bambino erano ottime”, racconta l’ostetrica.

Costance ha chiamato suo figlio Christ e ha raccontato di aver cominciato il travaglio poco dopo essersi imbarcata. La traversata è durata più di nove ore e durante il viaggio il motore si è spento diverse volte facendo temere il peggio. “Sulla barca erano quasi tutti siriani, c’erano alcune donne, ma non si riuscivano a muovere per aiutarmi a partorire, gli uomini mi guardavano, ma non parlavano una parola di francese”, ha detto Constance ai medici dell’Aquarius.

La donna che ha dato alla luce il suo primogenito ha raccontato di essere scappata da un centro di detenzione in Libia, nel quale era stata rinchiusa per tre mesi insieme a suo marito Yannick. “Sono riuscita a scappare perché il guardiano della sezione femminile della prigione si era addormentato e aveva lasciato la porta aperta, ma mio marito è rimasto nel carcere e non sono riuscita ad avvisarlo della mia fuga”, ha raccontato Costance.

“Nella cella con me c’erano sei donne, dal Camerun, dalla Costa d’Avorio, dal Ciad. I libici venivano nella cella le picchiavano e le violentavano mentre chiamavano con il cellulare le loro famiglie. Chiedevano dei soldi. Una ragazza ivoriana ha fatto mandare dalla famiglia duemila dinari, mentre la ragazza del Ciad cinquemila dinari. Ma i libici non erano mai contenti”.

Tra le donne soccorse in mare almeno il 10 per cento sono incinte

Constance e suo figlio Christ sono stati soccorsi il 12 luglio al largo della Libia, insieme ad altre 86o persone che viaggiavano a bordo di gommoni e precarie imbarcazioni di legno. Per l’equipaggio della nave Aquarius si è trattato del quinto bambino nato a bordo dall’inizio delle operazioni di salvataggio nel 2015. “Quando un bambino nasce sulla nave, il medico di bordo deve fare il certificato di nascita che viene firmato anche dal capitano della nave. Tecnicamente il bambino è nato a Gibilterra, per via della bandiera della nave”, spiega Alice Gautreau, l’ostetrica di bordo.

Le donne dell’Aquarius
“Tra il 10 e il 20 per cento delle persone soccorse in mare sono donne e di queste almeno il 10 per cento sono incinte”, spiega Gautreau, che è responsabile del rifugio dedicato alle donne e ai bambini all’interno della nave. “Le navi di Medici senza frontiere nel Mediterraneo sono le uniche ad avere delle ostetriche a bordo proprio per garantire un’assistenza alle donne”. La maggioranza delle donne che vengono soccorse è di origine nigeriana.

Gautreau ha 28 anni e viene da un piccolo paese dei Pirenei francesi, Porté-Puymorens. Prima di lavorare sulla nave umanitaria Aquarius è stata in missione nella Repubblica Democratica del Congo e nel Regno Unito. Dice di aver desiderato fare l’ostetrica da quando aveva sette anni.

Di solito le donne che vengono soccorse sono in buone condizioni di salute, alcune sono disidratate dopo molte ore di navigazione, ma Alice Gautreau le definisce “delle guerriere”. “La nostra principale preoccupazione è che le donne e i bambini non si prendano infezioni, perché hanno viaggiato in pessime condizioni igieniche”, spiega Gautreau.

Molte donne subiscono violenze sessuali in Libia, e alcune di loro rimangono incinte dopo uno stupro. “Quando le donne entrano nel rifugio parlo loro delle violenze sessuali in Libia e della possibilità che alcune di loro siano vittime di tratta. Dico loro che so che cosa possono aver vissuto e le incoraggio a parlare con me o con Noor, senza forzarle”, racconta Gautreau. “Un’ostetrica deve comportarsi come un’amica”, spiega.

L’ostetrica spiega alle donne vittime di violenza che in Italia l’interruzione di gravidanza è legale entro il terzo mese e che se vogliono, una volta arrivate nel paese, possono chiedere di abortire. “Il problema è che l’Italia è un paese molto conservatore rispetto all’interruzione di gravidanza e per molte donne che hanno superato i tre mesi è un problema”, spiega l’ostetrica.

“Di solito io sono il primo medico che incontrano da quando sono rimaste incinta, in Libia infatti non esiste nessuna forma di assistenza medica”, racconta Gautreau. “Mi chiedono quello che mi chiederebbe qualsiasi madre: se il bambino sta bene, quanto è grande. Ascoltiamo insieme il battito cardiaco e quello è un momento molto dolce. La cosa più importante per me è farle sentire speciali, perché lo sono”, conclude.

Questo articolo fa parte di un diario che racconta la vita a bordo dell’Aquarius, una delle navi impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo centrale.

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