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Che fine hanno fatto i rifugiati di piazza Indipendenza?

Gemma Vecchio, fondatrice dell’associazione Casa Africa, a piazza Madonna di Loreto, Roma, 28 agosto 2017. (Andrea Ronchini, NurPhoto/Getty Images)

Si appoggia a una stampella per camminare, zoppica ma non ha perso la sua determinazione. Quando Gemma Vecchio – sessant’anni, occhi verdi e foulard colorato intorno alla testa – arriva davanti a palazzo Valentini, sede della prefettura di Roma, un gruppo di ragazzi eritrei le corre incontro. “Come stai Mamma Africa?”, “Grazie Mamma Africa”, le dicono.

La baciano, la prendono sotto braccio e la portano al presidio degli sgomberati a piazza Madonna di Loreto, proprio davanti ai mercati di Traiano, nel centro di Roma. “Quando mi hanno vista a terra, pensavano che fossi morta e ora sono contenti di vedermi qui, al loro fianco. Appena uscita dall’ospedale sono venuta di nuovo a sostenerli”, dice Vecchio, che viene fatta sedere su una sedia di plastica, all’ombra di un alberello davanti al parco archeologico più grande della capitale.

Mentre era in piazza per sostenere gli sgomberati di via Curtatone il 24 agosto, è stata travolta dal violento getto degli idranti azionati dalla polizia e scaraventata a terra. Vecchio è stata portata in ospedale con un’ambulanza e ricoverata. Aveva lesioni su tutto il corpo, sul naso e alla gamba, ed è stata dimessa il 25 agosto con una prognosi di trenta giorni.

Mostra enormi ematomi sul viso, sulla spalla e sul ventre. “Il mio viso sembra una carta geografica”, sospira. Per i rifugiati eritrei ed etiopi sgomberati da piazza Indipendenza, Gemma Vecchio è Mamma Africa, dal nome dell’associazione che ha fondato qualche anno fa, Casa Africa onlus. “Tutte queste ferite si rimarginano, ma la ferita più grande”, dice, “è che i rifugiati di via Curtatone siano ancora per strada. Porteremo questo caso a Bruxelles se non gli daranno una casa”.

Il posto c’è solo per le donne con i bambini, non ci sono posti per i padri, per le famiglie

Samuel ha quattordici mesi, la madre Michela (nome di fantasia per tutelarne l’identità) gli dà da bere dell’acqua e lo ripara dal sole sotto un gazebo. “Ci hanno offerto di andare in un centro di accoglienza”, racconta Michela, una donna etiope di 26 anni. “Ma il posto c’è solo per le donne con i bambini, non ci sono posti per i padri, per le famiglie. Mio marito dovrebbe rimanere a dormire per strada e io non me la sento di lasciarlo da solo”, spiega. Vivevano nel palazzo occupato di piazza Indipendenza in una camera che era un ex ufficio. Il bagno era condiviso con altre famiglie.

“Non potevamo permetterci un affitto perché, da quando ho avuto Samuel, lavora solo mio marito, quattro ore al giorno”, continua Michela. Dopo lo sgombero, la ragazza, che vive in Italia da sei anni e ha sempre lavorato come collaboratrice domestica, sta cercando una camera in affitto.

“Tutti i giorni cerco una stanza sulle agenzie immobiliari online, ma non è facile. Un po’ perché chiedono tre mesi di cauzione come garanzia e per noi sono molti soldi, un po’ perché quando i proprietari sanno che siamo stranieri non accettano la proposta”. Non è l’unica ad avere questo problema: anche Simon, un altro rifugiato eritreo, che per il momento ha trovato ospitalità con la famiglia a casa di amici, sta cercando da giorni una casa in affitto. “Non è facile come sembra, anche per chi ha i documenti in regola e un lavoro”, dice.

Uno sgombero senza alternative
“Era abbastanza scontato che andasse a finire così, visto che è stato predisposto uno sgombero senza preparare delle soluzioni alternative degne di questo nome”, afferma Luca Blasi, operatore dell’organizzazione umanitaria Intersos. Una parte dei minori sgomberati dal palazzo di piazza Indipendenza sono ospitati nel centro di accoglienza di Boccea e alcuni sono nel centro notturno A28, gestito da Intersos. “Dal 24 agosto quando abbiamo aperto le porte del centro alle donne con i bambini sono venuti all’A28 undici bambini e dodici donne, tra cui una al terzo mese di gravidanza”, aggiunge Maurizio Debanne, portavoce dell’organizzazione. “Poi c’è un papà che sta da solo con la figlia di sei anni, perché la moglie è a Torino. Anche lui è venuto a dormire da noi perché non ci sono altri centri per padri soli in città”, continua Debanne.

“Ora non ci sono strutture che possano accogliere famiglie, così le famiglie sono smembrate: le donne e i bambini dormono nei centri mentre gli uomini dormono per strada. È una delle conseguenze del fatto che non è stato preparato un piano prima dello sgombero”, continua l’operatore di Intersos che seguiva i minori del palazzo di piazza Indipendenza da tempo.

Si sentono italiani, romani, sono completamente integrati nel quartiere

“Qui ci sono bambini che andavano a scuola da anni nel municipio e per loro quello che è successo è inspiegabile. Si sentono italiani, romani, sono completamente integrati nel quartiere e ora si sentono spaesati”, conclude. Chi non ha trovato ospitalità temporanea a casa di amici e connazionali, dorme a piazzale Maslax, dietro alla stazione Tiburtina, dove sorge la tendopoli del Baobab per migranti transitanti.

“Anche da noi mancano tende e materassini”, spiega Valerio Bevacqua, un volontario della Baobab experience. Soprattutto c’è un grave problema igienico-sanitario: “Nel piazzale non ci sono bagni chimici né docce, per cui non possiamo offrire un sostegno completo agli sgomberati”. Una donna etiope sulla sessantina conferma: “Ho dormito per qualche giorno nel piazzale dietro alla stazione Tiburtina, in una tenda. Ho tutti i miei averi in questa borsa che porto sempre con me, vado al bagno nei bar e ogni giorno lavo la biancheria”.

Viveva da sei anni nell’occupazione di piazza Indipendenza e ora non ha amici o parenti che la possano ospitare: “Non riesco più a dormire per terra dal mal di schiena. Stanotte dormo su questa panchina”. Il problema più grande ce l’ha chi lavora: non è facile presentarsi tutti i giorni al lavoro senza avere una casa in cui tornare, poter fare la lavatrice o lavarsi. “C’è un ragazzo eritreo che lavora di notte come custode e di giorno dorme in macchina. Ci sono decine di persone in questa situazione”, racconta una delle volontarie.

Niente scuola
A pochi passi dal presidio degli sgomberati di piazza Indipendenza, nella cancellata della chiesa di Santi Apostoli, sessanta famiglie dormono dal 10 agosto su materassi gonfiabili e in tende da campeggio. Sono stati sgomberati da uno stabile che occupavano a via Quintavalle, a Cinecittà. Una decina di bambini corrono davanti alla chiesa. “Giochiamo a campana, giochiamo a palla, ma se non ci danno il permesso di tornare a casa a prendere i libri tra qualche giorno non potremo tornare a scuola”, dice Andrea, una bambina di dieci anni che dorme in tenda con la famiglia.

Poco più in là, sotto il porticato, una donna è seduta su un materasso gonfiabile. Mari è nata a Lima, in Perù, ma vive in Italia da vent’anni e ha la cittadinanza italiana. È una collaboratrice domestica e lavora quattro ore al giorno a casa di una famiglia romana, suo marito invece ha perso il lavoro nel 2011. “Faceva il custode in un’azienda e da quando lo hanno licenziato abbiamo dovuto lasciare la casa in affitto in cui vivevamo. Pagavamo 700 euro al mese, per questo siamo andati nell’occupazione”, spiega Mari. Hanno tre figli: un maschio e due femmine. La più grande è al secondo anno di università.

Piazza della Madonna di Loreto, Roma, 28 agosto 2017. Il presidio degli sgomberati di piazza Indipendenza.

“Il parroco ci sta aiutando, le altre persone che vivono in occupazione ci portano da mangiare, ma al bagno dobbiamo andare al ristorante e per lavarci dobbiamo chiedere agli amici”, racconta. Al padre che vive a Lima, Mari non ha raccontato che ha perso la casa. “Se mi vedesse in queste condizioni, ne morirebbe”. È molto cattolica, anche per questo non vuole accettare di andare in una casa famiglia e separarsi dal marito. “Per me la famiglia è la cosa più importante e non accetto di andare in un centro con i bambini, lasciando mio marito a dormire per strada”. Vorrebbe che papa Francesco venisse a trovarli a piazza Santi Apostoli. “Lo sentiamo vicino, sarebbe bello se prima di andare in Perù potesse incontrarci”.

I turisti passeggiano con i gelati in mano in un caldissimo pomeriggio di fine agosto, alcuni si scattano dei selfie appoggiati sul balcone che si apre sui mercati di Traiano. Mentre se ne vanno, lanciano delle occhiate di curiosità verso i gruppi di donne e bambini eritrei ed etiopi seduti sulle panchine o in piedi in mezzo al giardinetto di piazza Madonna di Loreto.

Il presidio, che si è formato al termine della manifestazione del 26 agosto, è stato autorizzato fino al 29 agosto. Ma gli sgomberati hanno deciso di prolungarlo fino a quando non riceveranno delle risposte concrete. Il 30 agosto la prefettura ha convocato un tavolo di discussione da cui però non sono emerse soluzioni nuove. L’amministrazione comunale ha offerto 40 posti nei centri di accoglienza per le persone più vulnerabili: bambini, donne incinta, anziani o disabili.

Il ministero dell’interno aveva parlato del possibile uso degli edifici confiscati alle mafie, ma questa opzione deve essere vagliata nell’incontro tra il ministro Minniti e la sindaca Raggi che avverrà il 31 agosto. In un post su Facebook, Virginia Raggi ha confermato che il comune di Roma sta facendo un censimento di questi beni che si concluderà entro il 31 ottobre. Ma ha detto di non essere d’accordo con il Viminale sui criteri di assegnazione degli immobili.

A Roma ci sono circa cento stabili occupati in cui vivono novemila persone

Margherita Grazioli del Movimento per il diritto all’abitare ha spiegato le richieste presentate in prefettura: “Abbiamo chiesto che sia attuata la delibera regionale del 2014 per trovare delle soluzioni abitative stabili alle persone sgomberate”.

A Roma ci sono circa cento stabili occupati in cui vivono novemila persone. “Quando si propongono soluzioni d’emergenza, come posti letto temporanei in centri di accoglienza, sembra che non ci sia la consapevolezza da parte delle istituzioni della crisi abitativa strutturale della capitale che va avanti da anni”. Ma Virginia Raggi ha ribadito che il comune non tollererà nessuna occupazione e che i fondi stanziati dalla regione per l’emergenza abitativa sono bloccati.

Al termine del tavolo in prefettura il 30 agosto, la sindaca Raggi è stata contestata dagli sgomberati e dai movimenti per il diritto all’abitare che le hanno gridato: “Vergogna, vergogna!”. Raggi aveva detto che per ora i posti disponibili sono quelli della Sala operativa sociale: quaranta. “Nel frattempo lavoriamo al tema dell’emergenza abitativa anche con la regione, ma deve essere chiaro che il percorso non può deviare dal corso della legalità e dobbiamo evitare guerre tra poveri”, ha detto Raggi. La comunità eritrea ed etiope riunita in presidio vicino al Campidoglio chiede invece che sia trovata una sistemazione per tutti, non solo per donne e bambini, anche attraverso misure di sostegno all’affitto.

Aggiornamento, 30 agosto 2017, ore 15. La trattativa tra i rappresentanti del presidio, la prefetta Paola Basilone, la sindaca di Roma Virginia Raggi e l’assessore regionale alle politiche abitative Fabio Refrigeri non ha dato risultati. L’amministrazione comunale ha proposto 40 sistemazioni nei centri di accoglienza, che potranno ospitare soltanto i più vulnerabili: donne, bambini e disabili. La protesta dei profughi e delle famiglie sgomberate continua. Il 31 agosto è previsto un incontro al Viminale tra il ministro dell’interno Marco Minniti e Virginia Raggi. Contemporaneamente i Movimenti per il diritto all’abitare hanno convocato un sit-in alle 9.30 davanti al ministero__. Le donne eritree ed etiopi di piazza Indipendenza hanno dichiarato che vogliono cominciare uno sciopero della fame.

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