Un paese in cui i neri vengono uccisi per strada
Era sul ponte Amerigo Vespucci di Firenze a vendere ombrelli, Idy Diene, 54 anni, quando è stato colpito da sei proiettili. A sparare il pensionato Roberto Pirrone. Il giorno dopo, circa cinquecento persone sono tornate sul ponte per chiedere indagini accurate sull’omicidio, esprimere solidarietà alla famiglia e fermare la violenza da cui la comunità straniera della città si sente minacciata.
Di Diene sappiamo poche cose: era originario di Morola, una cittadina a settanta chilometri da Dakar, in Senegal. Era arrivato in Italia nel 2001 in aereo con un visto turistico. “Ha vissuto a Firenze per sette anni”, racconta Mor Thiame, un amico di Diene che con lui ha condiviso l’appartamento nel capoluogo fiorentino.
Poi si era trasferito a Pontedera, in provincia di Pisa, e tutti i giorni faceva il pendolare con Firenze. In Senegal aveva undici figli, il suo sogno era tornare nel suo paese per occuparsi dell’allevamento di mucche e cavalli della sua famiglia. “Era molto religioso, un punto di riferimento per la comunità senegalese di Firenze, spesso in moschea conduceva la preghiera e si alzava alle cinque del mattino per pregare”, racconta Thiame.
“Mi ricordo il suo sorriso, la sua disponibilità, aveva poco, ma era pronto a condividerlo con tutti”, ricorda l’amico che l’ultima volta aveva scherzato su Facebook con Diene, qualche giorno prima dell’omicidio. “Non riusciva a tornare in Senegal da quattro anni, perché aveva avuto problemi con il permesso di soggiorno, che aveva risolto da un mese”, racconta Thiame che conclude: “Non vedeva la sua famiglia da quattro anni, per me era come un padre”.
Un bianco ha preso una pistola e ha ucciso un nero. Dicono che non è razzismo, che cos’è allora?
“Non si può morire così, come una bestia”, ha commentato Pape Diaw, rappresentante della comunità senegalese di Firenze, subito dopo l’omicidio. “Questo omicidio è frutto del clima che c’è in Italia”, ha aggiunto tracciando un elemento di continuità tra l’omicidio di Firenze e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo caratterizzata da un sentimento di diffusa ostilità verso i migranti.
“Di tutte le persone che c’erano sul ponte, come mai ha colpito solo il nero? Non c’era solo lui. Qui un bianco ha preso una pistola e ha ucciso un nero. Dicono che non è razzismo, che cos’è allora?”, ha chiesto Diaw. La procura, che indaga sul caso, ha escluso tuttavia il movente razzista per l’omicidio, accettando la versione dell’assassino.
Pirrone, tipografo in pensione che aveva un regolare porto d’armi e possedeva diverse armi in casa, ha raccontato di volersi suicidare a causa di problemi economici e familiari e di aver sparato “a caso” contro Diene mentre era in uno stato confusionale. La comunità senegalese della città, tuttavia, non accetta questa spiegazione e accusa Pirrone di aver agito con una motivazione razzista.
“Ho paura che qualcuno mi possa sparare: prima Macerata, ora Firenze. Per noi non è più sicuro andare in giro”, afferma Saer Diop, un senegalese di Pietrasanta, che vive in Italia dal 2009. “Io non li chiamo razzisti, li chiamo ignoranti. Perché non si chiedono chi siamo, che storia abbiamo. Non ci considerano persone”, aggiunge. “Anche noi ci teniamo a questo paese e siamo preoccupati di quello che sta succedendo”, conclude.
Non è la prima volta che a Firenze un uomo spara contro gli immigrati, era già successo il 13 dicembre 2011 a piazza Dalmazia, quando il militante di CasaPound Gianluca Casseri aveva ucciso Samb Modou e Diop Mor, due ambulanti senegalesi e ne aveva feriti altri tre: Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Moustapha Dieng. Tra l’altro Diene era cugino di Samb Modou, una delle vittime, e dall’epoca dell’omicidio si occupava della vedova, Rokhaya Mbengue, e di sua figlia secondo quanto previsto da un’usanza senegalese.
In città non si respira un clima di ostilità verso gli immigrati, ma è cambiata la risposta delle istituzioni
“Mi colpisce sempre, in vicende come queste, che avvengano in contesti come quello di Firenze, che non farebbero pensare all’ostilità verso gli immigrati”, spiega Dagmawi Yimer, regista italoetiope che ha realizzato il documentario Va’ pensiero sulla strage di Firenze del 2011. Secondo il regista, la comunità senegalese ha un ruolo attivo nella vita del capoluogo toscano: “Sono cittadini impegnati, non sono invisibili come tanti immigrati in altre parti d’Italia, e per questo forse la loro presenza in questo momento è ancora più sgradita, perché dimostra un’integrazione riuscita di lunga data”, aggiunge Yimer. “In questo momento, e dopo Macerata ancora di più, molti pensano che eliminare un nero li possa rendere addirittura graditi agli italiani”, conclude.
La comunità senegalese di Firenze, molto ben organizzata e radicata, si sente colpita da quest’ultimo omicidio, spiega Anna Meli del Cospe, e “c’è molta rabbia per una morte assurda”. Per Meli, i rappresentanti delle comunità straniere, come Pape Diaw, in questi giorni hanno provato “in tutti i modi a calmare gli animi, soprattutto dei più giovani che si sentono minacciati” da attacchi come questo.
Secondo Meli, in città non si respira un clima di ostilità verso gli immigrati, tuttavia è cambiata “la risposta delle istituzioni”. Nel caso della strage del 2011 di piazza Dalmazia “ci fu subito una condanna ferma da parte dell’amministrazione comunale e della regione che andava al di là di ogni divisione politica”. La Toscana infatti è sempre stata un territorio che “si vantava di essere accogliente, che sperimentava pratiche di accoglienza e di interculturalità, ma gradualmente questo aspetto si sta perdendo”. Questo, aggiunge Meli, è provocato anche da una situazione di scontro all’interno della sinistra: “Fanno fatica a prendere posizione, magari anche perché l’omicidio è avvenuto all’indomani delle elezioni”.
Al sit-in antirazzista, il 6 marzo, ci sono stati momenti di tensione quando è intervenuto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che in un primo momento subito dopo l’omicidio si era rifiutato d’incontrare i rappresentanti della comunità senegalese e aveva condannato il corteo di un gruppo di senegalesi che avevano distrutto fioriere e cestini della spazzatura nel centro della città. “La protesta violenta di questa sera nel centro della città è assolutamente inaccettabile. E sia chiaro che i violenti, di qualsiasi provenienza, non meritano giustificazioni. Vanno affidati alle forze dell’ordine e alla legge”, aveva scritto Nardella sui social network, suscitando molte critiche.
Contro il sindaco, arrivato alla manifestazione antirazzista, si è alzato il grido “Vergogna, vergogna”. Poco dopo, un gruppo ha provato a forzare il blocco della polizia perché avrebbe voluto improvvisare un corteo sul Lungarno. Ma l’intervento dei rappresentanti della comunità senegalese ha fatto rientrare la tensione. “Bisogna stare molto calmi, faccio appello a tutte le comunità di stranieri della città”, ha detto Nardella, lasciando la manifestazione. Il rappresentante senegalese Pape Diaw ha chiesto scusa a Nardella per la reazione aggressiva della folla e in serata la comunità senegalese ha offerto alla città di ripagare le fioriere distrutte durante il corteo del 5 marzo.
“Non abbiamo molti dubbi sul motivo razziale dell’omicidio, nonostante quello che dice Nardella”, osserva Silvia Cardini, un’insegnante fiorentina che ha partecipato alla manifestazione del 6 marzo. La comunità senegalese è così integrata nella città che ormai nelle scuole ci sono molti ragazzi nati da coppie miste e “questa violenza scuote e attraversa le classi”, secondo l’insegnante. “La questione è molto sentita tra i ragazzi”.
I ragazzi che hanno origini straniere hanno paura: “Mio figlio adottivo di 16 anni, che non è nemmeno troppo politicizzato, mi ha detto che vorrebbe andarsene dall’Italia e che sabato verrà alla nuova manifestazione per Idy Diene. È la prima volta in vita sua che mi dice di voler partecipare a una manifestazione”.