La riforma del regolamento di Dublino verso il fallimento
Il 5 giugno a Lussemburgo si sono riuniti i ministri dell’interno dell’Unione europea per discutere della riforma del regolamento di Dublino, il sistema comune europeo sull’asilo. Sul tavolo c’era la bozza presentata dalla Bulgaria (che presiede il Consiglio europeo), una proposta giudicata da molti notevolmente peggiore rispetto a quella della Commissione europea e soprattutto in confronto a quella approvata il 27 novembre dal parlamento europeo con una larga maggioranza.
Il nodo centrale della riforma, su cui non si è trovato un compromesso tra gli stati europei, è l’introduzione delle quote di ripartizione dei richiedenti asilo all’interno dello spazio europeo, un principio che è stato inserito dall’Agenda europea sull’immigrazione nel 2015 e che mette in discussione il cuore del regolamento di Dublino III, cioè il principio secondo cui il paese di primo ingresso in Europa è responsabile della domanda di asilo del migrante.
Le quote di ripartizione sono sempre state osteggiate, in particolare dai paesi dell’Europa orientale, il cosiddetto gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria). A tre anni dalla cosiddetta crisi dei rifugiati, i paesi europei non hanno ancora trovato un accordo per evitare che l’Italia e la Grecia siano lasciate sole a occuparsi dell’accoglienza dei migranti.
Il no di Salvini
Il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini, che ha criticato la proposta bulgara, non ha partecipato alla riunione di preparazione al vertice europeo del 28-29 giugno in cui si dovrebbe prendere una decisione definitiva, perché era al senato per il voto di fiducia al governo. Ma le sue posizioni sono state rappresentate dall’ambasciatore Maurizio Massari e dalla prefetta Gerarda Pantaleone, che hanno respinto la riforma, insieme alla Spagna e ai paesi del gruppo di Visegrád. Si sono espressi negativamente anche Germania, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca.
Non si è espresso il Regno Unito, mentre gli altri paesi dell’Unione europea, non soddisfatti dalla proposta bulgara, hanno tuttavia lasciato la porta aperta al negoziato. Tra questi Grecia, Malta e Cipro, che hanno sempre condiviso le stesse posizioni del governo italiano sulla necessità di introdurre le quote. I paesi guidati da governi nazionalisti, come Ungheria e Polonia, hanno sempre osteggiato la riforma del sistema d’asilo europeo, sostenuta invece dai paesi mediterranei, ma ora anche l’Italia si è sfilata.
“Abbiamo bisogno di un compromesso”, ha dichiarato la ministra svedese dell’immigrazione Hélène Fritzon. Ma “oggi c’è un clima politico più duro” che complica la situazione, ha riconosciuto, riferendosi in particolare al nuovo governo italiano. La riforma del sistema d’asilo “è morta” ha detto il segretario di stato belga Theo Francken. “Non c’è una base sufficiente per ulteriori discussioni”, ha aggiunto, proponendo di concentrarsi sulla “lotta all’immigrazione clandestina”. La posizione italiana non è l’unico problema, ha sottolineato il segretario di stato tedesco Stephan Mayer, osservando che “in altri paesi c’è un’opposizione ancora più forte”. Salvini ha commentato l’esito della discussione dicendo: “Oggi per noi è una vittoria, abbiamo spaccato il fronte”.
Il 4 giugno parlando in un comizio a Fiumicino Salvini aveva detto di sentirsi vicino alle posizioni del presidente ungherese Viktor Orbán: “Mi ha telefonato Orbán: insieme a lui cambieremo le regole di questa Europa”. La vicinanza di Roma alle posizioni di Budapest, che ha sempre rifiutato il sistema di ripartizione dei richiedenti asilo attraverso un sistema di quote, è una novità rispetto al passato, provoca una spaccatura nel fronte dei paesi mediterranei (Grecia, Italia, Cipro, Malta e Spagna) e fa presagire il fallimento del tentativo di riforma delle regole comuni europee sull’asilo che va avanti dal 2016.
La posizione di Salvini è anche in contrasto con quella dei suoi alleati di governo, i cinquestelle, che hanno sempre sostenuto la necessità della riforma. Parlando in aula al senato il 5 giugno, il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha espresso posizioni più ambigue rispetto al ministro dell’interno: “Chiederemo con forza il superamento del regolamento di Dublino al fine di ottenere l’effettivo rispetto del principio di equa ripartizione delle responsabilità e di realizzare sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo”.
Nel contratto di governo tra Lega e Movimento 5 stelle, infatti, si chiede che il regolamento sia cambiato con questa motivazione: “Il rispetto del principio di equa ripartizione delle responsabilità sancito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea deve essere garantito attraverso il ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli stati membri dell’Unione europea, in base a parametri oggettivi e quantificabili”.
La proposta bulgara
A differenza della riforma approvata dal parlamento europeo a novembre, la bozza presentata dalla presidenza bulgara del Consiglio europeo, visionata da Internazionale, non prevede quote di ripartizione obbligatorie per i richiedenti asilo e implica invece che gli stati membri che non vogliono accogliere i migranti possano offrire aiuto o versare dei soldi (30-35mila euro per ogni richiedente asilo che ci si rifiuta di accogliere) agli stati che invece si occupano dell’accoglienza.
La proposta bulgara non supera il criterio del paese di primo ingresso in Europa e ipotizza inoltre tre fasi possibili della crisi migratoria e per ogni livello prevede un tipo d’intervento diverso. Nel caso in cui un paese dell’Unione europea superi del 120 per cento la quota stabilita di richiedenti asilo (calcolata tenendo conto del prodotto interno lordo e della popolazione) è previsto che scattino delle misure di aiuto.
Nel caso in cui superi il 140 per cento è previsto un sistema di quote con adesione volontaria dei paesi membri. Infine solo nel caso in cui si superi la soglia critica del 160 per cento è previsto il ricollocamento obbligatorio (che comunque dovrebbe passare dal voto del consiglio). La proposta bulgara prevede inoltre delle sanzioni molto severe per i richiedenti asilo che si spostano dal primo paese d’ingresso verso altri paesi dell’Unione e non tiene conto dei loro legami familiari in altri paesi europei.
Contro l’interesse nazionale
“Questa proposta significa che in circostanze normali, di pressione migratoria non particolarmente intensa, il regolamento di Dublino non viene riformato, rimane come è al momento”, spiega l’eurodeputata di Possibile Elly Schlein, relatrice ombra in parlamento per il gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici.
“Il parlamento europeo ha approvato una riforma che cancella il principio del primo paese d’ingresso e lo sostituisce con un sistema di quote di ripartizione automatico e permanente per obbligare tutti gli stati europei a fare la loro parte sull’accoglienza”, afferma. Ma sembra che le bozze che circolano nel Consiglio europeo “non abbiano minimamente considerato la proposta rivoluzionaria formulata dal parlamento”.
Per Schlein “è inaccettabile che a due anni dalla prima proposta di riforma non ci sia ancora nessun accordo” e che l’Italia abbia deciso di rinunciare a negoziare su una questione “così cruciale per il nostro paese”. Per Schlein “disertare il negoziato, significa dichiararsi sconfitti nel momento in cui il governo italiano dovrebbe condurre una battaglia”.
Secondo l’eurodeputata, Salvini non vuole contrapporsi a Viktor Orbán, suo alleato su molti temi, ma in questo modo sta andando “contro l’interesse nazionale”. Anche Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione è della stessa opinione: “Se Salvini dice no alla riforma di Dublino approvata in parlamento è contro gli interessi nazionali. E non attua il programma di governo che indica la riforma di Dublino tra le sue priorità”, afferma Schiavone. “Salvini forse ha preso queste posizioni per non contrapporsi all’estrema destra di Orbán, ma in questo caso sembra più il ministro dell’interno ungherese che quello italiano e le domande che la sua presa di posizione apre sono numerose”.
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