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Che c’è di vero nell’articolo di Marco Travaglio sulle ong 

Il 10 luglio sulla prima pagina del Fatto quotidiano il direttore Marco Travaglio ha firmato un editoriale dal titolo “Sotto la maglietta” su una delle questioni più delicate e più strumentalizzate dalla politica italiana degli ultimi anni: l’immigrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Travaglio torna a parlare del ruolo delle ong preoccupato che “decine di amici” del suo giornale abbiano deciso d’indossare una maglietta rossa per aderire all’iniziativa lanciata con lo slogan “Fermare l’emorragia di umanità” dal fondatore di Libera don Luigi Ciotti, dopo la chiusura dei porti alle navi delle ong e la morte di centinaia di persone davanti alla Libia.

Travaglio sostiene che ci sia un legame “ormai acclarato” e “rivendicato” tra le ong e i trafficanti libici, ma questa affermazione ha suscitato molto sconcerto in giornalisti ed esperti della materia. “Per interesse personale e professionale avrei bisogno di sapere nel dettaglio ‘acclarato’ da chi e ‘rivendicato’ da chi”, ha chiesto su Twitter il giornalista e conduttore televisivo Diego Bianchi, interpretando i dubbi di molti. La domanda è legittima visto che le numerose indagini che sono state aperte dalle procure siciliane su presunti contatti tra scafisti (e non trafficanti) e navi umanitarie non hanno portato a nessun rinvio a giudizio. Anzi la procura di Palermo ha recentemente archiviato un’indagine su presunte connivenze tra due ong (Sea Watch e Open Arms) e gli scafisti. La notizia è stata riportata anche dal Fatto.

Per il direttore del Fatto l’indagine ha già dimostrato che le ong hanno avuto contatti con i trafficanti

Travaglio ha risposto a Bianchi in un altro editoriale citando come prova “acclarata” alcune intercettazioni che sono state acquisite dalla procura di Trapani nell’ambito di un’indagine contro l’ong tedesca Jugend Rettet. L’indagine, in corso da un anno, non ha ancora portato all’apertura di alcun processo e dunque a nessun dibattimento e a nessuna condanna. Ma per il direttore del Fatto l’indagine ha già dimostrato che le ong hanno avuto contatti con i trafficanti per delle “consegne pattuite” di migranti, come sostenuto dall’accusa.

La tesi della procura di Trapani è stata messa in discussione, inoltre, dal gruppo di oceanografia forense Forensic Architecture della Goldsmiths sulla base dei video e degli audio raccolti dall’equipaggio, delle informazioni registrate nel diario di bordo della Iuventa di Jugend Rettet, delle comunicazioni con la centrale operativa della guardia costiera italiana e delle immagini scattate dai giornalisti a bordo della nave tedesca e di altre imbarcazioni impegnate nei soccorsi. Il giornalista Andrea Palladino ripercorre tutti i punti oscuri dell’indagine della procura di Trapani, mossa dalla denuncia di due agenti della sicurezza privata imbarcati sulla nave Vos Hestia di Save the children. Avevamo parlato delle accuse contro la Jugend Rettet qui e dei video di Forensic Architecture qui.

Un’altra affermazione fatta da Travaglio è che le navi delle ong siano un incentivo per le partenze di migranti. “Le ong agiscono anche con le migliori intenzioni come pull factor (fattore di attrazione) che rende i viaggi meno costosi e rischiosi”. Ma questa accusa (già rivolta anche alla missione militare del governo italiano Mare nostrum nel 2013) è stata smentita da più di uno studio. Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), aveva spiegato che un’attenta e approfondita analisi dei dati aveva fatto emergere la fallacia di questa suggestiva affermazione: “I dati mostrano che tra il 2015 e oggi le attività delle ong non hanno fatto da pull factor e non sono correlate con l’aumento dei flussi. Che le ong operassero in mare o meno, i flussi non ne erano influenzati”.

Il numero degli arrivi è aumentato prima che le ong lanciassero le loro missioni di soccorso

Un’analisi simile era stata pubblicata nel giugno del 2017 da Lorenzo Pezzani e Charles Heller della Forensic oceanography del Goldsmiths college dell’università di Londra. L’analisi di Heller e Pezzani ha dimostrato che un aumento degli arrivi era già stato registrato nel biennio 2014-2015, quando ancora non c’erano navi delle organizzazioni umanitarie davanti alle coste libiche. Questo elemento è stato in parte riconosciuto dalla stessa Frontex, che nel documento Annual risk analysis 2017 aveva scritto: “Il Mediterraneo centrale è diventato la rotta principale dei migranti africani verso l’Europa e per lungo tempo sarà così”.

Secondo Pezzani e Heller, il numero degli arrivi era aumentato prima che le ong lanciassero le loro missioni di soccorso e questo dimostra l’assenza di un nesso di causalità tra i due eventi. Nel 2017, inoltre, sono aumentate del 46 per cento le traversate verso l’Europa dal Marocco, in un tratto di mare che non è pattugliato da navi umanitarie. Le principali cause dell’aumento delle traversate verso l’Europa sarebbero l’aggravarsi del conflitto in Libia e in generale la presenza di forti fattori di spinta (push factor) come conflitti, dittature, cambiamenti climatici, pressione demografica. Infine, quando la missione militare di ricerca e soccorso Mare nostrum è stata interrotta, alla fine del 2014, non si sono fermati gli arrivi, anzi nei primi mesi del 2015 sono aumentati, anche se non c’erano imbarcazioni di soccorso in quel tratto di mare.

I morti e gli sbarchi
“L’equazione ‘più ong, meno morti’ è falsa: è vera invece quella ‘meno sbarchi, meno morti’”, afferma ancora Travaglio nel suo editoriale. La questione in realtà è ben più complicata. Innanzitutto bisognerebbe parlare di partenze e non di sbarchi, nel senso che la mortalità deve essere calcolata in relazione alle persone partite e non a quelle arrivate. Inoltre i dati dell’ultimo mese farebbero pensare il contrario. Nel primo weekend in cui Tripoli ha coordinato i soccorsi in mare e le ong si sono ritirate in seguito alla chiusura dei porti italiani, ci sono stati tre naufragi che hanno portato il numero complessivo dei morti e dei dispersi nel solo mese di giugno a 679.

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), il dato in meno di un mese è più che raddoppiato. Matteo Villa ha elaborato i dati dell’Unhcr e dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) sulle morti registrate in relazione alle partenze dalla Libia e ha stabilito che dal 1 giugno la rotta del Mediterraneo è diventata la più pericolosa al mondo: “Muore una persona ogni dieci”.

Un dato allarmante che riporta il tasso di mortalità e il numero assoluto dei morti ai livelli di quelli registrati prima della riduzione delle partenze nel luglio del 2017. “Dopo la repentina diminuzione delle partenze dal 16 luglio 2017, il numero assoluto dei morti e dei dispersi si è ridotto, ma ora siamo tornati incredibilmente ai livelli di prima”, afferma Villa.

Secondo il ricercatore, questo fattore è legato a tre elementi: “Le ong sono coinvolte sempre di meno nei salvataggi, i mercantili non intervengono perché temono di essere bloccati per giorni in attesa di avere indicazioni sul porto di sbarco (come è successo al cargo danese Maersk) e la guardia costiera libica non ha né i mezzi né la competenza per occuparsi dei salvataggi”.

La distruzione dei barconi
Travaglio inoltre afferma che la presenza delle ong avrebbe indotto i trafficanti a cambiare il tipo di imbarcazioni usate per la traversata: “A parte appunto gli scafisti, che negli ultimi anni, grazie al progressivo avvicinarsi delle navi delle Ong alle acque territoriali libiche, hanno impiegato natanti sempre più pericolanti, proprio perché sicuri di dover percorrere un tratto di mare molto limitato prima della ‘consegna’ sincronizzata (il ‘salvataggio’ è tutt’altra cosa) del carico umano alle imbarcazioni private”. In realtà sappiamo che la tipologia delle imbarcazioni è cambiata in parte in concomitanza del lancio della missione Sophia di EunavforMed che aveva l’obiettivo di distruggere proprio i barconi di legno.

Inoltre non è vero come dice Travaglio in un secondo editoriale pubblicato l’11 luglio “che i barconi devono essere distrutti per legge”. Nessuna legge impone alle ong di distruggere i gommoni vuoti. Nonostante questo molti soccorritori dopo aver trasferito al sicuro i migranti avevano l’abitudine di affondarli o distruggerli per evitare che i trafficanti li recuperassero. Il codice di condotta imposto dal governo alle ong nel luglio del 2017 chiedeva alle organizzazioni di recuperare ove possibile le imbarcazioni e i motori e di consegnarle o segnalarle alle navi militari nella zona. Ma il codice di condotta ha un valore pattizio, non è una legge dello stato.

La Libia e il traffico di esseri umani
Infine Travaglio sostiene che “ora in Libia premono per partire chi dice 700mila, chi dice 1 milione di persone”. La giornalista Francesca Mannocchi, esperta di Libia, ha fatto notare che non tutti i migranti che si trovano nel paese in questo momento sono pronti a partire, perché la Libia è anche un paese di destinazione e non solo di transito per i migranti. Inoltre citare delle stime ufficiali dei migranti richiusi nei centri di detenzione non ufficiali gestiti dai trafficanti è rischioso, perché questi luoghi sono inaccessibili alle autorità libiche e internazionali e non conosciamo esattamente quante persone sono nei centri di detenzione.

“In Libia l’Oim stima la presenza di 700mila migranti, presenza non significa pronti-a-partire, dato che semplicemente non esiste. Come il direttore Travaglio può facilmente verificare sulle statistiche di Unhcr le persone presenti nei centri di detenzione ufficiali – cioè gestiti dall’ufficio anti immigrazione clandestina del ministero dell’interno libico – sono circa 30mila”, ha scritto Mannocchi su Facebook.

Nel suo editoriale infine Travaglio dice che comunque la priorità dovrebbe essere quella della lotta ai trafficanti di esseri umani, che definisce “i veri responsabili”. A questo proposito il giornalista Lorenzo Bagnoli, che è esperto di questi temi e ha scritto molti pezzi proprio per il Fatto, ha contestato il direttore definendo “pietoso che in tutta questa retorica della lotta ai trafficanti non si ricordi mai che l’unico ‘boss’ che si pensa in carcere, Yedahego Medhanie Mered, in realtà sia ancora libero”.

Bagnoli ha argomentato dicendo che “non sappiamo ancora niente dei trafficanti. Non sappiamo nemmeno se esiste una ‘cupola’ davvero oppure no. Siamo maledettamente indietro su questa tipologia d’indagini. Il potere dei trafficanti non è come quello delle mafie italiane. Non è così ancestrale, è cambiato con il mutare delle migrazioni. Non c’è l’ideologia dell’anti-stato contro lo stato. Forse bisogna dirselo quando si paragonano le mafie italiane con quelle libiche”. Di questo ha scritto approfonditamente il giornalista Lorenzo Tondo sul Guardian e il giornalista Ben Taub sul New Yorker.

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