La Open Arms torna in mare e fa rotta verso la Libia
Questo articolo fa parte della serie Cronache dal Mediterraneo, il diario di Annalisa Camilli sulla nave impegnata nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo.
Dopo una settimana nel porto di Barcellona, in serata la nave umanitaria spagnola Open Arms tornerà a fare rotta verso la Libia, nonostante il governo italiano e quello maltese abbiano deciso di chiudere i porti alle navi che soccorrono le imbarcazioni di migranti in difficoltà. Rispetto a qualche mese fa, tuttavia, i soccorritori non sanno cosa aspettarsi.
“Le modalità sono radicalmente cambiate: quando siamo arrivati lungo la rotta mediterranea, nel luglio del 2016, era tutto molto chiaro, seguivamo una procedura indicata dalla guardia costiera italiana, ora non sappiamo cosa potrà succedere”, spiega Riccardo Gatti, portavoce dell’organizzazione, mentre carica i rifornimenti di cibo e acqua sotto coperta, pronto per la missione numero 47. “Riceviamo come tutte le navi i messaggi che ci allertano delle imbarcazioni che sono in difficoltà, ma la centrale operativa della guardia costiera italiana non ci chiede più di intervenire”, afferma. E non è l’unica difficoltà: anche nel caso l’imbarcazione riesca a partecipare ai soccorsi non è mai sicura di quale sarà il porto di sbarco che gli sarà assegnato. All’inizio di luglio, sia Malta sia l’Italia hanno rifiutato l’attracco alla nave che aveva soccorso 60 migranti. La Spagna alla fine ha offerto alla nave di sbarcare nel porto di Barcellona.
Dopo l’arrivo il 5 luglio, la nave dell’ong ha dovuto riorganizzare le sue attività alla luce delle nuove difficoltà. “Dobbiamo essere pronti ad affrontare qualsiasi imprevisto ora, anche la possibilità di essere bloccati per ore in mare con delle persone a bordo, come ci è già successo nelle ultime settimane”. Nonostante le difficoltà tuttavia per Gatti è importante tornare il prima possibile nella zona dei soccorsi per due motivi: l’allarmante aumento della mortalità e la necessità di testimoniare le attività della cosiddetta guardia costiera libica che intercetta le imbarcazioni e riporta i migranti indietro, in un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e che non è considerato un place of safety, un porto sicuro per i migranti, anche in seguito ai numerosi rapporti di autorità internazionali che hanno denunciato le sistematiche violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione in cui sono incarcerati.
“Il problema è che ci chiedono di considerare la guardia costiera libica come consideravamo la guardia costiera italiana, ma questo non è possibile, perché di fatto non esiste una guardia costiera libica, non ha mezzi e non è un soggetto affidabile”, spiega Gatti. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha recentemente sanzionato uno dei capi della guardia costiera libica, Abd al Rahman al Milad, accusato di aver fatto uso di armi per affondare deliberatamente i barconi su cui viaggiavano i migranti. Intanto cresce il numero dei morti.
Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nel mese di giugno la mortalità è aumentata lungo la rotta mediterranea: muore una persona su sette di quelle che partono, mentre nel mese precedente ne moriva una ogni 32. “Da quando non ci sono più navi delle ong al largo della Libia, sono morte più di seicento persone”, afferma Gatti. “Non possiamo stare a guardare”. Nello stesso periodo dell’anno scorso le acque internazionali davanti alla Libia erano pattugliate da 14 imbarcazioni umanitarie, al momento non ce n’è nessuna.
La Seawatch 3 è bloccata a Malta che non concede l’autorizzazione a lasciare il porto, la Lifeline è sotto sequestro sempre a Malta accusata di aver operato un soccorso irregolare, la Iuventa dell’ong Jugend Rettet è sotto sequestro a Trapani dall’agosto del 2017, la nave Aquarius di Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere ha deciso di fermarsi nel porto di Marsiglia in attesa di capire come riorganizzare la missione. “A causa dei recenti sviluppi politici che impediscono alle navi delle ong di salvare vite in mare – avevano spiegato in un comunicato i vertici dell’organizzazione – siamo costretti a prenderci un po’ di tempo per valutare la situazione. Torneremo in mare prima possibile”.
Per gli operatori umanitari infatti è diventato molto difficile intervenire in soccorso delle imbarcazioni in difficoltà come avveniva in passato. “Ora siamo soli, ma per questo è diventato ancora più importante testimoniare”, dice Gatti. Per questo la missione numero 47 della Open Arms, un rimorchiatore di 36 metri che è specializzato nei soccorsi, sarà affiancato dalla Astral, un veliero di 33 metri nella quale sono imbarcati giornalisti e parlamentari. “Da ora in poi abbiamo deciso che sull’Astral si imbarcheranno soprattutto giornalisti e parlamentari europei, persone che possono documentare questa situazione, ma anche chi ha la responsabilità di cambiare le cose. Per gli umanitari ormai tenere i riflettori puntanti su quello che sta succedendo al largo del Mediterraneo è importante quanto soccorrere persone”.
Al ponte di comando della Open Arms si siederà Marc Reig, il capitano della nave, sotto inchiesta a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e al suo fianco come coordinatrice Anabel Montes, anche lei indagata nella stessa inchiesta per essersi rifiutati di trasferire sulle motovedette libiche duecento persone appena soccorse. L’inchiesta, aperta inizialmente dalla procura di Catania, aveva portato al sequestro della nave nel porto di Pozzallo, il 18 marzo 2018. La nave è stata poi dissequestrata un mese dopo con una disposizione del giudice per le indagini preliminari di Ragusa, che nelle motivazioni della decisione aveva riconosciuto che “non esiste un porto libico che può essere considerato sicuro ai sensi delle normative internazionali”. Montes è molto contenta di tornare a bordo della Open Arms dopo mesi di fermo perché dell’attività delle ong pensa ci sia bisogno. Mentre la Open Arms si prepara a salpare da Barcellona, il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini annuncia su Twitter che un peschereccio con 450 migranti a bordo, localizzato tra Malta e Lampedusa, non sarà soccorso e non sarà accolto dall’Italia.