Come parlare d’immigrazione con i bambini
“È vero che sono così tante le persone che arrivano in Italia? Perché hanno tutti lo smartphone?”: sono le domande che i bambini pongono più spesso durante i laboratori sull’immigrazione che Daniele Biella, un giornalista e operatore sociale originario della Brianza, tiene nelle scuole dal 2016 per il progetto Con altri occhi insieme alla cooperativa sociale Aeris e ad alcuni richiedenti asilo che vanno con lui nelle scuole.
Dopo aver incontrato in due anni circa ottomila ragazzi tra i 9 e i 14 anni, Biella ha deciso di scrivere un libro Con altri occhi. Incontri nelle scuole dialogando di migrazioni (Aeris, 2018), una specie di guida per insegnanti, genitori e ragazzi, fatta di interrogativi e risposte collettive, utile per affrontare un tema delicato e attuale.
“Cerchiamo di parlare con la massima chiarezza, senza giri di parole. Ogni capitolo del libro riporta una delle domande degli studenti”, spiega Biella a Internazionale. La domanda sulle motivazioni che spingono le persone a partire è una delle più frequenti, insieme alla curiosità dei rapporti che si riescono a tenere con le famiglie e con il paese di origine, ma spesso nelle conversazioni emergono anche le notizie false che in questi anni sono state diffuse sull’immigrazione: “È vero che guadagnano 35 euro al mese? Vivono in hotel? Rubano il lavoro dei genitori?”.
Per Biella raramente i bambini hanno mostrato paura parlando d’immigrazione, spesso però hanno sollevato delle questioni, hanno espresso dei dubbi e hanno citato luoghi comuni e stereotipi.
“Il terrorismo per loro è ovviamente un tema. Facciamo chiarezza sul fatto che molto spesso i migranti scappano proprio da persecuzioni da parte di gruppi terroristici”, dice Biella. Un’altra parola che desta preoccupazione è “clandestino”, così come quando si parla del rapporto tra immigrazione e criminalità. “L’aspetto interessante è che nella discussione che si genera c’è sempre qualcuno nella stessa classe che, ancora prima che lo faccia io, porta l’attenzione sull’evitare generalizzazioni”, spiega l’educatore.
Si è un po’ tutti migranti nel concreto, per necessità lavorative, di studio o familiari
Infine, spesso i bambini si dimostrano preoccupati quando si tocca il tema del razzismo: “Mi sorprende in positivo la reazione di rifiuto che molti di loro hanno di fronte a racconti di discriminazione di qualsiasi tipo”.
La questione che li turba di più però è la scelta di lasciare il proprio paese di origine. “Non lascerei casa mia a meno di essere obbligato”, è una considerazione che spesso fanno i bambini dopo aver ascoltato le molte ragioni che spingono le persone a partire. Domandano molto anche dei rapporti che riescono a tenere con le famiglie, una volta arrivati in Europa. “Chiedono spesso se sentono nostalgia di casa e dei loro familiari”. Ai laboratori partecipano sempre dei richiedenti asilo – Bourama S., Harris I. e Mamadou D. – che raccontano la loro storia e rispondono alle domande dei ragazzi.
“C’è molto entusiasmo di solito durante questi incontri, perché per molti bambini è la prima volta che parlano con una persona venuta da lontano. Chiedono di tutto, sia sul motivo della fuga dal loro paese, sul viaggio per arrivare in Italia, sulla scuola e il cibo nel paese d’origine”, spiega Biella. “Ma chiedono anche cosa pensano dell’Italia e degli italiani, se hanno subìto episodi di razzismo, se hanno amici, se sono fidanzati, per quale squadra di calcio tifano. Vogliono entrare davvero in relazione con queste persone e devo dire che questa interazione è l’aspetto più riuscito del progetto”.
Per discutere con i ragazzi dei motivi del viaggio, Biella parte spesso dall’esperienza personale: da dove vengono i nostri genitori? Perché sono partiti? “Si scopre così che si è un po’ tutti migranti nel concreto, per necessità lavorative, di studio o familiari. Sapere che anche i propri nonni o genitori si sono spostati per migliaia di chilometri per avere un futuro migliore, aiuta a capire”.
Nelle classi del Norditalia, per esempio, la componente di bambini con almeno un genitore meridionale arriva anche al 50 per cento. In almeno una classe su quattro, poi c’è un alunno con un parente che ha vissuto o vive in America. “E in ogni classe ci sono più bambini non nati in Italia oppure con i genitori stranieri: analizzare le cause delle partenze è il miglior modo per spiegare cosa significa migrare”, afferma l’educatore.
Alla fine dei laboratori, i bambini si avvicinano sempre ai richiedenti asilo che sono intervenuti per chiedere un autografo o una stretta di mano. “Un momento indelebile nella mia memoria è quando Harris ha assistito, su invito degli stessi alunni, allo spettacolo teatrale di fine anno”, ricorda Biella.
“Ancora, quando a Mamadou gli alunni di una quinta elementare hanno dedicato una canzone che avevano composto tempo prima cantandola dopo avere avuto l’assenso della maestra. Questi sono episodi che mi rimangono impressi, ma ce ne sono molti altri e un capitolo specifico del libro ne elenca diversi”. Il libro non è disponibile in libreria perché è stato prodotto dalla stessa cooperativa sociale che ha organizzato i laboratori. Per ordinarlo è necessario andare sul sito della cooperativa.
Anche su Internazionale extra Kids si parla di migranti. Kids è il quinto numero di Internazionale extra e contiene il meglio della stampa di tutto il mondo per bambine e bambini. Si compra in edicola oppure online.