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Tutto quello che c’è da sapere sul decreto sicurezza bis

Attivisti dell’ong Proactiva Open Arms lanciano delle bottiglie d’acqua a un gruppo di migranti vicino alle coste di Lampedusa, il 30 giugno 2019. (Olmo Calvo, Ap/Ansa)

Il cosiddetto decreto sicurezza bis cioè il decreto legge numero 53 su “disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, entrato in vigore il 15 giugno, è arrivato in aula alla camera dei deputati il 22 luglio per essere tramutato in legge, dopo essere stato modificato dalla commissione affari costituzionali e giustizia. Il 23 luglio l’esecutivo ha posto la questione di fiducia sul disegno di legge che dovrebbe quindi essere approvato senza intralci il 24 luglio. La norma dovrà poi passare all’esame del senato per il via libera definitivo; infatti il decreto deve essere convertito in legge entro il 13 agosto. Durante l’esame della commissione sono stati ascoltati diversi esperti: ecco in sintesi come è cambiata la norma e quali sono le principali criticità.

Cosa prevede il disegno di legge
Si compone di 18 articoli e si occupa di soccorso in mare e di riforma del codice penale in particolare per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni. Nell’articolo 1 si stabilisce che il ministro dell’interno “può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per ragioni di ordine e sicurezza, ovvero quando si presuppone che sia stato violato il testo unico sull’immigrazione e in particolare si sia compiuto il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

All’articolo 2 si prevede una sanzione che va da un minimo di 150mila euro a un massimo di un milione di euro per il comandante della nave “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”. Come sanzione aggiuntiva è previsto anche il sequestro della nave. È previsto anche l’arresto in flagranza per il comandante che compie il “delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra, in base all’art. 1100 del codice della navigazione”.

Se il sequestro della nave viene confermato, l’imbarcazione diventa di proprietà dello stato, che potrà usarla o venderla, oppure distruggerla dopo due anni dalla confisca. All’articolo 3 si modifica l’articolo 51 del codice di procedura penale per cui la procura distrettuale diventa competente per tutte le indagini che riguardano il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. All’articolo 4 si prevede lo stanziamento di 500mila euro per il 2019, un milione di euro per il 2020 e un milione e mezzo per il 2021 per il contrasto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e operazioni di polizia sotto copertura. Si prevede anche lo stanziamento di più fondi per il rimpatrio degli irregolari: 2 milioni di euro per il 2019 che potranno aumentare fino a un massimo di cinquanta milioni di euro.

Dall’articolo 6 in poi il decreto si occupa della gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di protesta e sportive: “Si introduce una nuova fattispecie delittuosa, che punisce chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, utilizza – in modo da creare concreto pericolo a persone o cose – razzi, fuochi artificiali, petardi od oggetti simili, nonché facendo ricorso a mazze, bastoni o altri oggetti contundenti o comunque atti ad offendere”. Sono previste aggravanti “qualora i reati siano commessi nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”.

Nelle manifestazioni pubbliche e aperte al pubblico è vietato l’uso dei caschi o di qualsiasi altro dispositivo che renda irriconoscibile una persona. All’articolo 7 si prevede di inasprire le pene per chi compie una serie di reati: “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, “Resistenza a un pubblico ufficiale”, “Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti”, “devastazione e saccheggio”, “Interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità”. Sono inasprite le pene per oltraggio a pubblico ufficiale.

I cambiamenti
L’articolo 2 del decreto già in vigore è stato modificato nel corso dell’esame in commissione: è stata introdotta una sanzione amministrativa per il comandante che viola il divieto di entrare in porto, si tratta di una somma che va da 150mila a un milione di euro. Nel testo originale del decreto l’importo della sanzione era da 10mila a 50mila euro.

Inoltre nella formulazione originaria del decreto-legge insieme al comandante veniva sanzionato anche l’armatore e il proprietario della nave. Mentre nel corso dell’esame della commissione questa parte è stata modificata: armatore e proprietario pagano solo nel caso in cui il comandante non è in grado di pagare la sanzione.

Una nave dell’ong Proactiva Open Arms soccorre dei migranti in mare, vicino a Lampedusa, il 30 giugno 2019.

Nella nuova versione inoltre si precisa che l’illecito amministrativo derivante dalla violazione dell’ordine impartito al comandante non esclude l’applicazione delle pene previste dall’ordinamento giudiziario quando si presuppone anche il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Inoltre all’autore della violazione si applica la confisca dell’imbarcazione, mentre nel decreto in vigore era prevista la confisca solo nel caso in cui il reato fosse reiterato. Il sequestro è disposto dal prefetto, inoltre è stato specificato che gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare sono a carico dell’armatore e del proprietario della nave.

Sempre nel corso dell’esame in commissione, è stato inserito nell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione il comma 6-ter, in base al quale le navi sequestrate, in applicazione della sanzione amministrativa accessoria, possono essere affidate in custodia dal prefetto, previa richiesta, agli organi di polizia, alle capitanerie di porto o alla marina militare perché ne facciano uso per attività istituzionali, facendosi carico dei relativi oneri. Qualora al sequestro, quindi, faccia seguito la confisca definitiva dell’imbarcazione, in base al nuovo comma 6-ter, la nave è acquisita dallo stato.

Le critiche degli esperti
Durante l’esame della norma in commissione affari costituzionali e giustizia della camera, sono stati interpellati diversi esperti, professori universitari e autorità che hanno fatto emergere i diversi problemi del provvedimento. I primi a essere stati ascoltati sono stati Paolo Iafrate, professore di diritto privato comparato all’università di Roma Tor Vergata; Cesare Pitea, professore di diritto internazionale all’università di Milano La Statale; Giuseppe Cataldi, professore di diritto internazionale all’università di Napoli L’Orientale, e Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

C’è stata una diminuzione dell’arrivo dei minori stranieri non accompagnati e allo stesso tempo del numero dei reati registrati in Italia

L’avvocato Paolo Iafrate ha messo in luce che non ci sono i presupposti di urgenza e necessità previsti per l’uso di questo tipo di strumento legislativo: i decreti infatti devono contenere misure di “immediata applicazione” che riguardino un tema specifico e omogeneo. “Secondo i dati diffusi dal ministero dell’interno gli sbarchi sono diminuiti dell’84,3 per cento con 2.601 sbarchi (dal 1 gennaio al 28 giugno 2019) rispetto ai 16mila sbarchi del 2018: questo è un dato importante”, afferma. Per l’esperto c’è stata anche una diminuzione dell’arrivo dei minori stranieri non accompagnati e allo stesso tempo del numero dei reati registrati in Italia.

Inoltre, secondo l’esperto, il decreto legge non rispetta il requisito di omogeneità della materia trattata: “Contiene infatti articoli che riguardano riforme del codice penale, della normativa sull’immigrazione, del codice della navigazione, dell’ordine e della sicurezza”, afferma Iafrate. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha rilevato, infine, che il decreto è in contrasto con la normativa internazionale: in particolare con le convenzioni Unclos, Solas e Sar e con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, che stabilisce il principio di non respingimento.

Secondo l’avvocato bisognerebbe quindi verificare la conformità del disegno di legge con “l’articolo 10, l’articolo 11 e l’articolo 117 della costituzione italiana, con l’articolo 3 della Carta dei diritti dell’uomo e con l’articolo del codice penale italiano che norma l’omissione di soccorso”. Il professore di diritto internazionale Cesare Pitea afferma che l’Italia rischia di violare le leggi internazionali sul diritto del mare e potrebbe essere portata in giudizio dagli stati di bandiera delle navi, se dovesse applicare in particolare l’articolo 1 del disegno di legge.

Ostacoli al soccorso
Pitea chiarisce che la convenzione di Montego Bay, che pure viene citata nel decreto, impone soprattutto di tutelare la vita delle persone in mare e inoltre che il disegno di legge si baserebbe sul presupposto che le autorità libiche esercitino sovranità territoriale sulle acque internazionali in cui avvengono di solito i soccorsi: “Questo presupposto si fonda su dei malintendimenti: il primo è che la zona di ricerca e soccorso (Sar) sia una zona di sovranità dello stato costiero, ma non è così. Lo stato costiero esercita sulla zona Sar una responsabilità primaria finalizzata alla tutela della vita. La proclamazione di una zona Sar quindi è strettamente legata alla costituzione e al funzionamento di un servizio efficace di ricerca e soccorso. Lo sbarco in un luogo sicuro è parte integrante del dispositivo dei soccorsi”, afferma Pitea riferendosi all’inefficacia dei soccorsi operati dalla cosiddetta guardia costiera libica e al fatto che i migranti una volta intercettati dai libici sono portati indietro in luogo che non è considerato sicuro dalle autorità internazionali.

“Lo stato costiero esercita una responsabilità nella zona Sar primaria ma non esclusiva, questo significa che gli altri stati vicini mantengono un obbligo di soccorso e anche un obbligo di coordinamento per favorire i soccorsi. Il comandante ha il potere e il dovere di individuare il porto sicuro, che non è necessariamente il più vicino se il più vicino non è un porto sicuro”, conclude Pitea. Per il professore di diritto internazionale Giuseppe Cataldi questo deve avvenire anche se non c’è nessun diritto di una nave di entrare in un porto, fatta eccezione nel caso in cui si verifichi uno stato di necessità a bordo della nave, e nel caso è il comandante a stabilire se a bordo della nave si verifica uno stato di necessità.

“Le sanzioni penali e amministrative previste dal disegno di legge sono un ostacolo al soccorso e rappresentano una violazione del diritto a non essere discriminati”, afferma Cataldi. “Sembra diffondersi l’idea che il capitano della nave debba rivolgersi al porto più vicino o debba andare in giro in mare per sbarcare le persone soccorse”, aggiunge infine la ricercatrice di diritto internazionale Francesca de Vittor, prima di sottolineare che “la normativa sul soccorso in mare prevede molto chiaramente l’obbligo degli stati di cooperare per liberare, in tempi brevi e con la minima deviazione possibile della rotta, il comandante dalla responsabilità di aver effettuato i soccorsi. Non liberarlo da quella responsabilità comporta un carico economico tale che si rischia di portare, non solo le ong, ma anche le navi commerciali a non effettuare soccorsi per non incorrere in perdite economiche da parte degli armatori. Eventualità che è sempre un illecito perché il soccorso è un obbligo”.

È intervenuto, infine, il procuratore del tribunale di Agrigento Luigi Patronaggio a sottolineare come “nel primo semestre del 2019 nell’agrigentino sono avvenuti 49 sbarchi con 1.084 immigrati”. A questo dato Patronaggio ha aggiunto che “gli sbarchi avvenuti attraverso le ong sono una quota residuale”.

Mentre era in corso il caso SeaWatch 3 “arrivavano in silenzio oltre duecento immigrati a Lampedusa e nell’agrigentino”. Patronaggio ha ribadito che i porti libici non sono da considerarsi porti sicuri e ha annunciato di aver aperto delle indagini sulla mancanza di un presidio da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Patronaggio ha anche chiarito che finora nessuna procura ha accertato contatti tra ong e trafficanti di esseri umani.

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