La battaglia finale per Tripoli
I combattimenti per prendere il controllo della capitale libica Tripoli si sono intensificati nell’ultima settimana e secondo l’inviato delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, la città potrebbe cadere nelle mani del generale Khalifa Haftar e del suo autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) nelle prossime settimane. Il 12 dicembre Haftar ha tenuto un discorso in tv e ha parlato di “una vittoria inevitabile”. Se questo dovesse avvenire, non vorrebbe però dire la fine di una guerra civile che ha sempre di più una dimensione internazionale.
Il governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al Sarraj e le milizie che lo appoggiano sono in forte difficoltà, dopo che la Russia tre mesi fa ha cominciato a sostenere, anche sul campo, le forze di Haftar. Ma Al Sarraj può contare sull’aiuto della Turchia: il 10 dicembre il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato che, se necessario, potrebbe inviare a Tripoli le truppe turche da schierare al fianco delle milizie fedeli al Gna. La posta in gioco è alta per Ankara, che due settimane fa ha firmato un memorandum d’intesa con Tripoli che prevede l’espansione della presenza turca in Tripolitania e nel mar Mediterraneo, anche in termini di concessioni petrolifere.
La Libia è nel caos a partire dal 2011, dopo la rivoluzione che ha portato alla caduta del dittatore Muammar Gheddafi. Da allora, il paese non ha trovato pace. Nel 2014 Haftar ha lanciato una campagna contro le milizie islamiste e nel 2016 contro il gruppo Stato islamico nell’est del paese. Dal 4 aprile 2019 il generale è partito alla conquista di Tripoli. Come spiega il ricercatore tedesco Wolfram Lacher nel rapporto Who is fighting whom in Tripoli?, pubblicato nell’agosto del 2019, “l’offensiva lanciata da Haftar ad aprile del 2019 è la più grossa mobilitazione militare nel paese dalla rivoluzione del 2011”. In otto mesi di combattimenti sono morte duemila persone e gli sfollati sono 160mila.
La rapida offensiva ha inizialmente colto di sorpresa le milizie che sostengono il Gna nell’ovest del paese. Prima dell’offensiva di aprile, le milizie della Tripolitania erano divise: “Alcuni gruppi armati esercitavano un’influenza sproporzionata sulle istituzioni di Tripoli, provocando molto risentimento nelle milizie che controllano le altre città della regione”. Ma la campagna militare di Haftar contro Tripoli ha avuto come effetto quello di ricompattare le milizie della Tripolitania, spiega Lacher. Il ricercatore sottolinea inoltre che “le forze che combattono contro Haftar provengono dalle stesse comunità che hanno sostenuto la rivoluzione contro Gheddafi nel 2011. Mentre quelli che sostengono il generale, soprattutto nel sudovest del paese, provengono da fazioni leali a Gheddafi che hanno vissuto la guerra del 2011 come una sconfitta”.
Questa guerra viene combattuta soprattutto con i droni, di cui sono stati documentati oltre mille bombardamenti dall’inizio del conflitto. Come spiega la ricercatrice Mary Filtzgerard si tratta di “una guerra con pochi combattenti”. Fino a tre mesi fa la battaglia di Tripoli era in stallo, ma con l’impegno di Mosca al fianco di Haftar la situazione è rapidamente cambiata in favore del generale. Da ottobre, secondo alcuni rapporti, sono arrivati in Libia tra i 600 e gli 800 mercenari russi. Si tratterebbe di mercenari del gruppo Wagner, che sarebbero stati inviati da Mosca anche in Siria e in Ucraina. Il gruppo Wagner è un’azienda privata che farebbe capo a Evgenij Prigožin, un uomo d’affari che ha rapporti molto stretti con il Cremlino. Mosca ha sempre rifiutato di commentare la presenza di queste truppe.
Embargo violato
Molti temono tuttavia che se Tripoli dovesse cadere nelle mani di Haftar, il conflitto si farebbe ancora più cruento e sarebbe combattuto a quel punto quartiere per quartiere, casa per casa. “Temo un bagno di sangue e grandi movimenti migratori”, ha detto l’inviato dell’Onu Salamé intervenendo al Med dialogue di Roma il 7 dicembre. Al momento Haftar è sostenuto, oltre che dalla Russia, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto, dalla Giordania, dall’Arabia Saudita e dalla Francia. Mentre Al Sarraj è appoggiato dalla Turchia, dal Qatar e dall’Italia.
Gli Stati Uniti hanno sempre mandato messaggi contraddittori rispetto al conflitto libico: hanno detto di essere allarmati dalla presenza di mercenari russi sul campo, ma hanno sempre appoggiato Haftar contro il gruppo Stato islamico e non hanno condannato l’offensiva del generale su Tripoli. In un comunicato il segretario di stato statunitense Mike Pompeo ha dichiarato che nessuna delle due forze in campo ha la capacità di vincere: “Nessuna vittoria sul campo può portare a una soluzione politica stabile”. Molti esperti sostengono infatti che Tripoli può essere distrutta dai bombardamenti di Haftar, che tuttavia non sarà mai in grado di controllare la città sul terreno.
Intanto il processo di pace, avviato dalle Nazioni Unite, è fallito. “Dall’inizio della crisi, il livello delle interferenze esterne è aumentato e sono aumentati gli approvvigionamenti di armi, ma non possiamo permettere che questo accada all’infinito”, ha detto Salamé, durante la conferenza. Salamé ha tra l’altro sottolineato, senza citare esplicitamente Haftar, che “una delle due parti fa più affidamento dell’altra su forniture esterne”.
Il 10 dicembre è stato presentato il report finale di un panel di esperti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in cui si fa particolare riferimento alla violazione dell’embargo sulle armi alla Libia e al contrabbando di petrolio. “Il trasferimento di armi alla Libia è stato frequente e in molti casi nemmeno occultato, con nessun riguardo alle sanzioni previste dall’embargo”, denuncia il rapporto. Secondo gli esperti, le armi arrivano in Libia via mare e per via aerea e ne beneficiano entrambi gli schieramenti; i principali fornitori sono gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania e la Turchia. Il rapporto mostra anche che nel conflitto libico sono attivi mercenari stranieri, si fa riferimento a cinque gruppi armati sudanesi (quattro in sostegno di Haftar e uno in sostegno di Al Sarraj) e quattro gruppi armati del Ciad.
Salamé, parlando a Roma, ha anche chiarito che la situazione drammatica in Libia è in parte frutto delle divisioni della comunità internazionale sul conflitto. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito 14 volte senza riuscire a prendere una decisione sulla Libia. Sono in corso le riunioni preparatorie in vista del vertice di Berlino sulla Libia, voluto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che dovrebbe concentrarsi su sei punti: i negoziati per un cessate il fuoco, il ripristino del tavolo delle trattative, la garanzia dell’efficacia dell’embargo, possibili riforme economiche e infine la sicurezza e i diritti umani. Tuttavia, data l’escalation del conflitto, il vertice promosso dalla Germania rischia di saltare. La grande assente è Roma, che sembra avere un ruolo internazionale sempre più marginale nella questione libica, nonostante gli importanti interessi economici e politici nell’ex colonia e nonostante il tacito rinnovo del Memorandum d’intesa sull’immigrazione avvenuto il 2 novembre.