Per la maggioranza dei brasiliani Sérgio Moro è un idolo e il simbolo della lotta all’impunità nel paese. Ma oggi l’ex giudice che ha diretto l’inchiesta anticorruzione lava jato (autolavaggio), nel frattempo diventato ministro della giustizia e della sicurezza nel governo di Jair Bolsonaro, e con palesi ambizioni politiche, è anche il protagonista principale di uno scandalo che potrebbe avere ripercussioni serie sulla politica del Brasile.
Il 9 giugno il giornale online The Intercept ha pubblicato una serie di reportage che includono messaggi privati tra Moro e il pubblico ministero brasiliano Delta Dallagnol, scambiati attraverso l’applicazione Telegram e ottenuti da una fonte anonima. Se la veridicità del contenuto dei messaggi fosse confermata, la fama di Moro come giudice imparziale nell’inchiesta sul più grande scandalo di corruzione della storia del continente – l’indagine ha portato alla condanna di sei ex presidenti latinoamericani – verrebbe definitivamente meno. Era già stata compromessa a gennaio 2019 con la sua nomina a ministro in un governo di estrema destra.
I messaggi rivelano un comportamento scorretto da parte del giudice, che avrebbe interferito illegalmente nell’indagine in modo che l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (del Partito dei lavoratori, Pt), in carcere a Curitiba dall’aprile del 2018, non si potesse presentare alle elezioni politiche, nonostante fosse in testa nelle intenzioni di voto. Una tesi condivisa dai sostenitori di Lula e dai militanti del Pt, secondo cui l’ex icona della sinistra latinoamericana è stata volutamente esclusa dalla competizione politica. Anche se la costituzione brasiliana distingue in modo chiaro il ruolo del giudice da quello del pubblico ministero e nonostante Moro abbia ripetuto più volte di non essere “un giudice inquisitore”, le intercettazioni mostrano che ha oltrepassato i limiti consentiti alla sua funzione.
Secondo Greenwald, quando un’informazione rivela trasgressioni o illeciti commessi da parte di chi ha il potere, va diffusa
The Intercept ha deciso di diffondere il materiale ricevuto proprio per le enormi ripercussioni politiche che ha avuto l’inchiesta lava jato, sottolineando che è solo l’inizio di un’indagine giornalistica più ampia. In un editoriale a margine degli altri articoli, il giornale online spiega le ragioni della scelta: “L’indagine lava jato ha coinvolto decine di imprenditori, di esponenti politici ed ex presidenti, non solo in Brasile. E soprattutto ha portato in prigione l’ex presidente Lula, rendendolo ineleggibile. La sua esclusione dalle elezioni presidenziali, basata su una decisione di Moro, ha aperto la strada alla vittoria di Bolsonaro. Inoltre, queste rivelazioni sono ancora più importanti alla luce della nomina di Moro a ministro della giustizia. I pubblici ministeri dell’inchiesta parlavano apertamente del loro desiderio d’impedire la vittoria del Pt e il giudice Moro collaborava con loro in modo segreto e immorale per costruire l’accusa contro Lula”.
Riguardo all’opportunità o meno di pubblicare conversazioni private che coinvolgono anche funzionari dello stato, il fondatore di The Intercept, Glenn Greenwald, noto per aver pubblicato i documenti sottratti al governo statunitense da Edward Snowden, scrive: “Abbiamo deciso di seguire il modello di riferimento per i giornalisti di tutte le democrazie del mondo. Quando un’informazione rivela trasgressioni o illeciti commessi da parte di chi ha il potere, va diffusa; se invece è strettamente privata e lede il diritto alla riservatezza di una persona, va preservata. D’altronde è lo stesso principio che ha spinto gran parte della società brasiliana ad applaudire la decisione di Moro nel 2016 di divulgare le conversazioni tra Lula e l’ex presidente Dilma Rousseff (Pt). Sono state proprio quelle conversazioni a portare la maggioranza dell’opinione pubblica contro il Partito dei lavoratori, spianando la strada alla messa in stato di accusa e alla destituzione di Rousseff nel 2016 e alla condanna di Lula nel 2018”.
Ancora non è chiaro quali saranno le conseguenze delle rivelazioni di The Intercept sul governo e sulla politica brasiliana. Ma una cosa è certa: l’immagine di Sérgio Moro come eroe della lotta alla corruzione ne uscirà molto ridimensionata. “In una democrazia in salute”, scrive la giornalista brasiliana Carol Pires sul New York Times, “Moro dovrebbe dimettersi da ministro della giustizia o almeno farsi da parte fino a quando non si concluda un’eventuale inchiesta sul suo operato come giudice nell’indagine lava jato. Ma tutto lascia pensare che la nostra democrazia sia malata e che Moro non abbia intenzione di uscire di scena”.
L’ex giudice non si è detto sconvolto dalle rivelazioni di Intercept. Anzi. Ha criticato il sito di Greenwald, perché non lo ha contattato prima della pubblicazione degli articoli e perché non ha rivelato la sua fonte. E rispetto al contenuto dei messaggi, secondo Moro non c’è niente di “anormale” nel suo operato di giudice. Per ora il presidente Bolsonaro non lo ha difeso pubblicamente, limitandosi a comparire vicino a lui durante un appuntamento ufficiale della marina a Brasília. Gli avvocati di Lula invece si sono espressi con chiarezza: sul tavolo ci sono tutti gli elementi per chiedere una revisione del processo che ha portato in carcere il leader del Pt e della sinistra brasiliana.
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