La satira come arma contro il potere algerino
“Ogni scherzo è una piccola rivoluzione”, scrive George Orwell nella Fattoria degli animali e gli algerini hanno ritrovato un grande senso dell’umorismo dal 22 febbraio, giorno della prima manifestazione per contrastare la candidatura al quinto mandato presidenziale del presidente Abdelaziz Bouteflika.
Dopo un grave ictus nel 2013, il presidente Bouteflika, salito al potere nel 1999, non si era più fatto vedere in pubblico. Comunicava con il popolo tramite bollettini scritti o attraverso dei suoi ritratti che venivano appesi o proiettati. Infine ha “deciso” di annunciare la sua quinta candidatura dalla stanza dell’ospedale svizzero dov’era in cura. Sembrava veramente un scherzo di cattivo gusto e ha spinto gli algerini a scendere in strada e a scegliere di commentare con ironia, senso dell’assurdo e pacifismo la nuova candidatura del presidente fantasma. Una scelta altamente politica.
Di fronte a questo simbolo grottesco del potere – durante le cerimonie ufficiali poteva capitare che venissero esposti quadri o poster del presidente Bouteflika – la piazza algerina ha risposto con un acuto umorismo. Davanti a chi ricorda Ubu Re, personaggio dello scrittore dell’assurdo, Ionesco, è sembrata l’unica risposta possibile.
Tutti cartelli, gli striscioni e le scritte circolati durante le manifestazioni hanno messo in chiaro che gli algerini scendono per strada con la rivoluzione del sorriso e per portare avanti proteste pacifiche.
Per commentare l’annuncio della rinuncia di Bouteflika alla sua quinta candidatura, il caricaturista algerino Dilem si felicita della grande notizia “che tutti aspettavano”: il ritorno di Zidane al Real Madrid.
Un altro fotomontaggio portato in piazza mostra Zidane in compagnia di Bouteflika che chiede al campione: “Sei riuscito a cambiare il regolamento del Real per rimanere?”, riferendosi al prolungamento del suo quarto mandato presidenziale, che non è costituzionale. Sulla scia della metafora calcistica nelle piazze è apparsa la scritta: “Niente tempi supplementari, non siamo in una partita di calcio”.
L’ingerenza dei paesi occidentali – l’ex potere coloniale francese in primis – è rimandata al mittente immediatamente: una fatma – una signora anziana – intima a Macron di “andare a occuparsi dei suoi gilet gialli”, mentre all’America si precisa che “non c’è più petrolio, solo olio d’oliva” e non c’è quindi bisogno del loro intervento. Il ricordo del ruolo occidentale nelle primavere arabe è ancora molto sentito.
Gap generazionale
Sull’Huffpost Maghreb, Latifa Abada sottolinea la finezza dei commenti politici degli studenti algerini che rispondono giorno per giorno con le loro scritte alle dichiarazioni politiche: “Avete davanti una generazione che vi conosce bene e che non conoscete per niente”, scrive uno studente, mentre i riferimenti a un mondo 2.0 rivelano il desiderio di fare un salto nel futuro: “Abbiamo l’iPhone, 1, 2, 3gs, 4, 4s, 5 e tu sei sempre qua”, scrive un altro studente, mentre una signora chiede “un reboot per il regime 5.0”.
Anche i più anziani hanno ritrovato il sorriso, come l’insegnante Boumediene Sid Lakhdar, che scrive sul Matin d’Algérie un pezzo satirico intitolato: “Banda di giovani scervellati, non toccate il mio Abdelaziz”, specificando che da quando aveva sette anni – e ne ha oggi 64 – il presidente l’ha accompagnato in tutti momenti della sua vita, “da quando Bouteflika, giovane eroe nazionale in pantaloni a zampa di elefante faceva innamorare tutte le attrici e principesse dal mondo” fino a oggi, nel suo letto d’ospedale svizzero.
Visto dal mondo arabo
Il fenomeno è diventato un paradigma politico e i paesi limitrofi osservano attentamente le proteste in Algeria. In Egitto, gli ex rivoluzionari sono entusiasti della protesta che per ora sembra pacifica, la Siria in guerra civile dedica le prime pagine dei suoi giornali all’Algeria. L’oppositore siriano Salam al Kawakibi esprime la speranza di tutta una generazione di democratici arabi su Al Araby: “La società civile e le élite culturali algerine sono di sicuro capaci di sostenere un movimento di protesta pacifico se il governo non ricorre alla violenza”.
In Algeria, la ricercatrice Aissa Kheladi scriveva nel 1995 nel suo saggio Rire quand même: l’humour politique dans l’Algérie d’aujourd’hui (Ridere comunque: umorismo politico nell’Algeria di oggi), che “la guerra civile aveva messo tra parentesi l’umorismo nel paese, perché ridere dell’altro significa anche capirlo”. Oggi i visi ilari dei giovani manifestanti potrebbero confermare che questa parentesi è definitivamente chiusa.
E cosi la satira è al servizio di un altro principio politico al quale i manifestanti sembrano volersi attenere: il pacifismo. Molto è stato scritto nel 2011 sul “muro della paura” degli algerini che non manifestarono, memori del trauma della guerra civile che ha lacerato il paese del 1992 al 1998. Oggi, giovani e società civile vogliono “liberare l’Algeria” come dice il titolo di questa canzone, colonna sonora di queste manifestazioni senza violenza, fatte con il sorriso sulle labbra.