Giovedì 15 febbraio ho visto sedici ore consecutive di televisione. Era una giornata piovigginosa e fredda. Ho acceso lo schermo poco prima delle otto e ho spento verso mezzanotte con gli occhi lucidi e un ronzio in testa che sono riuscito a placare solo nel sonno. Senza muovermi dal mio salotto, ho voluto sperimentare cosa succede nella bolla di un giorno qualunque di campagna elettorale per quei 50 milioni e passa di italiani che – secondo le statistiche – guardano almeno un’ora di tv quotidiana.
C’è da fare una piccola premessa. Da bambino, anzi fino all’adolescenza inoltrata, sono stato un videodipendente: guardavo, con l’evidente distrazione complice dei miei genitori, dalle tre alle dodici ore di tv al giorno. La televisione poteva essere il centro del dibattito domestico, o anche semplicemente il rumore bianco che faceva da basso continuo allo scorrere del tempo privato.
Istruito alla liturgia catodica come un chierichetto, ho fatto il figurante in programmi per ragazzi, ho partecipato a dibattiti sulle reti locali in qualità di “giovane”, sono stato selezionato per partecipare a Doppio slalom, sono intervenuto varie volte da ragazzino al Maurizio Costanzo show, una volta sono stato ospite di Amici. E dunque ogni volta che mi piazzo davanti allo schermo è come se tornassi a casa, il telecomando in mano, il mio luogo naturale.
Le conduttrici assentono con tono indulgente o appena critico, danno la parola, ci tengono a evitare interruzioni
La media giornaliera di ascolti delle sole sette televisioni generaliste – i tre canali Rai, i tre canali Mediaset, La7 – è di sei milioni di persone, un italiano su dieci contando anche i neonati. Nella fascia di prima serata (prime time) si arriva a 15 milioni di persone, un italiano su quattro. Circa il 90 per cento degli italiani guarda almeno un’ora di televisione al giorno, e sempre la tv è la fonte di informazione principale per la maggior parte di loro.
Giovedì mi sono limitato anche io ai primi sette canali. Ho aperto gli occhi, mi sono fatto il caffè e ho acceso la tv. Erano le otto meno cinque: su Rai uno era in onda Unomattina alternato ai telegiornali, su Rai due la diretta delle Olimpiadi invernali. Sulle reti Mediaset c’era una vecchia puntata del cartone animato Heidi (Italia 1), un telefilm (Detective Monk, Rete 4) e Mattina cinque (Canale 5), che è una specie di tg intervallato da chiacchiere. Ho pascolato un po’ tra una rete e l’altra per poi concentrarmi su Agorà, il talk show di Rai tre condotto da Serena Bortone, e Omnibus, quello di La7 condotto da Gaia Tortora.
Gli argomenti principali erano i rimborsi non restituiti dai vari parlamentari del Movimento 5 stelle, la frana stradale che c’era stata alla Balduina a Roma, la sparatoria in una scuola della Florida, il fascismo che sta tornando.
Nei talk della mattina si ha la possibilità di parlare in modo abbastanza disteso. Le conduttrici assentono con tono indulgente o appena critico, danno la parola, ci tengono a evitare interruzioni, mettono gli ospiti a proprio agio, è molto scorrevole esporre le proprie tesi, ed è bene.
Ma è scorrevole anche non essere incalzati sui dati delle affermazioni, sulla preparazione rispetto ai temi proposti, sulla inoppugnabilità delle argomentazioni, ed è male. La discussione sulle leggi fatte o proposte non è articolata, i temi economici restano piuttosto nebulosi, la credibilità di ciò che si afferma non è mai verificata.
A metà mattina, mentre vado in cucina a preparare un secondo caffè, ad Agorà si litiga sulla riduzione degli stipendi dei parlamentari. Il tono è quello di un litigio ininterrotto in cui la cultura politica può limitarsi al piccolo cabotaggio, parlamento e salotto televisivo si somigliano fino praticamente a confondersi. I temi, grandi e piccoli, non compaiono. La campagna elettorale sembra ridotta a un l’ho detto prima io, ti ho beccato, hai detto così e poi non era vero.
Oltre il genere del dibattito litigioso-politico e quello dei rapporti uomo-donna, c’è un terzo filone ed è quello contro gli immigrati
È ovvio che buona parte del pubblico della mattina sia di persone anziane, e questo si riflette sugli spazi pubblicitari, occupati da prodotti contro il colesterolo, contro l’irritazione al colon, contro il mal di schiena, l’incontinenza, le infiammazioni, le verruche. Non so quante volte sento ripetere “drenante” o “depurante”: una proposta parafarmaceutica che si estende a dire il vero per tutta la giornata. Alle dodici su Rai uno, Elisa Isoardi presenta Buono a sapersi, con una puntata tutta sulle emorroidi. Poi partono i programmi di cucina.
I fatti vostri su Rai due è l’unica trasmissione di metà giornata con momenti di semplice allegria: ossia metà della trasmissione è dedicata all’esibizione di varie storie su cui piangere o indignarsi; ma nell’altra metà Giancarlo Magalli scherza al telefono con gli spettatori. È un’eccezione nel palinsesto culinario, ansioso, dolente o litigioso. Per qualche avere momento puramente ludico bisogna aspettare i quiz del preserale.
La fascia della tv tra il pranzo e il primo pomeriggio conserva la stessa aria di famiglia della mattina, tra La prova del cuoco, Detto fatto, Forum, Uomini e donne. Io pranzo, faccio un paio di telefonate di lavoro, una lavatrice. Intanto in tv ci si chiama per nome, si danno ricette, si cucina tanto, gli studi sono illuminati come se si fosse in spiaggia (alle volte, vedi l’Isola dei famosi, si è proprio in spiaggia), e donne sorridenti e accoglienti fanno le padrone di casa: Caterina Balivo, Barbara D’Urso, Maria De Filippi, Barbara Palombelli… Si chiacchiera di relazioni, di come conquistare lui, mettere su famiglia e fare figli, come scegliere il vestito da sposa e “migliorare il lato b”, perché – come possono ripetere per più di un’ora Cecilia Rodriguez e il fidanzato – “dopo il nido d’amore c’è da pensare alla cicogna”.
Lezioni di vita
Il gossip, la tv delle relazioni, la zona grigia in cui è tutto veramente finto, viene piegato per dipensare una morale. A Forum si discute del caso di un ragazzo di nemmeno vent’anni che ha messo online il video della fidanzata ubriaca, “per farle capire quanto fa schifo”.
La conduttrice Barbara Palombelli pensa che abbia fatto tutto sommato bene, il pubblico in studio concorda, quello a casa – sondaggio telefonico – anche. Palombelli, dopo aver dato l’imprimatur, sentenzia, senza nessun dato, nessun esperto, nessuna competenza, sulle “abitudini di questa generazione”. Cori d’approvazione. Anche se il giudice fa dei rilievi giuridici sulla privacy, si è deciso che la ragazza fa schifo e andava educata. Pubblicità.
Oltre il genere del dibattito litigioso-politico e quello dei rapporti uomo-donna, c’è un terzo filone ed è quello contro gli immigrati. Anche questo è una specie di programma trasversale che dura tutto il giorno: una buona parte di Mattino cinque per esempio è dedicato non alla sparatoria di Luca Traini a Macerata, ma all’omicidio di Pamela Mastropietro, raccontato attaccando la comunità nigeriana.
La discussione passa – con la voce di esperti (sempre maschi) o politici – dall’idea che sia coinvolta la mafia nigeriana o quella cinese all’ipotesi che l’omicidio sia stato perpetrato come un rito tribale con vudù e cannibalismo. Si dà la parola a chi sostiene che “la cosa più sconvolgente non è tanto l’omicidio quanto che quei tre nigeriani erano in Italia”, a quelli per cui il “retaggio culturale” avrebbe armato gli assassini nigeriani, ad altri per i quali “accogliamo solo manodopera per la criminalità”. Nessuno replica.
Quello che più salta agli occhi in sedici ore di tv è quello che non c’è
L’immagine di un paese travolto, tra il panico e una domanda esasperata di sicurezza, si riflette fino ad allagare i tg, dalla Rai a Mediaset, che diventano un’unica voce enfatica e allarmata. E alla fine, nella palude di questa morale in versione paternalista o razzista, quello che più salta agli occhi in sedici ore di tv è quello che non c’è.
Un’assenza assoluta nei sette canali tra cui faccio zapping sono proprio gli immigrati. Se circa il 9 per cento della popolazione italiana è composta di stranieri, la percentuale in tv si avvicina allo zero assoluto. C’è qualche storia difficile, la soubrette o il ballerino nero. Ma non c’è uno straniero che conduca un programma, un candidato alle elezioni, un ospite come esperto in qualcosa; non ci sono stranieri nelle fiction se non in ruoli marginalissimi, non esistono nelle pubblicità se non in quelle dell’8 per mille alla chiesa cattolica.
Anche i ragazzi quasi non esistono, ma si parla moltissimo di problemi giovanili. Chi ha sotto i trent’anni in tv balla e canta e litiga (Amici), prende il sole e litiga (L’isola dei famosi), litiga e basta (Forum), è uno youtuber o un influencer. Nel resto dei casi, molto più spesso, i ragazzi fanno la claque nei programmi, sono analizzati come casi studio, o interpretano il ruolo dei “giovani”. Come in Passato e presente, il nuovo programma di storia di Rai 3 che ha sostituto Il tempo e la storia. In Passato e presente è chiamato a pontificare Paolo Mieli e poi ci sono tre studenti universitari di storia, che si limitano ad avere un ruolo solo di spalla.
Morale per undicenni
Se non esistono dei giovani consapevoli, la maggior parte degli adulti sono infantilizzati. La sintesi di questo universo di adulti-bambini è il programma più seguito della tv da decenni, Striscia la notizia. La prima puntata andò in onda nel 1988, prima di Tangentopoli e della discesa in campo di Berlusconi. Oggi Striscia è diventata il paradigma della televisione italiana: contiene in sé tutti i generi, e li fa esplodere al loro massimo grado.
Il 14 febbraio, il programma di Antonio Ricci, come dicono i comunicati stampa, “ha segnato il record stagionale, risultando ancora una volta il programma più visto dell’intera giornata con 6.409.000 telespettatori e il 22,8 per cento di share, picco di 8 milioni di spettatori”.
Striscia si dichiara un tg satirico, ma quello che mette in scena è una caricatura. Il risultato è un tg ridicolo e un dileggio continuo che funziona per la sua ripetitività martellante. Basta mescolare spezzoni di altre trasmissioni con pernacchie e risate registrate in interrotto, con bing! pong! swiish! squek! a fare da commento sonoro a qualunque video: una specie di programma per bambini, o meglio appunto per adulti infantilizzati.
Striscia la notizia equivale al solletico per mezz’ora. Dentro questo calderone, ci sono le vallette che fanno le linguacce, “Che brave, che belle”, battutine insinuanti di politica (la par condicio per Striscia non vale), ma soprattutto va in scena il tribunale su quella che è stata la tv della giornata, in cui si mostrano gaffe, sbagli, si danno i voti, si consegna il tapiro. Con la retorica dell’iconoclastia, si costruisce il programma più moralista della tv italiana: una morale a misura di undicenne.
Il resto della serata produce un rumore sordo. Che siano Quinta colonna con Paolo Del Debbio che fa due deprimenti interviste a Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi, o lo speciale su Sanremo di Rai tre (Grazie dei fiori) o quello sugli anni novanta (90 special) su Italia uno, tutto sa di già visto. Una ripetizione di un passato recente, in cui Berlusconi replica la scena farsesca del contratto con gli italiani, Giorgia Meloni a Piazza Pulita può fare l’elogio di Almirante, la mattina vanno in onda le repliche di A Team, a pranzo le nuove puntate di Beautiful (siamo alla 7.780esima), la sera l’undicesima stagione di Don Matteo. Non ho nemmeno cenato.
Quando spengo, mi rendo conto di non avere a disposizione nessun tipo di consolazione, o di morale della fiaba, neppure ricavata per contrasto. Perché non lo so davvero se questa ripetizione coatta è la metafora di un paese in cui tra pochi giorni vincerà probabilmente la destra più nostalgica, già vista, che potevamo immaginare. Oppure se quello che sta dentro lo schermo è l’ultimo rifugio, inattaccabile, sempre uguale a se stesso, per una società talmente in crisi e dissolta che teme perfino di guardarsi.
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