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Perché l’Italia non alza la voce con Erdoğan

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e la moglie a Roma, il 4 febbraio 2018. (Kayhan Ozer, Anadolu Agency/Getty Images)

Quando le immagini dell’intervento turco nel nord della Siria hanno mostrato i carri armati di fabbricazione tedesca Leopard 2 che bombardavano il cantone curdo di Afrin, in Germania è subito scoppiato un caso politico. A molti è sembrato intollerabile che le armi tedesche fossero impiegate per invadere uno stato sovrano e attaccare le milizie curde dell’Ypg, che sono state l’unico vero alleato sul campo dell’occidente nella lotta al gruppo Stato islamico.

Di fronte alle polemiche il governo tedesco è stato costretto a sospendere un accordo con la Turchia per l’ammodernamento degli stessi carri armati, rinviando la discussione a quando saranno terminate le trattative per la formazione del nuovo esecutivo.

Poco dopo è emerso che nella stessa operazione la Turchia stava impiegando anche gli elicotteri d’attacco T129, prodotti in partnership con la Leonardo (l’ex Finmeccanica, controllata dal governo italiano), ma la classe politica italiana non ha battuto ciglio. Forse perché in Italia c’è meno ingenuità che in Germania, dove i cittadini si stupiscono che le armi esportate dal loro paese vengano usate dagli importatori. O forse perché, nonostante i rapporti sempre più difficili tra Ankara e il resto della Nato, la Turchia resta uno dei mercati più importanti per l’industria bellica italiana, e ha appena firmato un accordo preliminare per lo sviluppo di un sistema di difesa aerea con il consorzio franco-italiano Eurosam, di cui fa parte la stessa Leonardo. Un affare potenzialmente molto più ricco di quello sospeso da Berlino.

Dichiarazioni cosmetiche
L’accordo non aveva impedito al presidente francese Emmanuel Macron di cogliere un’altra occasione per presentarsi come il nuovo leader morale dell’occidente, convocando d’urgenza il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e censurando l‘“invasione” turca in Siria. Ma dopo la reazione infuriata di Ankara, Macron è stato lesto a fare marcia indietro.

Nonostante le dichiarazioni cosmetiche dei governi europei sulla deriva autoritaria del presidente Recep Tayyip Erdoğan, sulla repressione di massa scatenata dopo il tentato colpo di stato del 2016 e sul ruolo sempre più ambiguo nel conflitto siriano, infatti, la Turchia è semplicemente troppo importante. Può far riesplodere in un attimo la crisi dei migranti, rompendo l’accordo con l’Unione europea che nel 2016 ha chiuso la rotta balcanica. E può approfondire ulteriormente il suo coordinamento con la Russia, togliendo agli europei qualunque possibilità di influenzare l’esito della guerra in Siria e il futuro assetto del Medio Oriente.

Due minacce temibili soprattutto per l’Italia, che va verso un’elezione dominata dal tema dell’immigrazione, che ha bisogno della collaborazione della Turchia per stabilizzare la Libia e che ha ad Ankara uno dei partner cruciali del gasdotto Tap e degli altri progetti energetici nella regione. Questo spiega perché, nel pur flebile coro delle critiche europee ad Ankara, la voce del governo italiano non si è praticamente sentita. E perché difficilmente i toni cambieranno durante la visita di Erdoğan a Roma.

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