Le accuse di stupro e violenza rivolte da due donne al celebre islamologo svizzero Tariq Ramadan stanno avendo delle conseguenze inaspettate in Francia. Molto diverse da quelle causate negli Stati Uniti e in Europa dalle denunce per molestie sessuali contro il produttore cinematografico americano Harvey Weinstein.

La vicenda di Ramadan è infatti l’occasione di una specie di regolamento di conti tra il settimanale satirico Charlie Hebdo ed Edwy Plenel, direttore del giornale online Mediapart. Due protagonisti che sulla religione, e in particolare sull’islam, sono da tempo su posizioni molto diverse e spesso in polemica. A scagliare la prima pietra questa volta è stato Charlie Hebdo, con una caricatura di Plenel e dei suoi caratteristici baffi che la disegnatrice Coco ha messo a coprirgli la bocca, le orecchie e gli occhi. Il titolo – “Vicenda Ramadan, Mediapart rivela: ‘Non sapevamo’” – è un riferimento neanche tanto velato alle presunte simpatie di Plenel nei confronti dello studioso.

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Poco dopo l’attacco a Parigi contro Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015 – in cui furono uccise dieci persone, tra disegnatori, giornalisti e personale – Plenel sostenne che Ramadan, regolarmente accusato dal settimanale satirico di avere un “doppio linguaggio” – radicale in arabo con i fedeli, conciliante in francese e in inglese con gli occidentali – è “un intellettuale rispettabile” e senza “ambiguità”. Plenel è anche autore del saggio Pour les musulmans (Per i musulmani), considerati una minoranza che secondo lui incarna il moderno proletariato, vittime di una sinistra laicista a oltranza e che ha perso i suoi riferimenti; ha partecipato a numerose conferenze sull’islam insieme a Ramadan e ha sempre sostenuto la necessità di dare la parola anche a chi, come il teologo svizzero, è su posizioni radicali.

I suoi distinguo tra islam e fondamentalisti all’indomani dell’attacco a Charlie Hebdo e il suo atteggiamento giudicato compiacente nei confronti degli islamisti hanno contribuito ad alimentare un clima di reciproca disistima, che però finora era rimasto confinato al microcosmo del mondo dell’informazione parigino. Le accuse di stupro nei confronti di Ramadan hanno fornito alla redazione di Charlie un’occasione d’oro per scoccare una frecciata definitiva contro il direttore di Mediapart.

Plenel ha reagito accusando a sua volta Charlie Hebdo di sostenere “una campagna più globale” portata avanti tra l’altro dall’ex primo ministro socialista Manuel Valls – sostenitore della posizione ultralaicista di Charlie – e da “una sinistra smarrita, alleata a un’estrema destra identitaria e che trova qualsiasi pretesto per coltivare la sua ossessione: la guerra ai musulmani e a tutto ciò che riguarda l’islam”. Plenel paragona anche la copertina di Charlie Hebdo alla famigerata Affiche rouge nella quale l’occupante nazista invitava a denunciare il gruppo di partigiani della cellula Manouchian.

Giornale martire, paladino della laicità, Charlie Hebdo incarna la lotta per la libertà di espressione e per questo è inattaccabile

Parole pesanti alle quali Riss, il direttore di Charlie Hebdo, ha risposto scrivendo che, indicando il suo giornale come “un presunto aggressore dei musulmani”, Plenel “condanna a morte una seconda volta” la sua redazione. Con le sue “parole imperdonabili”, prosegue, Plenel “incoraggia coloro che domani vorranno finire il lavoro dei fratelli Kouachi”, autori del massacro del 2015. “Se domani ci fanno fuori tutti quanti, se domani non ci saremo, speriamo che rimanga qualcuno di coraggioso per chiedere giustizia contro coloro che ci avranno colpiti, ma anche contro quelli che li avranno armati”, aggiunge Riss, che, come parte dei suoi colleghi, vive tuttora sotto scorta.

L’escalation verbale ha portato in questi giorni a una situazione inestricabile quanto malsana: giornale martire, paladino della laicità senza compromessi e ormai parte del patrimonio collettivo dei francesi, Charlie Hebdo incarna nel mondo intero la lotta per la libertà di espressione ed è per questo inattaccabile. Ma Plenel, ex militante trotskista, non è tipo da restarsene zitto.

Tornato da un viaggio nel sudest asiatico, Plenel ha risposto, prendendosela soprattutto con Valls, accusato a sua volta di “cercarsi un capro espiatorio” e di tentare “un ritorno in forza su una linea identitaria e autoritaria avendo per solo programma la ‘guerra al fondamentalismo’ per uscire dal suo isolamento politico”. Secondo Plenel, l’attacco dell’ex premier e dei suoi è rivolto a “un giornale che disturba”, con le sue inchieste e le sue rivelazioni sulle malversazioni dei politici, senza riguardo per la loro appartenenza politica.

Il direttore di Mediapart sostiene che, malgrado le numerose prove dell’assenza di simpatia o di complicità del suo giornale nei confronti di Ramadan e dei fondamentalisti, “non c’è stato modo di fermare l’impazzimento mediatico” in quella che definisce “un esempio di deriva francese verso i ‘fatti alternativi’ cari a Donald Trump, un rifiuto dell’informazione a favore dell’opinione”. E osserva, giustamente, che “tutto ciò che riguarda da vicino o da lontano l’islam getta nel panico mezzi d’informazione e politici”, a scapito della ragione.

Laicisti contro “islamosinistra”
La diatriba è emblematica della frattura che percorre ormai da anni la sinistra francese e parte della sinistra europea sull’atteggiamento da avere nei confronti dell’islam, specie di quello più radicale: da una parte, a grandi linee, ci sono i paladini della rigida laicità e della libertà di espressione a tutti i costi, che respinge le rivendicazioni dell’islam politico giudicandole reazionarie e pericolose; dall’altra, i sostenitori di una forma di relativismo o addirittura di indulgenza nei confronti dell’islam più radicale, che accusa lo stato francese di razzismo nei confronti dei musulmani e che sfocia nel paternalismo. Charlie Hebdo incarnerebbe la prima, Mediapart la seconda.

La diatriba è complicata dalle letture divergenti della laicità in Francia (neutralità dello stato rispetto alle religioni? O repressione delle manifestazioni religiose pubbliche?) e del multiculturalismo che, quando si inoltrano sul terreno dell’identità, coincidono con quelle della destra più conservatrice. Lo si è potuto osservare nelle discussioni sul divieto dell’hijab, il velo islamico, nei luoghi pubblici, su quello del velo integrale o sul burkini in spiaggia.

In questa dicotomia tra “sinistra smarrita” e “islamosinistra” molti progressisti fanno fatica a scegliere – ammesso che sia possibile – da che parte schierarsi e preferirebbero che i toni si abbassassero per poter discutere civilmente su una questione che più di ogni altra merita un dibattito sereno, vista la posta in gioco.

Di certo la sinistra francese, che non si è ancora ripresa dalle sconfitte subite durante le elezioni presidenziali e legislative della primavera scorsa e fa fatica a ricostruirsi, non aveva bisogno di nuove spaccature.

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