L’inutile nostalgia dei Greta Van Fleet
Greta Van Fleet, When the curtain falls
Da un anno e mezzo circa c’è un gruppo statunitense che fa abbastanza parlare di sé e che nel giro di pochi mesi è passato dai concerti nei piccoli locali al Coachella. Si chiamano Greta Van Fleet e vengono da Frankenmuth, una piccola città del Michigan. Il gruppo è formato da tre fratelli e da un amico di famiglia che suona la batteria. Dal vivo suonano molto bene e i loro brani sono ben confezionati. Ma c’è qualcosa che non torna.
I Greta Van Fleet rappresentano tutto quello che non va nel rock di oggi, o perlomeno in una certa interpretazione del rock. Come ha scritto Simon Reynolds nel saggio del 2011 Retromania (è un libro illuminante, l’ho già citato mille volte e qui lo semplifico un po’, me ne scuso), la musica popolare da qualche anno è ostaggio della nostalgia. E perfino generi come il rock e il punk, nati come musica di protesta e di rottura, sono diventati confortanti oggetti da museo. Pensate che Reynolds esageri? Ascoltatevi i Greta Van Fleet.
La band del Michigan è la degenerazione dell’effetto nostalgia e del fenomeno delle cover band: non ha successo nonostante le sue canzoni siano uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin, ha successo perché le sue canzoni sono uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin. Il rimpianto per la cara e vecchia musica di una volta (spesso provato da persone che in quegli anni non erano neanche nate) ha fatto sì che dei ragazzini (il cantante Joshua Kiszka è il “vecchio” del gruppo e ha 22 anni, gli altri ne hanno 19) siano arrivati al successo planetario nel giro di poco più di un anno. Un esempio? Il loro tour mondiale al momento conta 54 date tra Stati Uniti, Europa e Oceania. E il concerto di febbraio all’Alcatraz di Milano è già praticamente sold out, nonostante il disco d’esordio della band, Anthem of the peaceful army, sia uscito il 19 ottobre (l’anno scorso però avevano pubblicato l’ep From the fires). La stampa specializzata ha dedicato parecchi articoli al “caso” Greta Van Fleet: quello più divertente secondo me è questo di Vice, mentre quest’altro, scritto da un estimatore del gruppo, è un un po’ più serio e strutturato.
Cosa si può dire di Anthem of the peaceful army? Che è un disco tecnicamente impeccabile ma senz’anima, senza coraggio e voglia di rischiare. È il disco di una cover band che ha deciso da poco di scrivere brani originali ma non riesce ad affrancarsi dai suoi idoli. Nel caso dei Greta Van Fleet il problema è che, più che non riuscirci, la band non vuole farlo. A partire da quel look da hippie che sfoggia durante i concerti, il gruppo statunitense sembra sapere molto bene cosa vuole un certo tipo di pubblico.
Prendete The cold wind, il secondo pezzo dell’album: la progressione è quella di Ramble on, mentre il giro di chitarra che si sente nella seconda parte del brano è preso pari pari da Down by the river di Neil Young. Il riff di When the curtain falls imita in modo così spudorato Jimmy Page che quasi non ci si crede. Insomma, va bene prendere ispirazione dai grandi del passato ma qui siamo molto oltre. Solo nella parte finale del disco c’è qualche pezzo leggermente più originale, o quantomeno ispirato ad altre sonorità, come Brave new world.
Il dibattito sull’autenticità della musica è vecchio e molti potrebbero obiettare che nessuna band è originale al cento per cento. Gli stessi Led Zeppelin hanno costruito la loro carriera sulle scopiazzature e i furti artistici. Ma quando la band di Robert Plant ha esordito, alla fine degli anni sessanta, ha proposto uno stile originale, in grado di rielaborare in modo personale il blues e il rock and roll delle origini . Oggi quello stile, com’è naturale che sia, è semplicemente vecchio di cinquant’anni e i Greta Van Fleet non fanno altro che imitarlo. Sarebbe più bello ascoltare dei ragazzi di vent’anni in grado di vivere e raccontare il proprio tempo che trovarsi di fronte a questa musica da museo delle cere.
Octavian, Sleep
Octavian è uno dei rapper britannici più interessanti usciti quest’anno. Dopo il contagioso singolo Party here, che gli ha fatto guadagnare un attestato di stima da parte di Drake, il cantante londinese il mese scorso ha pubblicato il suo disco d’esordio Spaceman.
Dal punto di vista sonoro ci sono parecchie cose che rimandano all’hip hop statunitense (Drake su tutti, ma anche i Migos), ma Octavian ha un gusto innato per l’introspezione, come tanti musicisti del Regno Unito, e suona molto più delicato dei suoi colleghi oltreoceano. Il quartiere dal quale viene, Camberwell, però non è meno difficile di quelli di Atlanta dove sono cresciuti gli artisti trap, viste le statistiche sul knife crime da quelle parti.
Gaye Su Akyol, İstikrarlı hayal hakikattir
Questa settimana su Internazionale abbiamo tradotto un articolo della rivista britannica The Wire su Gaye Su Akyol, cantante turca classe 1985 che, a differenza dei già citati Greta Van Fleet, riesce a riproporre il rock del passato in modo convincente. La sua idea è tanto semplice quanto efficace: mettere insieme la psichedelia con la musica tradizionale turca.
Il suo terzo disco, İstikrarlı hayal hakikattir (che in italiano si può tradurre come “La fantasia coerente è realtà”), uscirà il 26 ottobre e, a giudicare dal primo singolo, potrebbe essere molto interessante. Il fatto che Gaye Su Akyol dichiari di essere una fan dei Morphine me la rende già molto simpatica.
Elvis Costello, Unwanted number
Visto che questa settimana siamo un po’ passatisti, godiamoci il nuovo disco di Elvis Costello, che s’intitola Look now ed è uno dei suoi migliori negli ultimi anni. Scritto in parte con l’aiuto di Burt Bacharach e Carole King, è una raccolta di brani pop scritti con gusto e mestiere e suonati insieme ai fidati The Imposters. La nuova versione di Unwanted number, canzone composta negli anni novanta per la colonna sonora del film Grace of my heart, è uno dei momenti migliori.
Capibara, Mandria (feat. Dengue Dengue)
Conviene sempre tenere d’occhio La Tempesta, perché la casa discografica italiana offre spesso elettronica (e non solo) di primo livello. Il producer romano Capibara il 30 novembre pubblicherà il nuovo album Omnia. Questo è il secondo singolo estratto e s’intitola Mandria, come uno splendido brano di Iosonouncane. È stato registrato insieme ai peruviani Dengue Dengue Dengue, specializzati nel rendere futuristiche le tradizioni andine e latinoamericane.
P.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!