I viaggi interstellari dei The Comet is Coming
Fa un certo effetto vedere i The Comet is Coming, uno dei gruppi di punta del nuovo jazz psichedelico britannico, mentre mangiano tramezzini in un bar di via di Portonaccio, a Roma, in un assolato sabato pomeriggio. Non si potrebbe immaginare un luogo meno in sintonia con la loro musica ricca di suoni interstellari, di citazioni colte della fantascienza e della cosmologia.
Circondati dal tipico caos di un piccolo bar di quartiere con il soffitto e le pareti bianchissime, quasi sovrastati dalla musica a volume alto di una radio commerciale, i tre musicisti londinesi parlano senza scomporsi di dna, viaggi nel tempo, colonialismo e Sun Ra, mentre l’attività attorno alla macchina del caffé non si ferma. Mancano poche ore all’inizio del loro concerto al Monk, per la prima delle loro due date italiane, e loro stanno sfruttando il poco a tempo a disposizione per mangiare qualcosa prima del sound check.
I The Comet is Coming sono un trio, formato dal tastierista Dan Leavers (soprannominato Danalogue The Conqueror e specializzato nei sintetizzatori analogici), dal batterista Max Hallett (Betamax) e soprattutto dal sassofonista “King” Shabaka Hutchins, cresciuto tra Londra e le Barbados, una vera star del jazz locale e leader di altre band molto apprezzate dalla critica come Shabaka and the Ancestors e Sons Of Kemet, in passato collaboratore della Sun Ra Arkestra, degli Heliocentrics e non solo. La band è nata nel 2015, quasi per caso: una sera Hutchins è andato ad ascoltare i Soccer96, il duo formato da Hallett e Leavers. A un certo punto è salito sul palco e ha cominciato a improvvisare con loro. Di lì a poco il gruppo è entrato in studio e ha registrato prima un ep e poi il disco d’esordio Channel the spirits.
Definire la musica dei The Comet is Coming non è facile. Se è vero che ci sono diversi elementi tipici del jazz nei loro brani, il sintetizzatore di Danalogue e la batteria di Betamax virano spesso verso l’elettronica, l’hard rock, il grime, mentre il sassofono di Hutchins conserva una certa spiritualità ancestrale, evocando l’afrobeat di Fela Kuti e il John Coltrane di A love supreme. Dopo averli visti in concerto al Monk, non si può che rimanere stupefatti da quello che riescono a fare sul palco.
Alla stessa band non piace troppo definire la propria musica: “I generi interessano ai critici e ai giornalisti che vogliono solo etichettare le cose”, spiega Shabaka Hutchins. Si capisce che è figlio di un’insegnante dal modo forbito in cui parla e per come sceglie con cura maniacale le parole. “Dare un nome a qualcosa serve per identificarlo, per renderlo docile. Lo facciamo anche con i bambini, del resto. Il nome jazz non è stato creato dai musicisti, ma gli è stato imposto per limitare il progresso della musica afroamericana. Duke Ellington non poteva suonare alla Carnegie Hall i brani orchestrali che aveva composto perché quello non era considerato il suo territorio. Quando saranno i musicisti a dare un nome alla loro arte, o a rifiutarsi di farlo, sarà una conquista per tutti. Quando la musica viene etichettata muore”.
C’è qualcosa di profondo, e di politico, nei The Comet is Coming. Il loro nuovo disco, pubblicato a marzo e intitolato Trust in the lifeforce of the deep mystery, è ricco d’influenze che non hanno niente a che fare con la musica, che evocano temi complessi come l’origine della vita, i cambiamenti climatici e la cosmologia. Non avendo a disposizione le parole, lo fanno con i titoli delle canzoni e con le interviste. “La nostra esistenza è un mistero, giusto? Non sappiamo cosa c’era prima del big bang, non sappiamo cos’ha creato la vita e da dove viene il dna”, dice il tastierista Danalogue The Conqueror, “Quando ci esprimiamo in termini non linguistici, per esempio usando la musica, è più facile descrivere il grande mistero della vita. Noi non vogliamo solo che i nostri ascoltatori ballino ai concerti, anche se lo fanno sempre: vogliamo cambiare la struttura del loro dna”.
I titoli dei brani dell’album sono molto evocativi: il pezzo di apertura è Because the end is really the beginning (perché la fine è davvero l’inizio), ed è un omaggio alla teoria della circolarità del tempo, mentre in Blood of the past (sangue del passato) è ospite la performer e poeta Kate Tempest, che si lancia in un’invettiva futurista e anticapitalista. Timewave zero invece è un omaggio alle teorie sull’accelerazione del tempo del filosofo statunitense Terence McKenna, esponente della controcultura e della psichedelia. Come spiega il batterista Betamax, “La nostra ispirazione nasce dalla rabbia e dalla frustrazione per quello che ci succede intorno: le persone distruggono le foreste e gli oceani. La Terra sta urlando. Ci sono giovani come Greta Thunberg che hanno dentro il fuoco, e noi vorremmo dare voce a queste persone. La cometa è una metafora dei pericoli incombenti sia fisici sia psicologici che ci troveremo presto ad affrontare”.
Danalogue gli fa eco: “Nel 2048 avremo macchine infinitamente intelligenti che vivranno sulla Terra insieme a noi. Oppure saremo noi stessi dei cyborg. L’obiettivo della nostra musica è portare gli ascoltatori allo stadio giusto per affrontare nuovi eventi cosmici. Dentro i nostri brani c’è tanto dei romanzi di Philip K. Dick, ma anche di quelli di N.K. Jemisin. La fantascienza spesso anticipa la realtà”.
Dopo aver finito i tramezzini, sorseggiando il caffé, i The Comet is Coming provano a toccare temi più concreti, come gli arrangiamenti del disco, ma tendono sempre a volare alto: “Io e Dan abbiamo prodotto da soli il disco. Ci concentriamo molto sulle frequenze basse, che danno quel senso di oscurità, di energia e di profondità che vogliamo trasmettere nella mente di chi ci ascolta. Sun Ra usava la linguistica e il misticismo come un incantesimo per creare altre realtà parallele, Alan Moore faceva lo stesso nei suoi fumetti. È quello che tentiamo di ottenere anche noi quando entriamo in studio”. “Cerchiamo di essere sempre il più liberi possibile, di non avere strutture prestabilite. Se sapessimo esattamente cosa vogliamo dire, potremmo trovarci in un vicolo cieco”, aggiunge Shabaka Hutchins.
Dopo aver lasciato l’Italia, i The Comet is Coming sono ripartiti per il loro tour mondiale. Nei prossimi mesi hanno in programma di far uscire altro materiale. “Abbiamo in cantiere un ep con alcuni brani registrati durante le session di Trust in the life force of the deep mystery. Verrà pubblicato in autunno. Appena avremo tempo inoltre torneremo in studio per registrare un disco nuovo”, spiega Danalogue.
Shabaka Hutchins invece, che ha fama di essere un musicista instancabile, in questi mesi ha trovato tempo anche per gli altri progetti: “Ho appena finito di registrare due dischi: uno con gli Ancestors e uno con i Sons Of Kemet. Devono ancora essere mixati e usciranno nel 2020. Sono due veri classici”, conclude il sassofonista.
Sono passate da poco le cinque, ed è il momento di fare il sound check. I The Comet is Coming si rituffano nel sole di via di Portonaccio, diretti verso il Monk. Il concerto di poche ore dopo sarà un vero saggio di bravura. Dopo averli ascoltati dal vivo, in un certo senso, anche tutte le loro digressioni sulla fantascienza acquistano senso. La musica migliore, del resto, è quella che riesce a costruire una narrazione coinvolgente, a creare mondi paralleli.