L’Anima di Thom Yorke, inquieta e brillante
Ultimamente Thom Yorke è ossessionato dai sogni. Non a caso il titolo del suo terzo disco solista, Anima, è un omaggio alla teoria dell’anima e dell’animus dello psicanalista e psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, massimo esperto in materia insieme a Sigmund Freud. Forse è per questo che Anima ha il respiro di un lungo sogno agitato, dove le ossessioni al centro della musica del cantante di Oxford – l’alienazione urbana, il difficile rapporto tra uomo e tecnologia, il cambiamento climatico – danzano intorno alla sua voce come ombre scure, e l’inconscio collettivo junghiano sembra prendere vita.
Il sonno del cantante dei Radiohead alterna momenti di puro incubo, come nell’iniziale Traffic, dove il protagonista si sente soffocare mentre fa “festa con un ricco zombie”, ad altri più catartici, come nel caso della splendida Dawn chorus, un brano intimista per sintetizzatore e voce nel quale l’amore e la natura diventano uno strumento per liberarsi da una realtà quotidiana opprimente. Il titolo del brano tra l’altro suona come un omaggio ai Boards of Canada, da sempre una delle band più amate dai Radiohead. Dawn chorus è uno dei vertici della produzione solista di Yorke, e ricorda la delicatezza di brani passati della band come Fog e Glass eyes.
L’esperienza con la colonna sonora di Suspiria, remake dell’horror di Dario Argento firmato da Luca Guadagnino, sembra aver fatto bene a Yorke. I brani di Anima in realtà sono quasi tutti nati prima di quel periodo, ma in generale il cantante sembra aver fatto un ulteriore passo in avanti nel gestire la sua ispirazione, anche quando non c’è Jonny Greenwood al suo fianco: i beat elettronici, per i quali bisogna ringraziare come al solito il fidato produttore e compagno di tour Nigel Godrich, a un primo ascolto possono far pensare a quelli dell’album Amok, ma in realtà si allontano dalle velleità danzerecce di quel disco e vanno verso territori più astratti e congeniali al musicista di Oxford.
Il ritmo, più della melodia, resta sempre la chiave per capire lo Yorke solista, perché è da quello che lui e Godrich partono per scrivere i brani: prendono parti strumentali non finite e ci costruiscono sopra i loop. Stavolta il processo sembra più a fuoco del solito e c’è maggiore interazione tra voce, drum machine e batteria, come in Not the news, il brano più pop. A proposito di ritmo, in Impossibile knots dietro alle pelli c’è il batterista dei Radiohead, Phil Selway. I testi, come sempre, sono essenziali ma poetici: solo uno come Yorke potrebbe inserire in un disco pop parole come woebegones (in Twist) o cul-de-sac (in Dawn chorus).
L’uscita del disco è stata accompagnata da un cortometraggio girato da Paul Thomas Anderson a Praga e Les Baux-de-Provence, in Francia, e coreografato da Damien Gilet, già al lavoro su Suspiria di Guadagnino. Nel corto, disponibile su Netflix, Yorke recita e balla insieme alla fidanzata, l’attrice italiana Dajana Roncione.
Nei suoi momenti migliori Anima sembra la colonna sonora immaginaria di un film distopico. Per esempio in The axe, il brano che ha il crescendo strumentale migliore e sembra un seguito del brano Cymbal rush (epoca The eraser, 2006). Nel testo del brano torna il rapporto tra uomo e tecnologia tipico del periodo di Ok computer: “Goddamn machinery, why don’t you speak to me? One day I am gonna take an axe to it (Maledetta macchina, perché non mi parli? Un giorno cercherò di distruggerti)”. Nell’invettiva I am a very rude person invece fa capolino la politica: non si fa fatica a immaginare che il verso “Now I’m gonna have to watch your party die (Ora dovrò veder morire il tuo partito)” sia dedicato a Boris Johnson, di recente oggetto degli attacchi di Yorke. Nel brano finale, Runwayaway, compaiono finalmente anche delle chitarre e sembra quasi di ascoltare il blues desertico dei Tinariwen, prima di tuffarsi di nuovo in un mare di loop e ritmi spezzati.
Thom Yorke sembra aver ritrovato una delle caratteristiche migliori del suo approccio alla musica: l’ingenuità. In un’intervista del 2013, il cantante dei Radiohead raccontava: “Quando riesci ad avere familiarità con una macchina non ti serve più. Devi essere sempre in una condizione nella quale non sei del tutto sicuro di quello che stai facendo. È come essere un bambino con i giochi. Voglio passare la mia vita a giocare con i giocattoli”. È questa una delle caratteristiche che ha reso straordinaria la musica dei Radiohead, che è capace di suonare sempre spontanea al netto della sua complessità formale. Nel nuovo disco solista di Yorke questo approccio spontaneo alla musica e alla scrittura dei testi è tornato. Per questo Anima è un album ispirato, inquieto e brillante.
P.S. Questa settimana la recensione di Anima prende il posto delle canzoni del weekend. Ho aggiornato la playlist aggiungendo un brano del disco. Buon ascolto!