Alla fine lo storico incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump c’è stato, peccato che si sia esaurito in poco più di una grande photo opportunity i cui effetti a medio termine per il presidente statunitense non sono poi così certi.
Il summit di Singapore è stato probabilmente troppo breve e sbrigativo (è durato dalle 9 alle 14), e con solo una minima parte del pathos che aveva caratterizzato l’incontro tra Kim e il presidente sudcoreano Moon Jae-in lo scorso aprile, perché l’onda lunga delle strette di mano, delle pacche sulle spalle e delle promesse di pace a favore di telecamere riesca ad arrivare fino novembre, per le elezioni di mid term.
Nel comunicato finale ci sono solo dichiarazioni generiche circa l’impegno di Kim alla “completa denuclearizzazione della penisola coreana” e quello di Trump a “garantire la sicurezza della Corea del Nord”, senza ulteriori dettagli. Nessun riferimento alla “denuclearizzazione completa, verificabile e irreversibile”, che per gli Stati Uniti è un punto fermo nelle negoziazioni con la Corea del Nord, né alcun approfondimento su quale tipo di garanzia di sicurezza Washington intende accordare a Kim. Molto meno di quanto ci si aspettasse e nulla rispetto agli impegni, poi disattesi, contenuti nelle dichiarazioni fatte da Pyongyang in passato. In teoria i dettagli saranno discussi in un incontro “da tenersi al più presto” tra il segretario di stato Mike Pompeo e il suo omologo nordcoreano.
Il summit è stato una grande festa di benvenuto nel club nucleare per Pyongyang
Il valore simbolico di questo incontro è innegabile, ma probabilmente l’unico a trarne vantaggio per ora è Kim. Senza dover fare alcuna concessione, il leader nordcoreano ha raggiunto l’obiettivo che suo padre aveva agognato senza successo: sedersi a un tavolo con il leader della più grande potenza mondiale ed essere trattato come suo pari. Come ha detto Beatrice Fihn, la direttrice di Ican, la campagna per l’abolizione delle armi nucleari, premio Nobel per la pace 2017, il summit è stato “una grande festa di benvenuto nel club nucleare” per Pyongyang.
E non è tutto: com’è tipico del suo stile, nella conferenza stampa dopo la chiusura del summit Trump ha aggiunto un po’ di sostanza a un comunicato inconsistente annunciando a sorpresa che sospenderà le esercitazioni militari congiunte con Seoul e aggiungendo che prima o poi dovrà “riportare a casa” i soldati. Peccato però che né il governo sudcoreano né tantomeno le forze armate statunitensi in Corea del Sud erano state informate. Se davvero sarà così, Kim avrà incassato il secondo risultato concreto del vertice con l’ex nemico.
Intanto la Cina, i cui rapporti con Pyongyang sono stati cementati da ben due incontri tra Kim e il presidente Xi Jinping in poco più di un mese, non ha solo espresso soddisfazione per il vertice ma ha anche suggerito la possibilità di alleggerire le sanzioni contro la Corea del Nord. Nell’ultimo anno e mezzo Pechino ha dovuto dimostrare di essere un paese responsabile applicando seriamente le sanzioni votate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu contro Pyongyang. Ma nel clima disteso creato dal vertice di Singapore non stupirebbe se la Cina riaprisse i rubinetti, mai davvero chiusi completamente, per dare avvio, già in questa fase di transizione, allo sviluppo economico di cui Kim ha disperatamente bisogno per rimanere al potere.
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