Divertente questo dibattito su Venezia e Netflix. Divertente perché divide, infiamma gli animi, ma alla fine è anche sostanzialmente innocuo, almeno rispetto ad altri dibattiti e al netto delle minacce di morte che si possono ricevere sui social network.

Diciamo subito che amiamo il cinema e amiamo i film, soprattutto quelli belli. Diciamo pure che molti di noi preferiscono vedere un film bello su uno schermetto piuttosto che brutti film nel buio di una sala (magari anche con un doppiaggio demenziale e mezz’ora di pubblicità prima dell’inizio). Del resto se qualcuno preferisce vedere brutti film sul grande schermo in questo particolare momento storico non incontra problemi.

E questo, almeno in parte, grazie a quel “sistema sale” di cui autori cinematografici (Anac), cinema d’essai federati (Fice) ed esercenti cattolici (non i cinema parrocchiali, che non esistono più) invocano la salvaguardia escludendo i film prodotti e distribuiti da piattaforme streaming da un festival come quello di Venezia.

Per esempio, sempre grazie, almeno in parte, a quel “sistema” finora è stato privilegio di pochi eletti vedere il film del filippino Lav Diaz, The woman who left , che ha vinto il Leone d’oro nel 2016. Chissà magari è proprio per questo, perché si sente in difetto, che l’Anec, cioè l’Associazione nazionale esercenti cinematografici, non ha firmato la famosa nota contro Netflix. O magari se ne frega e basta, tanto di brutti film per riempire le sale non ne mancano mai.

Se Netflix chiudesse domani, i problemi del cinema italiano sarebbero ancora tutti là

Netflix non è il problema. Ci dà qualche possibilità in più e se non ci piace basta non abbonarsi. Semmai ha riempito una minuscola parte dell’enorme vuoto che tragicamente solo la pirateria (un elefante che sta lì e di cui si parla sempre meno) riesce a colmare. I problemi sono tanti e la risposta non è escludere da un festival i film di produzioni che cominciano per N e finiscono per X.

Tra l’altro un festival come Cannes forse si può permettere di alzare un muro a difesa di un sistema che, anche se con tante contraddizioni e problemi, funziona meglio di quello italiano. Secondo me, ora, Venezia non può e non vuole rinunciare al nuovo film di Alfonso Cuarón, a quello dei fratelli Coen, al film che poi è uscito anche in sala sul caso di Stefano Cucchi e al capolavoro recuperato di Orson Welles. Non so che valutazioni ha fatto il direttore della Mostra, Alberto Barbera, ma io non ci avrei pensato due volte.

Se Netflix chiudesse domani – ma non succederà, non domani almeno – i tanti problemi di un sistema che non riesce a fare sistema, generati dall’assenza di politiche culturali di un certo respiro e da un mercato dominato da produttori e distributori che della qualità e degli autori se ne infischiano serenamente in nome del marketing, possibilmente virale, sarebbero ancora tutti là. Ma alla fine sono convinto che il cinema e i film riusciranno a cavarsela anche stavolta, nonostante tutto.

Io dentro i cinema di Roma ci sono cresciuto, ma quando l’Holiday – dove ho visto Gente comune di Robert Redford e Il mistero del cadavere scomparso di Carl Reiner – è diventato un supermercato, o quando l’Etoile – dove ho visto Amadeus di Miloš Forman – è diventato uno spazio congressi in affitto al miglior offerente, Netflix ancora non esisteva. Se voglio far vedere Amadeus a mia figlia che faccio? Mi incateno davanti a qualche multisala?

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it