“La storia della fotografia si intreccia con quella delle donne fin dalla sua nascita, nel 1839”, spiega lo storico Michel Poivert nel documentario Objectif femmes, diretto da Julie Martinovic e Manuelle Blanc, che sarà proiettato il 20 ottobre al festival Artecinema di Napoli. “A differenza della pittura o della scultura, che richiedevano studi e abilità, la fotografia è stata da subito molto più accessibile e molte poterono imparare a usarla da autodidatte”, continua Poivert.
“Ciò che stupisce”, aggiunge la fotografa Sarah Moon, “è che per molte di loro la fotografia non era una necessità, non era il mezzo con cui potevano guadagnarsi da vivere. Era semplicemente un desiderio molto forte”.
Nel documentario le voci di esperti e quelle di quattro fotografe si alternano alle immagini di artiste molto conosciute e a quelle di altre il cui lavoro è stato scoperto solo dopo molti anni.
Julia Margaret Cameron (1815-1879), per esempio, fu la prima artista a dedicarsi a quella che oggi si può avvicinare alla cosiddetta staged photography. Metteva in posa i suoi soggetti in una scena costruita come in uno spettacolo teatrale dove tutto era artificiale e il realismo spariva quasi del tutto. Cameron aveva costruito il suo studio in un ex pollaio e la camera oscura in una cantina dove veniva conservato il carbone.
Tra le altre, ci sono state anche artiste che hanno messo in discussione la propria identità. Come Claude Cahun (1894 - 1954), che scelse questo nome d’arte perché era uno dei pochi che in francese poteva essere usato sia dagli uomini sia dalle donne. Cahun concentrò la sua ricerca sulla sessualità e il genere: “Maschile? Femminile? Dipende dalla situazione. Neutro è l’unico genere con cui mi sento sempre a mio agio”, scriveva, riferendosi a un lavoro che è allo stesso tempo personale e fortemente politico.
Altre ancora hanno esaltato la bellezza del corpo femminile lavorando nel mondo della moda, come racconta Sarah Moon, che oltre a essere fotografa era anche modella. Altre sono andate al di là dei canoni estetici standardizzati come Lisette Model e poi la sua allieva Diane Arbus.
Nel film si racconta un paradosso: i primi manuali di storia della fotografia sono stati scritti da due donne a cavallo tra le due guerre. Uno, A hundred years of photography: 1839-1939, lo ha firmato la tedesca Lucia Schultz; l’altro, La photographie en France au dix-neuvieme siècle, la francese Gisèle Freund. Molte delle fotografe hanno sperimentato sia nella tecnica sia nello stile, a volte anticipando il lavoro dei colleghi uomini. Ma spesso questo merito non gli è stato riconosciuto né economicamente né professionalmente. A volte è stato persino attribuito alla persona o al compagno con cui lavoravano, come nel caso Lucia Schultz, moglie del fotografo e pittore ungherese László Moholy-Nagy, o di Gerda Taro, che oltre a essere la compagna di Robert Capa, è stata la prima fotoreporter uccisa sul fronte, durante la guerra civile spagnola, nel 1937 .
Negli anni settanta, durante le battaglie per la rivendicazione dei diritti, il corpo e la vita privata diventano uno strumento politico anche nel campo della fotografia. Cindy Sherman spinge fino all’assurdo i suoi travestimenti per fare ironia – e spesso sarcasmo – sul modo in cui la donna è rappresentata. E quando la dimensione privata è portata agli estremi si arriva alla fotografia cosiddetta autobiografica: Nan Goldin, Sally Mann e Francesca Woodman fotografavano se stesse, i loro amici, la famiglia, le loro paure, come se fossero guidate da una spinta compulsiva.
Questo breve elenco comprende solo una parte delle artiste raccontate nel film di Martinovic e Blanc, in cui gli esperti intervistati si chiedono quante siano quelle ancora da scoprire, di cui non si hanno tracce o il cui lavoro è stato attribuito a qualcun altro. O che, come nel caso più recente di Vivian Maier, non potevano permettersi di vedere le foto che scattavano – i rullini sono stati trovati molti anni dopo la sua morte.
La 22ª edizione del festival Artecinema, a cura di Laura Trisorio, si svolgerà dal 19 al 22 ottobre 2017.
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