“Confermo la volontà del governo di non abbandonare i lavoratori, i pensionati, le imprese”, ha detto il presidente del consiglio Mario Draghi incontrando i segretari di Cgil, Cisl e Uil a palazzo Chigi. Sul tavolo in quel momento c’era il cosiddetto decreto aiuti bis un pacchetto che vale ben 14,3 miliardi di euro in totale. Era il 27 luglio, il governo era dimissionario già da una settimana, le camere erano sciolte. Eppure si è trovato lo spazio per un provvedimento che vale una manovra finanziaria e che entro pochi giorni arriverà sul tavolo del consiglio dei ministri. Insomma, quella attuale è una strana crisi politica. Se non fosse per il rumore di fondo della campagna elettorale, a guardare gli impegni in calendario del governo e del parlamento sembrerebbe quasi non esistere.
Che questo fosse il clima era chiaro da tempo, almeno dal giorno in cui il presidente del consiglio ha rassegnato le dimissioni. Ai suoi ministri riuniti a palazzo Chigi, Draghi ha detto: “Ci sarà ancora tempo per i saluti. Ora rimettiamoci al lavoro”. Il contesto internazionale, la crisi economica, l’emergenza sociale e quella sanitaria non hanno gli stessi tempi delle crisi di governo, e in quel momento era evidente a tutti che sarebbe stato necessario un atto di realismo politico. Quell’atto si è tradotto anche in un’interpretazione che rende molto permeabili i confini delle regole che presiedono le crisi politiche, quelle scritte e quelle non scritte.
Un governo dimissionario non interrompe mai la propria attività, poiché la continuità dell’amministrazione deve essere garantita. Deve però limitarsi all’ordinaria amministrazione, il cosiddetto disbrigo degli affari correnti. Si tratta di una formula di rito con la quale ci si riferisce alle attività necessarie per la vita dello stato, e che quindi non possono interrompersi. Se necessario, è ammesso il ricorso ai decreti legge. Salvo alcune eccezioni, non è invece possibile presentare disegni di legge, né atti che presuppongano discrezionalità politica, poiché in questa fase il governo normalmente non ha più la legittimazione necessaria, essendo dimissionario ed essendosi interrotto il rapporto di fiducia con il parlamento.
In concreto, il perimetro all’interno del quale questo governo potrà muoversi fino all’insediamento del prossimo, è stato definito con una circolare firmata dallo stesso Draghi. Tra le attività consentite ci sono anche “gli atti legislativi, regolamentari e amministrativi necessari per fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da covid-19. Il governo rimane altresì impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del Pnrr e del Piano per gli investimenti complementari (Pnc)”. All’interno di quel perimetro, insomma, rispetto alla consueta interpretazione del concetto di affari correnti, c’è un ampio spazio di manovra. Fin troppo ampio, secondo alcuni osservatori.
La questione normalmente sarebbe stata risolta con una discussione tra giuristi. Tutto sommato il governo Draghi è dimissionario ma non sfiduciato. Ci sarebbe dunque un appiglio per sostenere un’interpretazione più ampia del concetto di affari correnti. In realtà, considerate le urgenze che l’Italia deve affrontare, la soluzione non può che essere politica. A disperdere ogni dubbio ci sono le parole del presidente della repubblica Sergio Mattarella.
Rivolgendosi direttamente agli italiani subito dopo aver firmato il decreto di scioglimento delle camere, Mattarella ha spiegato che “il periodo che attraversiamo non consente pause” negli interventi indispensabili per fronteggiare la crisi economica e le sue ricadute sulla società, “per contenere gli effetti della guerra della Russia contro l’Ucraina sul piano della sicurezza dell’Europa e del nostro paese”, e “per la sempre più necessaria collaborazione a livello europeo e internazionale”. A queste esigenze “si affianca, con importanza decisiva, quella della attuazione nei tempi concordati del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno. Né può essere ignorato il dovere di proseguire nell’azione di contrasto alla pandemia”. Insomma, i punti più qualificanti della cosiddetta agenda Draghi.
E sono, non a caso, gli stessi punti che il presidente del consiglio aveva richiamato nel suo commiato ai ministri e sui quali Mattarella ha chiesto “un contributo costruttivo” da parte di tutti, “nell’interesse superiore dell’Italia”, nonostante l’avvio della campagna elettorale.
Finora anche il parlamento sembra aver risposto positivamente. Il Il calendario dei lavori resta fitto: basti pensare agli adempimenti derivanti dal decreto aiuti bis, dal decreto semplificazioni, dal decreto infrastrutture o dal disegno di legge sulla concorrenza. Mercoledì 27 il senato ha trovato anche il tempo di approvare le modifiche al proprio regolamento, diventate necessarie dopo il taglio dei parlamentari avvenuto con la riforma costituzionale del 2019, poi confermata con referendum nel 2020.
Gli stessi partiti che si stavano attaccando ferocemente, nelle aule parlamentari votavano insieme
Ma non è tutto. Dopo lo scioglimento e fino all’insediamento del nuovo parlamento, anche i poteri delle camere sono prorogati, anche se con qualche limite. Lo ha ricordato la presidente del senato Maria Elisabetta Casellati. “Per effetto dello scioglimento delle camere”, ha spiegato in aula, “l’attività legislativa dell’assemblea e delle commissioni, secondo la prassi parlamentare sarà limitata all’esame di atti dovuti, quali disegni di legge di conversione dei decreti legge e atti urgenti connessi ad adempimenti internazionali e comunitari, come gli atti di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché eventuali disegni di legge sui quali si registri un ampio consenso”. È una formula piuttosto ampia. Abbastanza ampia da poter contenere, se necessario, molto più degli atti dovuti.
Così, con un calendario che di fatto resta quello che era prima delle dimissioni di Draghi e dello scioglimento delle camere e che in questi giorni procede spedito, sono soprattutto i toni della campagna elettorale a ricordarci che c’è una crisi di governo. Matteo Salvini è tornato a farsi riprendere circondato da rosari e immagini sacre, brandendo la disperazione dei migranti come argomento per provare a strappare qualche voto a Giorgia Meloni. Da Forza Italia sono arrivati insulti agli esponenti del partito che sono andati altrove: il ministro Renato Brunetta è stato preso di mira per il suo aspetto fisico, mentre Silvio Berlusconi a tutti i partenti ha augurato: “Risposino in pace”. La litigiosità nel centrosinistra ha prodotto meno insulti ma altrettanto chiasso.
Ma l’attività politica non sembra averne risentito. l 28 luglio, per esempio, ha infuriato violentissima una polemica su presunti colloqui – riferiti dal quotidiano La Stampa e smentiti da Salvini – tra un collaboratore di Salvini e un funzionario dell’ambasciata russa sull’uscita dei ministri della Lega dal governo Draghi. Nelle stesse ore la camera ha autorizzato la richiesta di indebitamento per 14,3 miliardi di euro nel 2022 avanzata dal governo per finanziare ill decreto legge aiuti bis, e il senato ha approvato il decreto legge infrastrutture, che dovrà andare alla camera per il via libera definitivo. Sempre il 28 luglio, il consiglio dei ministri ha approvato due decreti attuativi della legge delega di riforma del processo civile e dell’ufficio per il processo, che rientrano tra gli impegni per l’attuazione del Pnrr.
Insomma, gli stessi partiti che si stavano attaccando ferocemente, nelle aule parlamentari votavano insieme. Inoltre, la portata del cosiddetto decreto aiuti bis dimostra la forza politica - o addirittura di indirizzo politico, considerate anche le misure che contiene - che questo governo è ancora in grado di esercitare.
Resta da capire se questa forza deriva dalla sua autorevolezza o gli è stata accordata dai partiti, il cui interesse oggi è rivolto soprattutto alla campagna elettorale.
Venuto meno il vincolo di fiducia tra parlamento e governo, e quello di lealtà reciproca tra partiti che fino a ieri militavano nella stessa maggioranza, tutti hanno le mani libere. E la cosa, per il momento, pare funzionare, quasi confermando la sensazione che tutto sommato la crisi non era sgradita a nessuno. Non alle forze politiche, ma neppure a Draghi.
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