Parla molto Ignazio La Russa, ultimamente. Da quando il 13 ottobre è stato eletto presidente del senato, l’esponente di Fratelli d’Italia è sembrato incontenibile. Ma ha mostrato un entusiasmo quasi dilettantesco, nonostante l’esperienza accumulata in tanti anni di militanza politica dovrebbe suggerire invece molta prudenza per salvaguardare dalla contesa politica il senato della repubblica, l’istituzione che adesso rappresenta.
L’ultima tentazione alla quale La Russa non ha saputo resistere è stata di gettarsi nella polemica nata per l’esposizione di una fotografia di Benito Mussolini all’interno del ministero dello sviluppo economico. Quella fotografia è stata poi rimossa proprio a causa della discussione pubblica che si era aperta e che però non avrebbe lasciato altre tracce se non fosse stato per l’irruzione nel dibattito proprio di La Russa.
Il presidente del senato prima ha affermato che una foto simile “c’è anche al ministero della difesa”, e ha chiesto: “Che facciamo cancel culture anche noi?”, e poi, durante la trasmissione della Rai Porta a Porta, ha aggiunto che, se per anni c’è stata una foto in un posto, non si capisce cosa sia cambiato adesso per doversene occupare.
In realtà, stando alla ricostruzione fatta dal ministro uscente Giancarlo Giorgetti, quella foto sarebbe lì da poco tempo e farebbe parte di una mostra allestita per celebrare il novantesimo anniversario del palazzo che ospita il ministero. Ma naturalmente non è questo il problema. Il punto è invece l’incontinenza verbale che pare affliggere La Russa, e che non è priva di conseguenze.
Stando ai resoconti di giornali e agenzie di stampa, dopo la sua elezione alla presidenza del senato La Russa sarebbe intervenuto ad alcuni incontri di natura politica, muovendosi – lui, presidente del senato – tra la camera dei deputati, dove ha incontrato anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, e la sede del suo partito in via della Scrofa.
In queste occasioni ha rilasciato alcune dichiarazioni sull’andamento delle trattative per la formazione del nuovo governo, per esempio sul ministero al quale sarebbe destinata l’ex presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Si è poi prodotto anche in alcune considerazioni politiche sullo stato dei rapporti tra i partiti della destra. E non ha perso l’occasione per intervenire su un’altra questione di natura squisitamente politica, pur essendo presidente del senato, quella nata sui giudizi fortemente negativi di Silvio Berlusconi su Giorgia Meloni.
Infine, ha anche trovato il tempo per una battuta sulla guida del club parlamentare dedicato alla squadra di calcio dell’Inter: “Se c’è una incompatibilità”, ha scherzato, “mi dimetto dalla presidenza del senato”.
Attività inopportune
Si tratta di attività del tutto inopportune se svolte dal presidente del senato, poiché trascinano l’istituzione nella battaglia politica, e nel peggiore dei casi la schierano con una parte, con un evidente danno per tutti poiché in questo modo l’istituzione viene indebolita. Le presidenze delle camere, al contrario, dovrebbero svolgere una funzione di garanzia democratica.
Il presidente del senato, peraltro, è la seconda carica dello stato, e in caso di impedimento del presidente della repubblica verrebbe chiamato a svolgerne le funzioni. Eppure La Russa non sembra avere intenzione di smettere l’abito di parte. È un atteggiamento preoccupante, e dovrebbe allarmare la classe politica e gli osservatori molto più di quanto abbia fatto un simbolo, come è appunto una foto di Mussolini anche se appesa all’interno di un ministero.
L’Italia, peraltro, è ancora costellata da simboli del fascismo. Se ne trovano ovunque. A Roma, per esempio, è facile imbattersi in tombini che riportano l’immagine del fascio littorio. Sui muri di molti edifici degli anni trenta ci sono fasci littori in marmo, così come un gruppo di fasci littori è ancora visibile sul teatro di Marcello, proprio di fronte al Campidoglio.
Ce ne sono anche attorno alla grande fontana nei giardini di piazza Mazzini, sul ponte ferroviario di porta Cavalleggeri o sul passetto tra le chiese di San Rocco e San Girolamo dei croati, a due passi da piazza Augusto imperatore. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
Il fatto è che, per quanto tutti questi simboli siano ben visibili e siano tutti in luoghi particolarmente significativi della capitale, non hanno più voce da tempo. Se ne stanno silenziosi, digeriti dalla storia o comunque riassorbiti dal paesaggio. Nessuno o quasi ci fa più caso, se non in casi molto eclatanti come l’obelisco del Foro italico (ex Foro Mussolini) che ancora reca una enorme scritta inneggiante a “Mussolini dux”.
Per il resto, si tratta di simboli muti oramai da decenni. Atteggiamenti come quelli di La Russa, invece, fanno molto rumore e contribuiscono alla costruzione di un clima potenzialmente dannoso per la vita democratica. Un politico esperto come lui – esperto anche di simboli, come dimostra la sua passione per i cimeli del fascismo – dovrebbe esserne consapevole.
Cariche istituzionali
La Russa non è l’unico che di questi tempi sembra non avvertire fino in fondo la responsabilità che le cariche istituzionali consiglierebbero di osservare. Anche il leghista Lorenzo Fontana pare non essersi del tutto reso conto di non essere più un uomo di parte ma il rappresentante di una istituzione democratica.
Appena eletto presidente della camera, infatti, non ha trovato di meglio da fare che andare ospite alla trasmissione Porta a Porta. E qui, a proposito delle sanzioni alla Russia, ha sostenuto che “occorre fare attenzione, perché se diventano un boomerang noi potremmo trovarci in grave difficoltà”.
Se a fare un’affermazione del genere è l’esponente di un partito è un conto, ma se invece a parlare è il presidente della camera quella stessa affermazione assume un peso del tutto diverso, per l’autorevolezza che quella carica conferisce a chi la incarna. Affermazioni come quelle di Fontana rischiano quindi di ridurre la presidenza della camera a tribuna di parte, trascinata nella contesa politica e perciò delegittimata.
Del ruolo delle presidenze delle camere ha parlato in una recente intervista alla Stampa Rino Formica, politico di lunghissimo corso, dirigente del Partito socialista italiano e più volte ministro negli anni ottanta. E ha osservato che, nel suo discorso di insediamento, La Russa ha parlato “a nome di quella generazione post-fascista che si è formata nella ricerca di uno spazio di sopravvivenza nella repubblica democratica e antifascista”, e ne ha parlato come di un “sopravvissuto che ha saputo convivere”. Ma questo, ha aggiunto, “alla nuova destra non basta”, ed ecco allora l’elezione alla presidenza della camera di Fontana, definito un “clerical-reazionario”.
Il sistema dell’informazione è destinato a diventare il punto più esposto se il disegno di questa nuova destra andrà avanti
Formica ha parlato anche di una deriva conservatrice che dovrà essere contrastata dalle forze democratiche, spiegando anche che “il sistema dell’informazione è destinato a diventare il punto più esposto se il disegno di questa nuova destra andrà avanti”. Tuttavia, secondo Formica “l’assenza di una reazione della cultura laica democratica […] è stata impressionante”.
E, a quanto si legge in questi giorni, anche nel sistema dell’informazione sembrano circolare altri pensieri. In questo senso, è piuttosto significativo dell’aria che tira il fatto che sul Corriere della Sera, all’indomani dell’elezione dei presidenti di camera e senato di due figure certamente controverse, si sia preferito sottolineare che “al momento, l’effetto che le scelte del centrodestra ha avuto è stato di radicalizzare il Pd e alimentare ulteriormente l’estremismo del Movimento 5 stelle”.
Sono tutti segnali da non sottovalutare in un tempo come quello attuale in cui si è affermata al potere una destra radicale che intende dare al paese un orizzonte culturale nuovo, affermando una idea di società più conservatrice – perfino reazionaria, in certi suoi tratti – rispetto a quella coltivata dalla destra guidata negli ultimi decenni da Silvio Berlusconi. Uno degli strumenti con cui questo disegno dovrebbe essere realizzato è la riforma in senso presidenzialista della nostra democrazia parlamentare.
E questo a maggior ragione preoccupa, visto che in passato questa stessa destra non ha nascosto il suo antiparlamentarismo. La stessa Meloni ha scritto nel suo manifesto politico – Io sono Giorgia (Rizzoli 2021) – che “un popolo libero e maturo sceglie ed elegge i propri governanti senza lasciare al ‘palazzo’ la possibilità di distorcerne la volontà”, mentre “un popolo sotto tutela, considerato incapace di autodeterminarsi […] deve accontentarsi di una forma mediata di democrazia, nella quale ha la possibilità di dire la sua […] ma poi sono altri a decidere chi sarà il capo del governo, e pure il capo dello stato”.
Come faceva notare Ezio Mauro su Repubblica, è proprio attraverso la riforma della democrazia parlamentare in senso presidenziale che la destra “troverà lo sfondo eroico per trasformare la conquista del governo non solo in una presa di potere, ma in un’alternativa di sistema”, magari, sulla scia delle democrazie illiberali e neoautoritarie che stanno sperimentando alcuni degli alleati internazionali del partito guidato da Meloni, come l’ungherese Viktor Orbán.
Insomma, se i simboli sono importanti e il dibattito su una foto di Mussolini può anche essere sensato, dato che sappiamo che anche le fotografie a volte possono cambiare la storia, è importante ricordare che la storia la cambiano soprattutto le azioni delle persone che detengono il potere. E sono queste azioni a cui sarà opportuno interessarsi nei prossimi mesi.
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