La crisi delle sale cinematografiche in Italia è gravissima: 70 per cento di presenze in meno rispetto al 2019, molto più che in altri paesi europei, dove in alcuni casi è addirittura aumentato, come in Francia e nel Regno Unito. Le istituzioni e le imprese legate al settore invocano una rivoluzione per riportare le persone al cinema. Ma sui modi e i contenuti di questa rivoluzione il dibattito è aperto.
Da più di dieci anni accompagno i miei film nelle sale, non solo per incontrare il pubblico, ma anche per trascorrere del tempo con gli esercenti e capire come sta cambiando il loro lavoro. Quelli che conosco meglio proiettano soprattutto film indipendenti, d’autore, di ricerca. Gestiscono una piccola parte degli schermi, ma danno spazio a sperimentazioni e avanguardie che potrebbero fornire indicazioni preziose sulla strada da seguire in questo momento. Come dice Giuliana Fantoni del cinema Edera di Treviso, “per andare al cinema oggi ne deve valere davvero la pena, deve esserci un intreccio di più motivi: la qualità del film, il piacere della sala in sé, la possibilità dell’incontro, l’occasione della partecipazione”. Perché “nell’era del cinema portato a casa, chi gestisce una sala deve imparare a trasformarla in un luogo collettivo”, afferma Valerio Carocci del Troisi di Roma.
Costruire comunità
Molti di questi piccoli gestori hanno continuato a costruire comunità anche durante la pandemia, attraverso eventi online. Internet è sia un’alleata sia una potenziale nemica: la concentrazione di potere nelle mani di pochi gruppi editoriali offusca la sua grande potenzialità come strumento di partecipazione democratica. Nel cinema il dibattito su come gestire l’uscita dei film in sala e la loro distribuzione online è ancora aperto. La finestra temporale tra le due distribuzioni negli ultimi anni è stata erosa dalla crescita dei servizi di streaming: spesso anche film importanti si possono vedere al cinema per pochi giorni e sono subito disponibili in streaming. In certi casi nelle sale non arrivano nemmeno.
Qualcuno pensa che difendere in questo modo le sale sia inutile. “Non saranno le finestre a salvarci dallo streaming”, provoca Paola Coltri, che insieme a Monica Naldi gestisce il Beltrade di Milano. “Siamo noi che dobbiamo essere più brave delle piattaforme”. Non è una dichiarazione di guerra, ma una linea d’azione ben chiara. “Sta a noi”, insiste Coltri, “dire al pubblico che solo nelle sale può stupirsi, emozionarsi, rinnovarsi.”.
Nell’era dei film portati a casa, chi gestisce una sala deve trasformarla in un luogo collettivo
La soddisfazione di riempire le sale con film molto lontani dai grandi successi commerciali è a volte un traino più forte della rendita economica. “La cosa più interessante e inquietante”, racconta Daniele Terzoli del cinema Ariston di Trieste, “è la nuova imprevedibilità del pubblico. Si è sviluppata una capacità di scelta che fa volare film che non ti aspetti e ne affossa altri sulla carta più forti. Il nostro compito è riuscire ad ascoltare questa imprevedibilità”. Ma non sempre gli esercenti sono liberi di farlo. Molti non sanno che spesso le sale devono tenere o cambiare la programmazione per rispettare degli accordi con i distributori, il cui principale obiettivo è garantire ai loro film un certo numero di spettatori e di proiezioni in un determinato lasso di tempo. Questo, naturalmente, distorce il rapporto con il pubblico.
La centralità dell’esercente, lì dove ha il coraggio di reinventarsi e di liberarsi, è condizione essenziale per far ripartire le sale cinematografiche. Un cambiamento reale può avvenire solo facendo crescere una nuova generazione di operatori culturali, che sappiano trasformare i cinema in centri di innovazione artistica e di cooperazione culturale. Come ha fatto Valentina Guglielmo, che dopo aver studiato a Berlino è tornata a Rovigo per riaprire con degli amici il cinema Duomo, una sala da quattrocento posti: “Ogni città, ogni quartiere ha le sue abitudini, dobbiamo imparare a interagire con il territorio provocandolo con nuovi sguardi”. Radicamento e provocazione sono due strade solo apparentemente opposte. “I ragazzi stanno tornando per vedere i film cult restaurati”, racconta Alberto Fassina del MultiAstra di Padova. “Aiutiamoli: facciamo un abbonamento a prezzo ridotto solo per loro!”. “Sarebbe fondamentale lavorare in modo continuativo con le scuole”, afferma Elena Rizzo del cinema Rouge et noir di Palermo. “Non singole proiezioni, ma progetti, laboratori, percorsi”. A questo dovrebbero servire i fondi del bando Cinema per la scuola del ministero della cultura.
Un’arma a doppio taglio
Il ruolo dei fondi pubblici è ancora fondamentale. “Bisogna evitare però di adagiarsi sugli aiuti”, sottolinea Monica Naldi del cinema Beltrade, “e usarli invece per inventare nuove strategie”. Il sostegno pubblico oggi rischia di essere un’arma a doppio taglio: da una parte permette di non chiudere, dall’altra può rendere passivi gli esercenti più sconfortati e quelli meno liberi o meno coraggiosi. “Molti nostri colleghi europei”, spiega Manuele Sangalli del cinema Italia di Belluno, “hanno avuto meno aiuti pubblici, ma hanno potuto tenere le sale aperte, con minori restrizioni e per più tempo. Non critico le scelte sanitarie, ma l’interruzione del rapporto con il pubblico ha reso il lavoro molto più difficile”.
Lo sforzo va sostenuto con finanziamenti collegati a progetti di rinnovamento, che forniscano alle sale nuovi strumenti per non subire la diffusione dello streaming. Servono regole precise, idee, coraggio e la partecipazione di tutti. Anche di noi registi, che dovremmo – insieme agli attori – frequentare di più le sale, per aiutarle a ripartire e per capire cosa sta succedendo alla nostra arte.
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