“Siamo purtroppo abituati a vedere una cattiva accoglienza delle persone che arrivano a Lampedusa, ma quello che abbiamo visto nel weekend ci ha lasciati senza parole”, racconta al telefono Giovanni D’Ambrosio, operatore dell’organizzazione Mediterranean Hope sull’isola di Lampedusa. I migranti arrivati nel fine settimana sull’isola siciliana sono stati lasciati per ore sul molo Favarolo anche durante la notte, senza assistenza e senza accesso all’acqua e al cibo.
“Questa rotta si è riattivata in maniera importante dall’ottobre scorso, non è una novità. Ma non è stata strutturata alcuna forma di accoglienza adeguata. Tra di loro ci sono persone con grandi vulnerabilità, ci sono bambini piccoli, donne incinte e sono stati abbandonati di notte al freddo, senza nessun tipo di genere di conforto”, continua D’Ambrosio. “Abbiamo dovuto insistere per far portare dell’acqua”.
Quasi un migliaio di persone sono approdate sulle coste italiane il 26 marzo, arrivando a toccare quattromila arrivi in tre giorni. Quasi tutti stanno arrivando dalla Tunisia a causa della crisi economica e politica nel paese e della recente campagna razzista del presidente Kais Saied contro i migranti subsahariani. “L’hotspot è in una condizione di sovraffollamento”, spiega ancora D’Ambrosio, che denuncia anche un naufragio avvenuto nelle acque internazionali davanti all’isola italiana il 24 marzo.
“Il 25 marzo abbiamo incontrato quattro donne originarie della Costa d’Avorio, che erano sopravvissute a un naufragio: erano partite da Sfax e nel tardo pomeriggio del 24 la barca si era ribaltata. Erano a bordo con 48 persone, tra cui alcuni bambini molto piccoli. Decine di persone quindi sarebbero morte o disperse. A Lampedusa sono stati portati otto corpi, che si aggiungono ad altri tre che sono nella camera mortuaria”, conferma il volontario. “Alcune delle sopravvissute hanno perso mariti e fratelli e sono state abbandonate al molo per ore, affidate alla cura di volontarie e volontari”, conclude D’Ambrosio.
Accoglienza smantellata
“Nell’arco di ventiquattrore sono arrivate tremila persone, ma anche sui numeri non c’è chiarezza, non si riesce a capire”, conferma l’ex sindaco di Lampedusa Salvatore Martello. “Non riusciamo a capire perché non si sia organizzato un servizio continuo di trasferimento di queste persone: arrivano al molo Favarolo e dovrebbero ripartire subito da Cala Pisana, per essere portate sulla terraferma, perché a Lampedusa non c’è la possibilità di accogliere questi numeri”, continua l’ex sindaco, secondo cui non sono state strutturate delle risposte convincenti dal punto di vista dell’accoglienza.
“A Lampedusa nel 2011 abbiamo accolto decine di migliaia di tunisini, all’epoca il governo ha creato quella situazione di disagio, proprio non operando i trasferimenti. I numeri ora sono inferiori, arrivano queste imbarcazioni dalla Tunisia in maniera quasi sempre autonoma, perché Lampedusa è il porto più vicino, ma poi dovrebbero essere subito trasferite”, chiarisce Martello. “E voglio chiarire: scafisti non ce ne sono. Queste persone sono messe in mare dai trafficanti che non gli danno in mano neppure dei telefoni, gli dicono andate dritti. Non si può gestire l’immigrazione come se fosse un problema di sicurezza o di polizia”, conclude.
Lampedusa è diventato “un collo di bottiglia”, secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), perché i soccorsi non sono più strutturati e sistematici come nel passato. “Prima quel tratto di mare era sempre pattugliato da navi della guardia costiera, mentre ora escono solo piccole motovedette che quindi poi devono far sbarcare le persone a Lampedusa”, spiega. In passato la procedura di sbarco nel sud del paese funzionava come “un orologio svizzero”, ma nel corso di questi anni questo sistema è stato smantellato.
In quarantotto ore sono state soccorse, sotto il coordinamento della guardia costiera italiana, cinquantotto imbarcazioni e sono stati registrati diversi sbarchi autonomi a Lampedusa e a Roccella Jonica. Intanto la nave umanitaria Geo Barents di Medici senza frontiere è attraccata a Bari con 190 persone a bordo, soccorse due giorni fa.
La rotta tunisina
Dai dati del Viminale emerge che dall’inizio del 2023 al 13 marzo sono arrivate in Italia dalle coste tunisine almeno 12.083 persone, un aumento del 788 per cento rispetto ai 1.360 arrivi dello stesso periodo dello scorso anno. La rotta libica era stata finora quella più percorsa, ma ora è al secondo posto con 7.057 arrivi. Nel complesso fino al 27 marzo, sono arrivate nel paese 26.927 persone.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha parlato del pericolo che nel 2023 arrivino in Italia 900mila persone, un allarme che secondo gli esperti tuttavia “non è fondato su evidenze”. “Per il momento i dati che stiamo registrando sono in linea con i dati del 2016 e 2017, anni di massimi arrivi in Italia”, conferma Flavio Di Giacomo. “Le previsioni della premier non sembrano fondate. C’è sicuramente un aumento dei flussi migratori irregolari verso l’Europa come nel biennio 2016-2017, ma si tratta sempre dello 0,2 per cento della popolazione europea. Dall’Ucraina l’anno scorso sono arrivati in Italia nel giro di tre mesi 120mila persone e nessuno si è allarmato. L’emergenza non è nei numeri, ma umanitaria e operativa”, denuncia l’esperto.
La rotta tunisina in effetti non è una novità: “Fin dal 2021 abbiamo registrato un aumento degli arrivi dalla Tunisia e un cambiamento della tipologia delle persone che arrivano”. Se in passato arrivavano solo tunisini, molto giovani, ora arrivano soprattutto migranti subsahariani (soprattutto ivoriani e guineani), tunisini di ceti medio-alti e nuclei familiari. Da ottobre-novembre del 2022, il flusso è aumentato. Anche perché negli ultimi mesi la situazione dei migranti subsahariani è ulteriormente peggiorata. C’è una specie di impunità per chi fa rapine o aggressioni contro i neri, dopo le dichiarazioni del presidente Kais Saied. “È evidente che la crisi economica ha alimentato queste campagne discriminatorie. Si parla molto di pull factor in Italia e in Europa, di fattori di attrazione, ma ci si dimentica i push factor, i fattori di spinta che sono i veri motori delle migrazioni”, commenta Di Giacomo.
“Ci sono arrivate notizie di almeno quattro naufragi, ma al momento è difficile anche confermarli. Nell’ultima settimana sarebbero morte almeno cento persone sulla rotta tunisina che di solito è una rotta meno pericolosa di quella libica”, afferma l’esperto. “Il motivo è che i migranti che partono dalla Tunisia sono meno attrezzati, per esempio non hanno telefoni satellitari per chiamare i soccorsi. Ma poi soprattutto non ci sono missioni di soccorso che pattugliano quel tratto di mare, questo favorisce la possibilità di naufragi. Ricordiamoci che è complicato salvare vite in mare: bisogna essere tempestivi, veloci, coordinati, professionali, ma il sistema di salvataggio è stato smantellato, così come il sistema di accoglienza allo sbarco”, conclude.
Questo articolo è tratto da una newsletter settimanale che racconta le ultime notizie sulle migrazioni. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it