In Italia l’11 aprile è stato dichiarato lo stato di emergenza per sei mesi in seguito all’arrivo via mare di 32.769 persone nei primi mesi del 2023 e in particolare per lo sbarco di tremila persone nel fine settimana di Pasqua. La maggioranza ha anche deciso di appoggiare la proposta della Lega di tornare ai decreti Salvini del 2018-2019 (che erano stati modificati dalla ministra Luciana Lamorgese nel 2020) presentando una proposta di modifica al cosiddetto decreto Cutro, in discussione al senato dal 18 aprile.
L’emendamento presentato dalla maggioranza il 13 aprile prevede “una stretta alla protezione speciale introdotta dalla ministra Lamorgese e dalla sinistra nel 2020”. Sono previste restrizioni ai permessi di soggiorno per calamità e a quelli concessi per cure mediche. Inoltre i permessi per protezione speciale concessi agli stranieri per via di calamità e per cure mediche non saranno più convertibili in permessi di soggiorno per motivi di lavoro.
Si fa marcia indietro anche sull’accoglienza: com’era previsto dai decreti Salvini del 2018 i richiedenti asilo non saranno più ospitati nel Sistema accoglienza integrazione (Sai), che sarà riservato solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato. L’hotspot di Lampedusa sarà affidato alla Croce rossa italiana e sarà aggiunto un traghetto di collegamento con la Sicilia per trasferire i migranti che arrivano sull’isola. Saranno introdotte, infine, ulteriori limitazioni per la concessione della protezione internazionale. Una vera e propria rivoluzione, che rischia di smantellare definitivamente quello che resta del sistema di asilo e di accoglienza italiano.
Che cos’è la protezione speciale
Da dove arriva la protezione speciale? Fino al 2018 si chiamava protezione umanitaria ed era stata introdotta nel 1993 in seguito alla ratifica degli accordi di Schengen sulla libera circolazione. Una sua clausola stabiliva che, se si rifiuta a una persona straniera un permesso di soggiorno, occorre valutare se esistano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, che ne impediscono l’espulsione. Una forma di protezione simile è presente in 18 paesi europei su 27.
Il principio era stato recepito dal Testo unico sull’immigrazione del 1998, ed è stato regolato dalla legge 286/98. In particolare una sentenza della corte di cassazione del 2018 ha stabilito che tra le varie ragioni per il riconoscimento del permesso di soggiorno per protezione umanitaria, in attuazione della Convenzione europea dei diritti umani, c’è la tutela del rispetto alla vita privata e familiare, vale a dire il grado d’integrazione della persona straniera.
Ma nel 2018 la protezione umanitaria è stata sostituita dal permesso speciale dal primo decreto Salvini, che ne ha ridotto i campi di applicazione, provocando un terremoto nel diritto di asilo in Italia. La protezione speciale è stata poi di nuovo estesa da una riforma introdotta dalla ministra Luciana Lamorgese nel 2020, a causa delle pressioni ricevute da associazioni ed enti locali che denunciavano l’aumento delle persone irregolari in Italia in seguito alle restrizioni apportate dal decreto Salvini.
Le proteste
Le organizzazioni che si occupano di immigrazione e accoglienza in Italia hanno criticato profondamente la nuova norma e gli emendamenti presentati in parlamento. Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, ha commentato: “Gli emendamenti al disegno di legge Cutro proposti dal governo sono scellerati non solo per ciò che riguarda l’abrogazione della protezione speciale ma anche per la demolizione del sistema di asilo vigente (sia per ciò che riguarda l’accoglienza sia per le procedure)”.
Per Schiavone non si tratta solo di un ritorno al 2018 con lo smembramento del sistema di accoglienza ordinario (Sai), ma di “qualcosa di ancor più grave perché la riforma punta alla creazione di un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti asilo, applicando la procedura accelerata di frontiera a pressoché tutti i richiedenti asilo. In altri termini si punta alla creazione di un sistema di tipo concentrazionario nel quale perfino i centri straordinari attuali, ‘colpevoli’ di essere aperti, perderebbero il loro peso. Lo strumento con cui attuare tale disegno è l’abuso degli hotspot e della detenzione informale, che in essi si può attuare”.
Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, smentisce le affermazioni espresse dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni e dal sottosegretario Nicola Molteni: “Il governo continua a sostenere che la protezione speciale sia uno strumento che ha solo l’Italia e che si tratterebbe di una forma di sanatoria permanente. Ma nell’Unione europea ci sono diciotto paesi su ventisette che hanno una forma complementare di protezione, che quindi aggiunge un terzo permesso di soggiorno ai due che derivano dalla protezione internazionale (protezione internazionale e protezione sussidiaria), quest’ultima uguale in tutta Europa”.
“Dal 2014 al 2017 in Italia sono sbarcate 623mila persone, sono state presentate 400mila domande d’asilo e sono state registrate nel sistema d’accoglienza 528mila presenze (molte delle quali durate più di un anno). Negli stessi anni siamo arrivati a ospitare più di 190mila persone senza che sia stata dichiarata alcuna emergenza. Continuare a usare l’immigrazione come argomento di campagne mediatiche volte a raccogliere facile consenso indicando sempre gli stessi capri espiatori, non solo non è nell’interesse del paese, ma rischia di generare ulteriori problemi per le persone”, scrive il Tavolo asilo e immigrazione in un comunicato.
Una settantina di associazioni che si occupano di immigrazione in Italia hanno convocato per il 18 aprile a Roma un sit-in alle 14 a piazza della Madonna di Loreto, nelle stesse ore in cui il disegno di legge arriverà in senato per essere discusso.
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