Almeno 41 persone sono morte in un naufragio – il quarto in pochi giorni – al largo di Lampedusa. L’imbarcazione su cui viaggiavano era partita da Sfax, in Tunisia. Lo hanno raccontato i quattro sopravvissuti – tutti minorenni – che sono arrivati il 9 agosto nella piccola isola siciliana.
I sopravvissuti – un ragazzo di tredici anni, una ragazza e due ragazzi della Costa d’Avorio e della Guinea – sono stati soccorsi prima da un cargo maltese, poi dalla guardia costiera italiana. L’imbarcazione di ferro era partita sei giorni prima dalle coste tunisine, ma appena arrivata al largo è stata travolta dalle onde alte a causa del maltempo e ha cominciato a imbarcare acqua.
Quasi tutti i passeggeri, che si ritiene provenissero dall’Africa subsahariana e tra cui presumibilmente viaggiavano tre bambini, sono finiti in acqua. Secondo le testimonianze, sull’imbarcazione c’erano 45 persone e almeno 41 sarebbero annegate, ma i corpi delle vittime non sono stati trovati. I sopravvissuti hanno raccontato che quasi tutti avevano dei giubbotti di salvataggio. I quattro si sono salvati perché hanno trovato una barca vuota alla deriva e senza motore, su cui sono saliti. Quindi sono stati soccorsi da un cargo maltese e poi dalla guardia costiera italiana.
Lampedusa sovraffollata
“Sono esausti e in stato di shock”, racconta Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children, che ha incontrato i quattro ragazzi all’interno dell’hotspot di Lampedusa, dopo il loro arrivo. “Hanno chiesto di rimanere insieme, di non essere separati. Sono tutti minori”, continua Di Benedetto. “Non sembra che abbiano familiari in Italia, ma si sono informati su come chiedere l’asilo e se saranno trasferiti”, continua l’operatrice di Save the children.
Si presume che i quattro ragazzi – il più grande dei quali avrebbe 17 anni – abbiano trascorso diversi giorni alla deriva in mare, senza né cibo né acqua potabile. “Sono ancora all’interno del centro e sono assistiti dai nostri psicologi”, assicura Ignazio Schintu, vicesegretario della Croce rossa italiana (Cri), che gestisce il centro di identificazione e accoglienza dell’isola. “Nella notte ci sono stati altri arrivi, invece nella giornata di oggi circa settecento persone saranno trasferite sulla terraferma”, ha assicurato Schintu.
“Nell’hotspot stiamo ascoltando storie terribili”, racconta Di Benedetto di Save the children. “È un continuo da settimane”, afferma. I minorenni sono molti: “Sempre più giovani: vengono dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea, dall’Egitto, dal Corno d’Africa. Dicono che vorrebbero studiare”. Secondo l’operatrice, da quando la Croce rossa ha assunto la gestione del centro, lo scorso giugno, i servizi sono migliorati e in generale i trasferimenti sulla terraferma sono più frequenti. “Anche se paradossalmente i minori rimangono nell’hotspot più a lungo, perché mancano i centri di accoglienza per loro”.
Dal 2018 – in seguito all’approvazione dei cosiddetti decreti Salvini – nel sistema di accoglienza italiano si sono ridotti drasticamente i posti per i minori e così, ora che sono aumentati di nuovo gli arrivi, i minorenni aspettano per giorni in strutture inadeguate per loro, come l’hotspot di Lampedusa oppure la tensostruttura che è stata costruita sul molo di Roccella Ionica, in Calabria.
“Abbiamo attualmente circa 2.250 persone accolte, incluse quelle che sono arrivate dopo il recente naufragio di due imbarcazioni al largo di Lampedusa e chi è stato trasportato all’hotspot dopo il salvataggio dalla scogliera il 6 agosto (alcuni migranti erano rimasti bloccati sugli scogli a Lampedusa, dopo che la loro barca era rimasta distrutta nell’impatto con le rocce, ndr)”, aveva dichiarato in un comunicato il 7 agosto la Croce rossa, che gestisce l’hotspot dal 1 giugno.
“Dal 1 giugno sono state oltre 32mila le persone accolte e oltre 30mila le persone trasferite. Un’attività che vede impegnata la Cri con circa 120 operatori ogni giorno”, ha detto Rosario Valastro, presidente della Cri. In un comunicato la questura di Agrigento ha chiarito che a fronte di circa mille arrivi al giorno sull’isola, la prefettura e la questura stanno trasferendo centinaia di persone ogni giorno sulla terraferma. “Il 9 agosto sono stati 1.100 i migranti trasferiti da Lampedusa e il 10 agosto saranno almeno 600”, afferma la questura.
Ci sono stati nuovi arrivi anche nella notte tra il 9 e il 10 agosto. “Si è riaperta una finestra di bel tempo e ci aspettiamo ancora più arrivi”, spiega Giovanni D’Ambrosio, operatore di Mediterranean Hope a Lampedusa. “Purtroppo ci aspettiamo ormai ogni giorno che si verifichi una tragedia”, continua D’Ambrosio, che assiste i migranti allo sbarco. “Sempre più spesso vediamo persone in arrivo dalla Tunisia con segni di violenze e percosse”, conclude.
Le organizzazioni delle Nazioni Unite hanno affermato che i migranti partiti dalla Tunisia nei giorni scorsi hanno dovuto affrontare “condizioni meteomarine proibitive”, rendendo “sproporzionatamente pericolosi” i loro viaggi su imbarcazioni non idonee alla navigazione. Nel fine settimana sono avvenuti altri due naufragi al largo di Lampedusa e uno al largo delle coste tunisine.
Secondo il Missing migrants project dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) sono già più di 1.800 le persone morte o disperse lungo la rotta, che è tra le più pericolose del mondo, con oltre il 75 per cento delle vittime nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni. L’Oim, l’Unhcr e l’Unicef, presenti a Lampedusa, hanno chiesto il ripristino di un meccanismo di ricerca e soccorso governativo, che manca dal 2017.
L’accordo con la Tunisia
Secondo il ministero dell’interno, nei primi sette mesi del 2023 sono sbarcati in Italia 93.754 migranti, più del doppio di quelli arrivati nello stesso periodo dell’anno precedente. La stragrande maggioranza di loro è partita dalle coste tunisine, che hanno superato quelle libiche come punto di partenza verso l’Europa. I paesi di origine dei migranti arrivati in Italia sono Guinea, Costa d’Avorio, Egitto e Tunisia.
Ma l’intensificarsi delle partenze dalla costa tunisina degli ultimi giorni, nonostante il maltempo, solleva molti dubbi sull’efficacia dell’accordo che l’Unione europea ha firmato il mese scorso con Tunisi, con la mediazione della presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni. L’accordo prevedeva lo stanziamento di circa cento milioni destinati al controllo della frontiera e un pacchetto da novecento milioni di euro per il sostegno dell’economia tunisina, a rischio di default, ma non ha avuto nessun effetto sulle partenze.
Il patto con la Tunisia, inoltre, aveva destato molte critiche, perché è stato concluso proprio mentre circa 1.200 migranti erano arrestati a Sfax, la seconda città del paese, e trasferiti con la forza in un’area di confine desertica, respinti verso la frontiera con la Libia. Il 9 agosto le autorità libiche hanno dichiarato di aver trovato 27 persone morte nel deserto, tra quelli respinti e abbandonati dalle autorità tunisine.
A fine febbraio, sui social e sui mezzi d’informazione tunisini era cominciata una campagna di odio verso i migranti subsahariani lanciata dal Partito nazionalista tunisino e rafforzata da un discorso del presidente Kais Saied che accusava “orde di clandestini di essere fonte di violenza, reati e azioni inaccettabili”. Nelle settimane successive al discorso, le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato decine di aggressioni verso gli stranieri, anche verso quelli che abitano nel paese da molto tempo.
L’accoglienza che manca
L’isola di Lampedusa non è l’unico territorio italiano a essere sotto pressione per l’aumento degli arrivi e la mancanza di strutture di accoglienza adeguate ai numeri: a Trieste, in Friuli-Venezia Giulia, centinaia di richiedenti asilo arrivati in Italia nelle ultime settimane dalla rotta balcanica stanno dormendo all’interno di silos abbandonati perché non ci sono posti nel sistema di accoglienza italiano, che al momento è in difficoltà dopo i tagli degli anni passati dovuti ai decreti sicurezza. “Gli arrivi via terra dalla rotta balcanica non sono neppure considerati, quei pochi trasferimenti che venivano fatti in passato dal Friuli-Venezia Giulia alle altre regioni italiane al momento sono stati sospesi”, racconta Gianfranco Schiavone dell’Ics - Consorzio italiano di solidarietà di Trieste, uno dei massimi esperti del settore.
Dal 2018 c’è stata una riduzione generalizzata dei posti nell’accoglienza in Italia: nel sistema gestito direttamente dal ministero dell’interno si è passati dai 125mila posti a disposizione nel 2018 a cinquantamila posti nel 2021. Mentre sono quattromila i posti persi dal 2018 al 2020 nel sistema gestito dai comuni (l’ex Sprar, oggi Sai). Lo ha denunciato il rapporto Centri d’Italia dell’ong Action Aid in collaborazione con Openpolis.
Con il decreto del 2018 inoltre sono stati tagliati i fondi destinati all’accoglienza: i centri sono diventati dei semplici alloggi e hanno smesso di offrire corsi d’italiano o di formazione, cioè un’assistenza più completa oltre al vitto. La conseguenza è che molte piccole associazioni non profit non hanno più partecipato ai bandi di gara, non riuscendo a sostenere la concorrenza dei grandi gruppi. Nella gestione dei centri sono rimaste le grandi aziende a scopo di lucro, che hanno abbassato la qualità e la quantità dei servizi offerti. “Ma al momento non sappiamo neppure quanti posti sono occupati e quanti ne servirebbero per garantire accoglienza alle persone che stanno arrivando”, spiega Schiavone. “È incredibile che su una questione così delicata e così sensibile al livello politico non ci sia chiarezza”.
Secondo il quotidiano La Repubblica, con l’aumento degli arrivi nel 2023 il ministero dell’interno ha dovuto preparare un nuovo piano per trovare almeno 50mila posti nelle prossime settimane, in una situazione di emergenza. Ma il 4 agosto il ministero dell’interno ha convocato un tavolo di coordinamento con le autorità locali e le realtà associative che si occupano di accoglienza e non ha comunicato nessun numero preciso di posti da trovare. “Alla riunione a cui ha partecipato il Tavolo asilo non è stato comunicato nessun numero”, conferma Schiavone, che ha partecipato alla riunione. “È plausibile che manchino per i prossimi mesi cinquantamila posti in Italia, ma è impossibile fare dei piani senza dei dati precisi”, continua.
“C’è da dire che all’incontro non ha partecipato neppure il commissario allo stato di emergenza per l’immigrazione, Valerio Valenti”, sottolinea Schiavone. “La cosa più grave in realtà è che non sembra che ci sia alcun piano e nessuna delle questioni poste dal Tavolo asilo è stata affrontata”, continua l’esperto. “Senza un investimento e senza fondi non è possibile fornire nessun tipo di accoglienza”, conclude.
Anche a Ventimiglia, in Liguria, dopo la chiusura del centro per transitanti gestito dalla Croce rossa, i migranti dormono in strada o si accampano lungo il fiume Roya. Ultimamente ha fatto scalpore la notizia di recinzioni costruite lungo il fiume dall’amministrazione comunale per impedire ai migranti di costruire bivacchi per la notte. Inoltre gruppi di vigilantes hanno organizzato delle ronde al cimitero della città ligure per impedire loro di accamparsi vicino alla struttura, come era avvenuto nell’ultimo periodo. “Le donne e i bambini sono ospitati in una struttura della Caritas o in altre strutture”, spiega Marina Castellano, responsabile del progetto di Medici senza frontiere a Ventimiglia. “Ma gli uomini non hanno un posto in cui dormire”.
Castellano denuncia i continui respingimenti da parte delle autorità francesi (a cui Msf ha dedicato il rapporto Vietato passare): “Alcune persone sono state respinte anche venti volte: tra loro anche persone vulnerabili, minori, donne incinte e famiglie”. Ma nonostante il fenomeno sia noto da anni, a Ventimiglia manca qualsiasi forma di accoglienza istituzionale, che al momento è affidata a volontari e associazioni: “Lavoriamo in coordinamento con diverse organizzazioni, noi abbiamo una clinica mobile con cui cerchiamo di rispondere alle necessità sanitarie delle persone. Ma la situazione è terribile e i numeri stanno aumentando”.
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