“Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione”, scrivevano le femministe di Rivolta femminile nel loro Manifesto, apparso a Roma nel luglio 1970, oggi ripubblicato nella nuova edizione di uno dei classici del femminismo italiano, Sputiamo su Hegel (La Tartaruga 2023) di Carla Lonzi.
A distanza di qualche decennio, non è andata esattamente così: molte cose sono saltate nel mondo, proprio grazie alla ribellione femminile e all’uscita delle donne dallo stato di minorità nel quale erano relegate da secoli. Ma in un momento in cui alcune conquiste sembrano consolidate, l’autonomia e l’autodeteminazione femminile sono percepite ancora come una minaccia e scatenano reazioni estremamente violente negli uomini.
“Sono stati 110 i femminicidi accertati in Italia. Donne e ragazze uccise dai loro compagni, dai loro ex, dai loro familiari. I dati che abbiamo raccolto in tutti i centri antiviolenza italiani tracciano un quadro allarmante: le violenze, anche sessuali, sono in aumento in tutto il paese, soprattutto tra i più giovani”, racconta Daria (che preferisce non rivelare il proprio cognome, come le altre attiviste), attivista della Casa delle donne Lucha y siesta di Roma. Si sta riposando seduta intorno a un tavolo nella sala polifunzionale dell’edificio, al termine di una giornata molto complicata. Alle pareti ci sono i manifesti colorati delle mobilitazioni organizzate nel corso degli ultimi anni, la casa è immersa nel silenzio, le ospiti sono già andate a dormire.
Le attiviste sono in allarme per una notizia che hanno ricevuto da qualche ora e che le ha colte di sorpresa: la giunta della regione Lazio guidata da Francesco Rocca vuole stracciare la convenzione stipulata con il centro dalla precedente amministrazione appena un anno fa e mettere a bando lo spazio, comprato dalla regione nel 2021, proprio in seguito a una vasta mobilitazione delle attiviste in difesa della struttura, che era occupata dal 2008 e rischiava lo sgombero.
“Dopo quindici anni di costruzione di un presidio antiviolenza all’avanguardia, di tavoli istituzionali che hanno spinto la regione a comprare lo stabile dell’Atac e alla stesura di una convenzione che riconosceva formalmente l’immenso valore storico e culturale di Lucha y siesta, ora tutto riparte da zero”, spiegano le attiviste.
Quindici anni di attività
Quando il gruppo occupò l’ex stazione elettrica della Stefer, vicino alla fermata della metropolitana Lucio Sestio a Roma, nessuno immaginava che la casa sarebbe rimasta attiva per quindici anni, ospitando centinaia di donne e diventando un punto di riferimento per la lotta alla violenza nel territorio. Costruito alla fine degli anni venti come nodo ferroviario che collegava Roma ai Castelli romani, l’edificio era stato prima trasformato in ufficio e infine abbandonato negli anni novanta.
“Quando siamo entrate qui volevamo denunciare soprattutto la mancanza di alloggi per le persone che hanno questo tipo di difficoltà e offrire un luogo in cui vivere senza limiti di tempo”, spiega una delle attiviste. Ma nel corso degli anni la casa è diventata molto altro: dodici stanze, tra cui due d’emergenza per accogliere chi bussa a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Nelle quattro case rifugio esistenti a Roma le donne possono essere ospitate per un periodo massimo di sei mesi. Secondo le operatrici e gli esperti, tuttavia, una donna che ha subìto violenza ha bisogno di almeno un anno per rimettersi in piedi e ricostruire un percorso di autonomia, soprattutto se ha dei figli.
Nella residenza convivono diversi spazi: c’è una biblioteca, una stanza in cui si tengono corsi di yoga e ginnastica a cui possono accedere tutti, non solo le ospiti, una sala giochi per i bambini autogestita dalle famiglie della zona, una sartoria artigianale, un centro di consulenza psicologica.
Infine, ci sono molte attività aperte al quartiere: un parco giochi per i bambini, il cineforum d’estate, un centro culturale. Ma la casa è soprattutto un punto di riferimento politico, che elabora pensiero e pratiche femministe. “È questo che non ci perdonano”, spiega Angela, un’altra attivista. “Non offriamo solo dei servizi per le donne in difficoltà, le aiutiamo a pensare in maniera diversa, a non sentirsi solo delle vittime e a diventare autonome”.
Il 24,9 per cento delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza ha subìto violenza sessuale
La casa è stranamente silenziosa, nel giardino ci sono dei giochi per bambini abbandonati, il cancello però è ancora aperto. “È tutto il giorno che riceviamo messaggi, sulla nostra pagina Facebook abbiamo ricevuto tantissima solidarietà quando abbiamo dato la notizia”, racconta Daria, mentre controlla un’ultima volta il telefono.
“In questi anni Lucha y siesta ha stretto legami e relazioni con molte realtà del territorio e in tutta Italia, e nessuno è disposto ad accettare questa decisione: per un anno intero abbiamo chiesto di essere ricevute dalla nuova giunta, ma siamo state ignorate, poi abbiamo letto questa notizia”, racconta Chiara. L’11 ottobre la giunta regionale ha messo all’ordine del giorno una delibera per revocare la convenzione con l’associazione stipulata e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale un anno fa. Il 12 ottobre le attiviste hanno convocato un sit-in alle 18 sotto la regione Lazio per chiedere all’amministrazione di annulare la delibera, che potrebbe essere approvata già il 13 ottobre.
“È incredibile che in un momento come questo, con un aumento delle violenze, degli stupri e delle molestie sessuali contro le donne, la regione sia invece concentrata ad attaccare le organizzazioni che sul territorio si occupano proprio di contrastare queste violenze”, dice Chiara. “Abbiamo già stabilito che il giorno successivo alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, il 26 novembre, il movimento femminista si ritroverà a Lucha y siesta per discutere”, continua l’attivista. “Ce lo hanno chiesto le femministe e questo ci sembra un grande riconoscimento”.
“Basta guardare ai nostri rapporti (dati presentati a Roma il 18 aprile 2023 al convegno ‘Fenomenologia della violenza sessuale. Dalla cultura dello stupro alla cultura del consenso’) o a quelli dell’Istat per capire che nell’ultimo anno tutti i tipi di violenza contro le donne sono aumentati, ma da parte degli amministratori la reazione è quella di ostacolare realtà come la nostra, invece di sostenerle e renderle più capillari: il 24, 9 per cento delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza gestiti ha subìto violenza sessuale; tra loro il 36,2 per cento ha dai 18 ai 29 anni”, spiega Daria.
“C’è un fenomeno sempre più allarmante che riguarda le giovani e le giovanissime”, continua. Nell’ultimo anno le denunce di violenza sessuale sono aumentate, ma i fondi e le politiche per il contrasto alla violenza di genere sono ancora insufficienti e arrivano con grande ritardo ai centri. “Non cederemo di un millimetro. Se dovesse succedere qualcosa a questo posto ci sarà una reazione grande, ne siamo sicure”, conclude l’attivista.
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