Il 16 ottobre il consiglio dei ministri ha presentato la finanziaria e ha riconfermato una serie di misure di sostegno alle famiglie e alle donne che hanno più di un figlio. “Noi vogliamo stabilire che una donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società e quindi lo stato in parte compensa pagando i contributi previdenziali”, ha detto la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, illustrando il testo alla stampa.

Nella legge di bilancio un miliardo di euro è destinato al sostegno alla natalità. Tra le misure previste c’è la riconferma dell’assegno unico e l’estensione del congedo parentale facoltativo, l’aumento del fondo per gli asili nido con l’obiettivo di renderlo gratis per il secondo figlio e un taglio alle tasse per le donne lavoratrici con almeno due figli. Non è stato invece riconfermato il taglio dell’iva sui prodotti per la prima infanzia, che era presente nella finanziaria del 2022.

“Vogliamo smontare la narrativa per cui la natalità è un disincentivo al lavoro. Vogliamo incentivare chi mette al mondo dei figli e vuole lavorare”, ha aggiunto Meloni, parlando con i giornalisti. In Italia la natalità è tra le più basse d’Europa da decenni: secondo l’Istat nel 2022 le nascite sono state 393mila, il 2 per cento in meno dell’anno precedente, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale negativo di 320mila unità. Il numero medio di figli per donna è sceso da 2,66 nel 1964 a 1,24 nel 2020.

A questo quadro contribuisce anche il progressivo invecchiamento della popolazione femminile in età fertile e l’aumento dell’età media delle donne che partoriscono, arrivata a 32,2 anni: avere figli è una scelta presa sempre di meno e più tardi. Questo, secondo il demografo Alessandro Rosina, ha fatto diventare l’Italia il paese con il tasso più basso di persone sotto ai trent’anni in Europa: il 25 per cento (dopo la seconda guerra mondiale le persone sotto ai trent’anni nel paese erano il 50 per cento della popolazione).

“Non è un caso che in Italia ci sia bassa occupazione femminile e bassa natalità. Le due cose sono legate. Le donne che lavorano non fanno figli, quelle che li fanno smettono di lavorare, ma questo espone le famiglie con figli a un rischio maggiore d’impoverimento, perché diventano monoreddito”, spiega Rosina. Il demografo sottolinea inoltre che gli interventi per la natalità non possono essere separati da quelli per l’occupazione femminile o per l’integrazione degli stranieri.

Invece il contesto italiano presenta diverse criticità: i bassi tassi di occupazione femminile (49,4 per cento, quasi una donna su due non lavora); l’incertezza economica, soprattutto per i giovani; la precarietà del lavoro; la bassa retribuzione di tutti i lavoratori e in particolare delle donne; e la carenza strutturale di servizi per l’infanzia. Ma anche lavori di cura che ricadono ancora principalmente sulle donne e non sulla coppia e sull’intera comunità educante.

Gerarchie pericolose

Meloni, che è una strenua sostenitrice della famiglia tradizionale, ha puntato molto sulle misure economiche e fiscali per sostenere le famiglie numerose, ma vorrebbe anche farsi paladina delle madri che lavorano. Così per il secondo anno ha puntato su questo tipo di incentivi, che tuttavia sono insufficienti e rischiano di essere inefficaci, secondo alcune esperte.

Alessandra Minello, professoressa di demografia all’università di Padova e autrice del libro Non è un paese per madri (Laterza 2022), commenta: “Fino a qualche anno fa il problema della denatalità era che le donne si fermavano al primo figlio, ma ora per le donne nate negli anni ottanta il problema è che non hanno neppure un figlio (il 25 per cento di loro), anche quelle che vorrebbero farli non si decidono. Quindi pensare delle misure per le donne che hanno più di un figlio non avrà nessun effetto su questo aspetto”. Anche la detassazione del lavoro, prevista dalla manovra, è pensata per le donne con due o più figli: “Il focus sono le famiglie che hanno già diversi figli”.

La ricercatrice è convinta che in Italia la denatalità sia dovuta soprattutto a una cultura che assegna alle madri tutte le responsabilità di cura dei figli e alle caratteristiche del mondo del lavoro: precario e con salari bassi, soprattutto per le donne. Molti sostengono che il migliore incentivo alla natalità sarebbe dare alle donne un lavoro sicuro, mentre sono ancora le più precarie e le meno retribuite a parità di mansioni, nonostante siano spesso anche più istruite dei coetanei maschi.

“Una misura positiva è quella che aggiunge un mese di congedo retribuito al sessanta per cento, peccato che non sia una misura pensata per diventare strutturale. Ma questo tipo di strumenti di solito incentivano i padri a occuparsi del lavoro di cura dei figli”, continua la ricercatrice, che tuttavia sottolinea come sia estremamente pericoloso dire, come ha fatto Giorgia Meloni, che “una donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società”. Secondo Minnello questo crea una gerarchia tra chi è madre e chi non lo è, e rinforza il mito della “madre sacrificale” all’origine dell’alta denatalità, uno dei motivi per cui le italiane non vogliono figli, non volendo che ricada su di loro tutto il lavoro di cura.

Un intervento insufficiente

“In Italia la percentuale delle famiglie costituite da coppie senza figli è alta e in crescita: il 20 per cento nel 2021”, spiega Francesca Bettio, professoressa di economia all’università di Siena. Per influire su una situazione di questo tipo c’è bisogno di un investimento economico a lungo termine e corposo: “La prospettiva non può essere quella di un anno, nessuno sceglie di fare un figlio perché per dodici mesi ha un sussidio. I figli sono impegni importanti, che stravolgono la vita delle persone, quindi bisogna rassicurarle con azioni sul lungo periodo”, continua Bettio.

In Germania, per esempio, sono state fatte politiche di sostegno alla natalità che hanno interessato il paese per un decennio e che hanno toccato diversi aspetti: servizi per l’infanzia, sussidi alle famiglie, politiche d’integrazione degli immigrati.

“Le stime dicono che in Germania, dopo l’aumento delle strutture per l’infanziada quasi zero al 18 per cento tra il 2006 e il 2012, le coppie senza figli e con entrambi i genitori occupati sono diminuite del 12 per cento”, spiega Bettio.

Ma non c’è una formula valida per ogni paese: in alcuni l’estensione dei congedi parentali funziona, in altri no, chiarisce l’economista. Di sicuro bisognerebbe investire molti soldi a lungo termine su diversi aspetti: “Estendere la rete dei servizi per l’infanzia anche in età prescolare, lavorare sull’insicurezza economica del lavoro e sull’autonomia dei ragazzi, estendere i congedi retribuiti, anche per i padri, sussidi per la procreazione assistita e politiche più laiche per le adozioni”.

Secondo Bettio, solo se si agisse in tutte queste direzioni si potrebbe influire sulla natalità italiana nei prossimi anni. Ma non è in questa direzione che va la finanziaria, che prevede misure molto modeste e a breve termine, e rivolte solo a un numero limitato di persone.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it