J. M. è stato rinchiuso nel centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli, a Milano, perché i suoi documenti erano scaduti: è stato dentro per ventidue giorni, nonostante fosse un malato oncologico e gli fosse stato diagnosticato un grave tumore cerebrale. Non avrebbe mai dovuto entrare in questo tipo di strutture. Invece dopo un ricovero ospedaliero è stato riportato nel Cpr di Milano.
J. M. deve la sua salvezza a un compagno, che preoccupato per il suo stato di salute dopo le dimissioni dall’ospedale, ha contattato il centralino del Naga di Milano, un ambulatorio che fornisce anche assistenza legale agli stranieri. Aveva letto nella cartella clinica del compagno che i continui mal di testa e svenimenti non erano dovuti a semplici sbalzi di pressione, ma c’era molto di più, anche se nella struttura di detenzione non stava ricevendo cure adeguate. Il Naga ha segnalato il caso al garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che è intervenuto e ha richiesto una visita oncologica, in seguito alla quale J. M. è stato dichiarato inidoneo a essere rinchiuso nel centro di detenzione e non rimpatriabile. Ora è in attesa di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di salute.
Quella di J. M. è solo una delle storie raccolte dal Naga e dalla rete No ai Cpr, che nel rapporto Al di là di quella porta hanno presentato i risultati di un’indagine durata un anno sulla struttura detentiva diMilano. Mancate visite mediche, ostruzionismo, opacità, uso massiccio di psicofarmaci, assenza di servizi, strutture fatiscenti, violenze: sono alcune delle cose riscontrate dagli osservatori di questo rapporto in un anno di attività. “Esprimiamo preoccupazione per la decisione del governo di estendere il trattenimento massimo consentito all’interno dei Cpr a 18 mesi e sul progetto di aprirne altri in ogni regione italiana”, è scritto nel rapporto.
Una priorità del governo
Tuttavia, il 17 ottobre, in un’informativa alla camera, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha confermato che costruire nuovi Cpr è una priorità del governo. “In ragione delle loro finalità, la presenza di tali strutture non diminuisce, bensì aumenta i livelli di sicurezza dei territori di localizzazione”, ha detto il ministro parlando ai deputati. Ma un nuovo rapporto di ActionAid e del dipartimento di scienze politiche dell’università di Bari mette in discussione l’efficacia di questi centri, introdotti in Italia nel 1998, e ne mostra i costi esorbitanti.
Nello studio Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri il sistema dei Cpr è descritto come “inumano, costoso, inefficace e ingovernabile”. Secondo i ricercatori, la detenzione amministrativa degli stranieri ha ottenuto un solo risultato evidente nel corso di quasi trent’anni: “Divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50 per cento delle persone in ingresso in un Cpr e quasi il 70 per cento dei rimpatriati. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18 per cento degli arrivi via mare nel 2018-2023”.
Inoltre, il rapporto evidenzia il ruolo dei gestori: “Sono cooperative e soggetti profit – tra i quali anche alcune multinazionali – a gestire i dieci centri attivi in Italia in un contesto di allarmante confusione amministrativa e mancanza di trasparenza. Nel periodo 2018-2021 la gestione di ben sei dei dieci Cpr attivi è stata prorogata, per un totale di oltre tremila giorni. Quattro capitolati di gara differenti operano contemporaneamente, generando enormi disparità tra la qualità e i costi dei servizi offerti”.
“Il caos gestionale emerge fin dalle interlocuzioni con le prefetture. A Gorizia, Caltanissetta e Brindisi è impossibile distinguere le spese di manutenzione ordinarie del Cpr da quelle del centro di prima accoglienza (Cpa) attiguo. Negli ultimi due casi, Cpr e centri di prima accoglienza sono inoltre gestiti dagli stessi soggetti privati”, spiega Fabrizio Coresi, uno dei relatori del rapporto per ActionAid.
I costi sono molto alti anche se i posti sono pochi: 53 milioni dal 2018 al 2021; il costo medio di ogni struttura è di un milione e mezzo all’anno, mentre quello di un posto di 21mila euro. Quasi 15 milioni sono impiegati per la manutenzione, di cui più del 60 per cento è stato usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti.
A conferma che il prolungamento dei tempi di trattenimento degli stranieri comporta solo la crescita delle spese di manutenzione straordinaria: nel 2018 a 27 giorni di permanenza media in un Cpr corrispondono 1,2 milioni di euro per costi di manutenzione straordinaria; nel 2020, a fronte di 41 giorni di permanenza media, i costi erano saliti a 4,1 milioni. Tuttavia, anche se aumentano le spese, diminuiscono i servizi: “Sono solo nove i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, nove i minuti a settimana di assistenza sociale per ospite, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica”.
“L’investimento nei Cpr ha prodotto una crescita dei costi umani ed economici delle politiche di rimpatrio. Dal 2017 si rimpatria di meno, si spende di più e lo si fa in maniera sempre più coercitiva”, continua Coresi. “Il ricorso a queste strutture ha già dimostrato di essere fallimentare. Tuttavia, si continuano a presentare i Cpr come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri. I dati raccolti, invece, dicono l’esatto contrario”.
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