“Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico”. Scriveva così Oriana Fallaci nella premessa della sua inchiesta Il sesso inutile, viaggio intorno alla donna (Rizzoli 1961). Oggi, nonostante siano passati decenni, il cosiddetto soffitto di cristallo, un ostacolo invisibile che blocca le ambizioni e le rivendicazioni delle donne nel mondo del lavoro, è più che mai presente nell’industria musicale italiana che continua a trattare le artiste come una categoria protetta da confinare nelle playlist di Spotify dedicate all’8 marz
L’industria della musica leggera italiana, nonostante la visibilità di tante artiste di talento, rimane dominata saldamente dagli uomini. Nel nostro paese le donne rappresentano infatti il 14,1 per cento del totale delle artiste presenti nelle classifiche ufficiali: quindi, meno di un artista su cinque è donna.
Molte interpreti poche autrici
“A noi donne è concesso occupare spazio sul palco. Se invece si vuole ricoprire una carica diversa, niente da fare”, afferma la cantante Ditonellapiaga, all’anagrafe Margherita Carducci, nata nel 1997.
Ditonellapiaga è stata una delle rivelazioni dell’ultimo festival di Sanremo. Ha conquistato il disco di platino con il provocatorio singolo Chimica, che ha cantato in coppia con Donatella Rettore sul palco dell’Ariston.
“Durante le interviste mi viene chiesto se sono proprio io a scrivere i testi delle mie canzoni. Non so onestamente se la stessa domanda viene fatta anche ai colleghi maschi”. E aggiunge: “Nonostante ci fossero artiste di grandissimo valore, quando ero piccola c’era comunque poca rappresentanza femminile nelle classifiche musicali. Se una bambina non ha punti di riferimento o modelli da seguire nel suo paese, è difficile poi che un giorno voglia fare questo lavoro. Da piccola ero fissata con le pop star e quindi trovavo modelli solo al di là dei confini nazionali”.
La tradizione italiana è piena di grandi artiste come Mina, Patty Pravo, Ornella Vanoni prima, Loredana Bertè, Mia Martini e Anna Oxa poi. E, nella generazione ancora successiva, Laura Pausini e Giorgia, per arrivare oggi a Emma, Elodie e Annalisa. In comune hanno tutte il fatto di essere soprattutto interpreti. Le cantautrici sono molto meno numerose: vengono in mente Gianna Nannini, Paola Turci e Carmen Consoli.
In generale le donne nell’industria musicale italiana sono da sempre meno degli uomini, sono soggette a un diverso trattamento economico, come ancora in molti altri campi, e fanno il doppio della fatica per affermarsi professionalmente.
Una situazione “che ha origine da un retaggio culturale che ci portiamo dietro da secoli”, aggiunge Ditonellapiaga, che ha ribadito questo argomento anche sul suo profilo Instagram.
Le artiste italiane, con la complicità di una stampa musicale storicamente maschio-centrica, vengono raccontate anzitutto per il loro aspetto fisico, per il loro abbigliamento, per il trucco e i capelli. Per gli uomini questo succede assai raramente e solo se la volontà stessa dell’artista è quella di provocare con il proprio abbigliamento. Per intenderci, difficilmente si giudica il look di Tiziano Ferro o di Jovanotti quanto quello di Achille Lauro che, intenzionalmente, fa dei costumi un aspetto fondamentale della sua performance.
Se sul palco c’è una donna, che lei lo voglia o no la si giudica per il suo corpo, sempre troppo o troppo poco esposto e sempre troppo magro o troppo grasso.
Nella mentalità diffusa persiste poi un pregiudizio cognitivo, per cui se un brano è scritto o è interpretato da una donna gli si attribuisce un valore immediatamente inferiore.
Nelle opere liriche del grande repertorio romantico italiano, la radice da cui è nata la nostra musica leggera, i ruoli maschili da protagonista sono molti di più di quelli femminili. Tenori e baritoni stanno in media più tempo in scena di soprani e contralti, e cantano molto di più. Il melodramma italiano ha creato molti più “primiuomini” che “primedonne”. E, quasi superfluo ricordarlo, compositori e librettisti erano esclusivamente uomini. L’eroe dunque è sempre un uomo e il punto di vista principale è quasi sempre il suo. È questa forse la ragione di fondo per cui le artiste pop italiane sono considerate comunque e sempre delle interpreti, quasi fossero incapaci di esprimere nei loro brani un punto di vista di respiro universale che rimane ancora appannaggio dell’interpretazione maschile. Quante volte si sente l’espressione “per essere una donna è davvero brava!” o “è brava come un uomo”?
Se anche le playlist di Spotify ragionano per quote rosa vuol dire che un problema c’è
Non è cattiveria
Uno studio della Fondazione Italia Music Lab ha evidenziato numeri desolanti, che denunciano il gender gap, una disparità di genere sistematica, nella musica italiana e internazionale: nelle prime venti posizioni dei dischi più venduti in Italia nel 2021 c’è solo un’artista. Tra gli autori iscritti alle maggiori società di collecting europee, ovvero quelle società che gestiscono e proteggono i diritti d’autore (come la Siae in Italia), le autrici sono in media il 16 per cento.
Le musiciste sono il 14,1 per cento del totale degli artisti presenti nelle classifiche di Spotify in Italia; i musicisti sono il 58,4 per cento, mentre le band il 27,5 per cento. In Italia, su un campione di 389.219 registrazioni musicali, i ruoli da autrici per le donne sono l’8,3 per cento, contro il 91,68 per cento degli uomini.
“Nel nostro mondo c’è purtroppo anche chi dice che c’è competizione tra donne. Be’ è inevitabile se ci sono 100 opportunità per gli uomini e 15 per le donne. Non è cattiveria”, dice ancora Ditonellapiaga, che aggiunge: “Se oggi abbiamo ancora bisogno di playlist al femminile, un problema alla base esiste. È un bene che ci siano, ma spero che non debbano esistere per sempre. Il problema della celebrazione sottolinea comunque una diversità: non ci sono playlist di uomini!”.
In occasione della giornata internazionale della donna, l’8 marzo del 2021, Spotify lanciò EQUAL, una campagna che a livello globale si poneva l’obiettivo di promuovere la parità di genere e di celebrare il ruolo delle donne nel mondo della musica.
Spotify sentiva la necessità di accendere i riflettori su autrici, artiste e podcaster, attraverso una rete di collaborazioni che rendesse più visibili i loro nuovi contenuti e che fornisse un aiuto concreto sulla piattaforma. È stata un’iniziativa certamente importante che però ha evidenziato quanto ci sia bisogno di un’etichetta per rimarcare il cosiddetto “ruolo della donna”, ancora bisognosa di una categoria a parte, di una sottolineatura per avere visibilità in un mondo che viene ancora visto e concepito da occhi maschili.
Per Dalia Gaberscik, titolare della società di comunicazione Goigest e vicepresidente della Fondazione Gaber, il mondo della comunicazione musicale è prevalentemente femminile: “Se penso alle persone che gestiscono oggi le più importanti aree di comunicazione dell’entertainment direttamente legate al mondo degli artisti, sono donne. Non è lo stesso nell’industria discografica, dove le divisioni promozionali sono dirette quasi esclusivamente da uomini. Mi domando se in termini industriali gli avanzamenti di carriera non si basino solo sui meriti, ma anche su meccanismi sicuramente più complessi all’interno del mondo dell’azienda. Le aree di management sono difficilmente affidate a donne”.
Quindi ancora una volta il ruolo della donna è più che altro di rappresentanza: considerata più “gentile” e “accomodante” in una dimensione di discriminazione sotterranea che la vede ancora in un ruolo di facilitatrice e di promotrice d’idee e concetti altrui.
Gaberscik, in proprio dall’età di vent’anni, lavora tra gli altri per Laura Pausini, Jovanotti, Gianni Morandi, Eros Ramazzotti e Brunori Sas: “Non ho avuto difficoltà in quanto donna, ma solo il piacere di avere sempre voglia di aggiornare e affinare le mie capacità e la mia esperienza”.
A mettere l’accento sul panorama sconfortante della presenza femminile nell’industria musicale è poi Alessandra Micalizzi, psicologa, docente e ricercatrice presso il Sae institute di Milano dove insegna sociologia dei nuovi media, psicologia del game e fondamenti di marketing per l’industria culturale, che ha di recente coordinato un’indagine approfondita sul gender gap nell’industria discografica. I risultati sono stati pubblicati nel libro Women in creative industries, il gender gap nell’industria musicale italiana (Franco Angeli 2022).
Nella sua ricerca Micalizzi ha intervistato anonimamente molte professioniste e alcuni professionisti del settore musicale. Dallo studio è emerso che la competenza di tante donne non è riconosciuta, rispetto a quanto accade agli uomini: le donne vengono valutate come esecutrici, anche quando sono cantautrici, arrangiatrici e produttrici.
“Dalla ricerca che abbiamo condotto, si dimostra la presenza di discriminazioni sia nei contesti che abbiamo definito di backstage, come il management o le posizioni più tecniche o di produzione, sia per quelle del frontstage, cioè quello che abbraccia e include tutte le donne che lavorano sul palco (musiciste, artiste, cantautrici, interpreti)”.
Nel caso del management, racconta Micalizzi, si tratta di una discriminazione più qualitativa, giocata cioè sui ruoli occupati. Le discriminazioni nella produzione e nella performance sono invece anche numeriche, con percentuali che raccontano uno squilibrio persistente tra uomini e donne della musica. “I pregiudizi sulle donne sono trasversali ai diversi contesti di lavoro. Quelli che abbiamo raccolto attraverso le intervistate vedono la donna più fragile, emotiva, quindi incapace di assumere ruoli decisionali organizzativi e di comando; fisicamente meno dotata e quindi non idonea a lavori fisici (come l’allestimento del palco); meno capace nel ruolo manageriale (quindi per esempio esclusa dalle negoziazioni economiche). La donna è considerata anche meno creativa, quindi non capace di dedicarsi al lavoro di produzione, di scrittura della musica o dei testi”.
Micalizzi tiene a specificare poi che i cambiamenti sono reali solo quando vengono assimilati, ovvero quando si sedimentano entrando a far parte del nostro immaginario e dei modelli a cui c’ispiriamo: “Sono importanti le narrazioni che circolano e che raccontano le donne e, se vogliamo allargare lo sguardo, i generi. Andrebbero normalizzate – cioè rese norma e non eccezione – le storie di successo e di valorizzazione di donne, di quelle che professionalmente e artisticamente ce l’hanno fatta”.
Secondo Micalizzi oggi sono aumentati gli spazi di confronto e di dialogo intorno a questi temi: “Se ne parla di più e questo aiuta a far crescere la consapevolezza anche nell’opinione pubblica. Sono nati per esempio importanti network di rappresentanza come Equaly”.
Una rete di professioniste
Equaly è una comunità composta da artiste (cantautrici, interpreti, musiciste e producer) e addette ai lavori (foniche, tour manager, direttrici di produzione, addette stampa, promoter, responsabili di artisti e repertorio – ovvero chi si occupa di scoprire nuovi artisti e realtà musicali – e consulenti legali). A queste figure si affiancano giovani donne, studenti e non, che vogliono unirsi per collaborare a mettere al centro del dibattito la discriminazione di genere.
A oggi la piattaforma è formata da quasi 600 iscritte, ognuna delle quali offre un contributo per aiutare le altre a crescere personalmente e professionalmente.
L’obiettivo di Equaly è smontare gli stereotipi di genere nella musica italiana, creare consapevolezza, fornire modelli positivi, offrire formazione continua e dare risalto alle donne e alle persone che s’identificano in tutti i generi sottorappresentati.
Guardando le classifiche Spotify si può notare che negli ultimi anni sta lentamente, ma progressivamente, crescendo il numero di artiste italiane sotto i trent’anni, e questo fa ben sperare per il futuro. Finché si continua a osservare il mondo con lo stesso sguardo, senza provare a ripensarlo per dare alle donne le stesse possibilità, a cominciare proprio da una modifica profonda nell’organizzazione del lavoro, il cambiamento sarà lento e faticoso. Per raggiungere una vera parità di genere si deve progettare e costruire un panorama differente: nella musica come in tutti gli altri ambienti di lavoro.
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