La capacità di contare usando simboli è un’invenzione culturale recente, forse originata dalla pratica dei commerci su larga scala a partire dal neolitico. Tuttavia ancora oggi ci sono popolazioni tradizionali di cacciatori-raccoglitori che se la cavano bene senza alcuna conoscenza formale dei numeri, possedendo magari un lessico che comprende solo le parole per “uno” e “molti”. Come fanno? Grazie a una capacità, fondata biologicamente, di cogliere in modo approssimato la numerosità.
Quando stimiamo il numero di colombi in una piazza o di persone a una festa usiamo il nostro “senso del numero”, un sistema di rappresentazione non simbolico che permette valutazioni precise quando le numerosità sono piccole, e via via meno precise quando sono grandi. Si tratta comunque di un vero sistema numerico, perché consente di condurre le operazioni aritmetiche. Questo è stato dimostrato in una varietà di specie.
Qualche anno fa con i miei colleghi abbiamo osservato che i pulcini appena nati sanno valutare il numero di partner sociali scomparsi e riapparsi dietro due schermi: sommando e sottraendo correttamente il loro numero hanno poi scelto il gruppo più grande. La stima è realizzata nel cervello grazie ai “neuroni del numero” che modulano la loro attività elettrica in relazione alla numerosità percepita (il neurone della “treità” ha un’attività massima quando un pulcino vede tre compagni, più ridotta se ne vede due o quattro, ancor più ridotta se ne vede uno o cinque).
L’esistenza di un senso del numero è stata provata anche in invertebrati come le api, che hanno un sistema nervoso organizzato in modo diverso dal nostro. Le api sanno condurre operazioni aritmetiche e anche rappresentarsi lo zero come una numerosità (cioè come una quantità più vicina a uno che non a due o a sette).
Viene da chiedersi se il senso del numero sia parte di un sistema più generale di stima della quantità, che include sia gli aspetti discreti (le numerosità, per esempio il numero di uccelli in uno stormo) sia quelli continui (la durata di un suono o la lunghezza di un percorso). Le persone che soffrono di discalculia manifestano deficit non solo con i numeri, ma anche con la stima delle quantità in generale.
Abbiamo provato a verificare se le api sono in grado di generalizzare dal discreto al continuo, addestrandone alcune a scegliere quello più numeroso tra due gruppi di quadratini di varie dimensioni, mentre altre imparavano a scegliere quello meno numeroso.
Una volta appreso il compito sono state mostrate alle api due numerosità del tutto identiche, costituite però da quadratini di grandi oppure di piccole dimensioni. Senza esitare, le api addestrate a scegliere il numero più grande sceglievano gli stimoli di grandezza maggiore, e quelle addestrate a scegliere il numero più piccolo quelli di grandezza minore.
Non sappiamo ancora se sanno fare il contrario, ovvero generalizzare da quantità continue (superfici grandi o piccole) a quantità discrete (numerosità grandi o piccole), ma gli esperimenti sono in corso. La posta in gioco è importante: capire quale sia il fondamento biologico della nostra intuizione della numerosità. Sembra che i bambini con una maggiore capacità nel senso del numero siano quelli più pronti nell’apprendimento dell’aritmetica a scuola. Capire quali geni siano implicati potrebbe consentirci di curare i disturbi e, magari, anche di potenziare il nostro senso del numero. ◆
Giorgio Vallortigara è un neuroscienziato, professore all’università di Trento.
M. Bortot, G. Stancher, G. Vallortigara, Transfer from number to size reveals abstract coding of magnitude in honeybees, iScience (2020)
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