“Io non finisco mai le mie canzoni, continuano e basta”, scriveva Miles Davis nella sua autobiografia, mentre rifletteva sull’influenza avuta dalle sperimentazioni elettroniche del compositore Karlheinz Stockhausen sul suo album On the corner. Negli anni settanta quel disco, costruito sull’improvvisazione unita alla postproduzione in studio, fu stroncato da molti critici perché si allontanava troppo dalle forme classiche del jazz, ma in seguito è stato molto rivalutato.

L’idea della musica come una cosa non finita, mutevole, che puoi smontare e rimontare a piacimento e ripresentare al pubblico in una nuova veste è simile a quella che sta alla base di Qui noi cadiamo verso il fondo gelido. Concerti 2021-22 (il titolo è una traduzione in italiano di un verso del brano Ojos), il nuovo disco di Iosonouncane in uscita il 10 novembre. L’album, un triplo, raccoglie una serie di registrazioni dal vivo e documenta tre tour nei quali il cantautore sardo ha proposto in versioni differenti i brani dei suoi dischi Ira (cantato in una lingua che mescola inglese, arabo, francese e non solo) e Die, insieme ad alcuni inediti strumentali frutto dell’improvvisazione con altri musicisti.

“Ho deciso di pubblicarlo in questa forma perché è una rivendicazione dell’estemporaneo, dell’errore e del contributo che gli altri musicisti hanno dato alla mia creatività. È una fotografia molto esaustiva di quello che ho fatto sul palco in questi anni. Ma non è un best of dei miei pezzi, non è l’Mtv unplugged in New York dei Nirvana o il Live drugs degli War On Drugs. Non è una cosa pensata per compiacere il mio pubblico”, dice Iosonouncane, al secolo Jacopo Incani, in collegamento su Zoom dalla sua casa di Bologna, con i capelli abbastanza corti e la lunga barba nera.

Il primo tour documentato da Qui noi cadiamo verso il fondo gelido è quello del 2021, quando Iosonouncane ha suonato in trio con Bruno Germano e Amedeo Perri. Sul palco i tre interpretavano i brani di Ira in una nuova versione elettronica con sintetizzatori, sequencer e campionatori. Vestiti interamente di nero, chini sugli strumenti, sembravano tre “uomini macchina” in stile Kraftwerk. In quel periodo – fa strano anche solo a pensarci, oggi – il pubblico era ancora distanziato e aveva l’obbligo d’indossare la mascherina. Ma quei concerti, per chi li ha visti, sono stati molto potenti, quasi rivelatori, perché inserivano tutti i pezzi della scaletta in un unico flusso sonoro. Le canzoni più datate, come quelle di Die, assumevano nuove sfumature, come nella splendida versione elettronica di Buio, che è presente anche in Qui noi cadiamo verso il fondo gelido.

Poi nel 2022 è stata la volta della band al completo, cioè dei sette musicisti che hanno registrato Ira, che hanno eseguito integralmente il disco nei teatri e poi durante l’estate hanno fatto un tour all’aperto.

Verso la fine del 2023 invece Iosononuncane ha affrontato un tour europeo tra Londra, Berlino, Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Barcellona con un trio elettro-acustico, insieme ad Amedeo Perri (sintetizzatori ed elettronica) e Simone Cavina (batteria ed elettronica).

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“Mi piace rimettere mano ai miei brani e dargli nuova vita. Nel momento in cui tu decidi l’inizio e la fine di un’opera stai applicando una forzatura. L’arte invece è una cosa materica, soprattutto la musica dal vivo. Mi piace chi ha il coraggio di rimescolare il suo repertorio, chi lo adatta al passare del tempo. Nonostante sia un suo fan, Bob Dylan dal vivo mi fa spesso incazzare quando riarrangia i suoi pezzi fino a renderli irriconoscibili ai concerti. Ma se ci pensi bene lui fa una rivendicazione poetica grandiosa, che lo rende eterno. Mette in scena una forzatura clamorosa rispetto alle aspettative che il pubblico ha nei suoi confronti. Nel mio piccolo, vedo che semplicemente non suonare un brano amato dal pubblico come Stormi ai concerti ha delle conseguenze, figuriamoci quello che fa lui”, spiega Incani, che si appassiona quando parla del suo lavoro, ma ancora di più quando parla degli artisti che ama. Si esprime con il trasporto di un fan, e questo ti fa capire quanto sia un curioso divoratore di musica, oltre che un musicista molto rigoroso nell’affrontare il processo creativo.

Ma com’è nata l’idea di fare un disco dal vivo? “Io registro tutti i miei concerti dal 2015, cioè dal tour di Die. Sia per avere una documentazione sia perché già ai tempi c’erano dei piccoli momenti d’improvvisazione che davano ai pezzi una nuova veste. L’idea di pubblicare un live di Ira c’era da tempo. Due date di questi tour sono state anche filmate da Alessandro Gagliardo con una quantità infinita di telecamere, e vedremo cosa farne di questo materiale”.

In questi anni il modo di stare sul palco di Iosonouncane è cambiato molto. Merito anche dell’incontro artistico con Paolo Angeli, musicista sperimentale molto apprezzato all’estero che suona la chitarra sarda preparata, uno strumento a 18 corde che si è costruito da solo. Con lui Incani ha fatto anche una serie di concerti nel 2018, documentata da un altro disco dal vivo uscito quest’anno, Jalitah. “Paolo mi ha insegnato il valore dell’improvvisazione. La mia formazione musicale è stata opposta alla sua: da adolescente ero innamorato degli Oasis, poi Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles mi ha insegnato che fare musica voleva dire chiudersi in studio a sperimentare. In seguito sono passato ai Radiohead, per cui il concerto nella mia testa riusciva se si suonavano bene i pezzi del disco. Se c’erano errori, il concerto non era bello. Con gli Adharma, il mio primo gruppo, ragionavamo in questo modo. Paolo invece mi ha proposto una visione diversa: speriamo di fare degli errori, perché sarebbe l’occasione di sviluppare qualcosa di nuovo. Questa visione per quanto mi riguarda non ha sostituito completamente l’altra, ma mi ha cambiato la testa e mi ha spinto a fidarmi di più dei musicisti che suonano con me”.

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In Qui noi cadiamo verso il fondo gelido è presente anche un inedito cantato, Sacramento, un brano molto apprezzato dai fan con una melodia che fa pensare a certi brani di Luigi Tenco. “Sacramento è nato in occasione della sonorizzazione dell’omonimo film muto di Alessandro Gagliardo. Quando ho scritto i pezzi per il film, che all’inizio erano tutti strumentali, avevo intenzione di fare la sonorizzazione in luoghi di solito non raggiunti dai concerti: in un piccolo cinema di Venezia, all’Aquila o a Matera, d’inverno alle cinque del mattino. Volevo che fosse una celebrazione, come le messe a Buggerru, il paese in cui sono cresciuto in Sardegna, che a volte il prete faceva per una sola anziana. Ovviamente non è stato possibile, perché servivano finanziamenti, e quindi le abbiamo fatte a Bologna e Torino. Per l’occasione mi avevano chiesto anche un pezzo cantato, così ho scritto di getto Sacramento. Quel brano ai concerti è piaciuto molto, alla fine delle esibizioni diverse persone venivano a chiedermi cos’era e quando l’avrei pubblicato. Ho deciso di metterlo in questo disco per congedarmi da lui, definitivamente”.

A parte Sacramento, ci sono altri brani nel cassetto di Iosonouncane? Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? “Sto curando due colonne sonore, per un documentario e un film. Suono io tutti gli strumenti, ma forse metterò qua e là la voce di Daniela Pes. Fare colonne sonore è una bella sfida, significa operare all’interno di una visione artistica non tua. Puoi scrivere anche Paranoid android, ma se nel film non c’è spazio per Paranoid android la devi scartare. Ma è molto utile, per esempio ti costringe a imparare delle cose tecniche che non sapevi: le ultime due settimane le ho passate a cercare un solo suono sul mio sintetizzatore analogico. Credo di averlo trovato, finalmente, ma devo fare ancora qualche prova. In primavera dovrei aver finito con le colonne sonore e comincerò a lavorare al mio nuovo album in studio, che per me è la cosa più sublime: immaginare l’architettura sonora di brani nuovi è una cosa che mi toglie il sonno, in senso positivo”.

Sull’esistenza di una bozza di questo lavoro Iosonouncane è piuttosto criptico, ma sembra avere le idee abbastanza chiare. “Ho un sacco di materiale da parte. Per esempio ho una cartella che si chiama ‘Bozze brani da scrivere’ in cui finisce tutto quello che appunto o che non uso per le colonne sonore. Questa cartella allo stato attuale pesa cento gigabyte. Ma ne ho anche altre, per esempio una che contiene pezzi più pop. Sto già cominciando a immaginare il nuovo album e so che non partirò da quelle bozze. Ho già in testa il metodo con cui vorrei approcciarlo, che sarà completamente nuovo. Niente a che fare con il metodo di Ira, Die e della Macarena su Roma. Ma non posso dirti qual è, al momento”. Chiuso il capitolo di Ira, tra pochi mesi se ne aprirà quindi un altro. Anzi, per parafrasare Miles Davis, da qui in poi il vecchio e il nuovo disco di Iosonouncane, che per il momento è confinato nell’immaginazione del suo autore, continueranno insieme.

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