Tra il primo e il secondo turno delle amministrative di Verona il sindaco uscente di estrema destra Federico Sboarina aveva avvertito elettori ed elettrici che, se avesse vinto il centrosinistra, nelle scuole della città si sarebbe diffusa l’ideologia gender, che i bambini e le bambine sarebbero stati indottrinati e confusi rispetto alla loro identità di genere e che la cosiddetta “famiglia naturale”, basata cioè sul matrimonio tra un uomo e una donna e finalizzata alla procreazione, avrebbe corso enormi rischi. La minaccia era stata indirettamente ripresa anche dal vescovo dimissionario di Verona, Giuseppe Zenti. In una lettera e in un articolo sul giornale della diocesi aveva pubblicamente spiegato come nella scelta politica che da lì a poco attendeva preti e cittadini fosse necessario soppesare “l’area culturale” di cui ciascun candidato era espressione. E individuare di conseguenza quali “sensibilità e attenzioni” quello stesso candidato riservava all’aborto, all’eutanasia e “alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender”.
La sera in cui sono arrivati i risultati delle elezioni ed è stata annunciata la vittoria di Damiano Tommasi, sostenuto dal centro e dal centrosinistra, la sede del suo comitato era affollatissima di sostenitori e sostenitrici molto giovani: ragazzi e ragazze che si erano visti spesso agli incontri organizzati dall’Anpi, dalla Rete degli studenti medi, dal sindacato universitario Udu legato alla Cgil, che avevano organizzato la piazza delle Sardine nel 2019 e che, in parte, attraversano anche i Pride e le manifestazioni legate ai movimenti più radicali e meno istituzionali presenti in città. C’era, tra loro, chi indossava come un mantello la bandiera arcobaleno nella sua versione più aggiornata, per rappresentare anche le persone non bianche, trans e queer. E c’era chi, alla notizia della vittoria di Tommasi, aveva cominciato a far festa gridando “arriva il gender”. Sui social network circolano da giorni fotomontaggi di cartelli autostradali con l’indicazione “Veronə lgbt” o post che ridicolizzano le dichiarazioni dell’ex sindaco Sboarina che aveva predetto la trasformazione di Verona, se amministrata da Tommasi, in una “capitale transgender”.
Padre di sei figli
Calato direttamente dall’ex sindaco nel ruolo di nemico pubblico dei valori tradizionali, Tommasi è stato fin dal primo momento della sua elezione collettivamente caricato di molte aspettative e raccontato come colui che potrà compiere una rivoluzione in città, riscattandola finalmente da una storia fatta di estremismi, razzismo, oppressione e repressione. Ma nell’entusiasmo iniziale (condiviso anche da chi è soprattutto sollevato dalla sconfitta di Sboarina, più che dalla vittoria di Tommasi) il nuovo sindaco sembra anche essere stato trasformato nel rappresentante di una politica progressista, libera e molto coraggiosa in tema di genere e diritti. Su queste specifiche questioni Tommasi – che è un cattolico praticante, e che si è candidato “in quanto padre di sei figli” e che ha vinto con una formula politica molto moderata e fatta di compromessi in una città governata storicamente, oltre che dalla destra, dalla Democrazia cristiana – si è dimostrato molto cauto, limitandosi a fare dichiarazioni di intenti che restano per ora molto generiche.
Quel che non è possibile dire, in base a quanto mostrato fin qui, è se il nuovo sindaco sceglierà semplicemente di non seguire la direzione intrapresa dall’ultima amministrazione o se deciderà invece di prenderne una radicalmente e concretamente contraria. Massimo Prearo, studioso del movimento anti gender, avverte infatti che la strategia seguita in città negli ultimi anni è stata quella di non fornire risposte: “Se da una parte c’è stato un sovrainvestimento ideologico stigmatizzante, dal punto di vista dell’azione pubblica locale, per quanto riguarda ad esempio discriminazioni, omofobia, violenze o inclusione, ci si è comportati come se queste questioni semplicemente non esistessero, come se non ci fosse anche a Verona, ad esempio, una popolazione lgbt+ con i propri bisogni e le proprie richieste. Come se non fossero, questi, ambiti di intervento legittimi e possibili per un’amministrazione comunale. E sui quali si può continuare a non fare delle scelte, o farne altre più o meno coraggiose”.
Destra e integralismo cattolico
Nel corso del dibattito pubblico tra candidati che si è svolto qualche giorno prima del ballottaggio, Sboarina aveva dichiarato che durante il suo mandato Verona era stata una “città estremamente accogliente”, sfidando chiunque a dimostrare il contrario. Negli ultimi cinque anni molte persone vicine ad associazioni o spazi antifascisti, femministi, lgbt+, che lottano per il diritto alla casa, per migliorare i servizi delle persone senza fissa dimora o per le persone migranti (e spesso unite tra loro) qualcosa da obiettare l’hanno avuto. E l’hanno fatto: riempiendo piazze, organizzando incontri, spese solidali, aprendo sportelli di supporto o presidi contro gli sfratti.
Se Sboarina è stato accusato di aver fatto poco dal punto di vista amministrativo, gli viene trasversalmente riconosciuto un tenace impegno su questioni di genere, diritti civili e criminalizzazione di alcune categorie. L’ex sindaco ha dato un contributo fondamentale nel far diventare Verona il laboratorio dell’estrema destra e dell’integralismo cattolico. Tra un’iniziativa “in difesa della vita” e il finanziamento ai movimenti antiabortisti, tra una mozione contro lo ius soli e un’altra contro il ddl Zan, Sboarina, spiega Zeno Menegazzi ex presidente di Arcigay Verona, “non solo non ha reso la città un luogo accogliente, ma l’ha trasformata in un luogo ostile: per le soggettività lgbt+, per le donne, per le persone migranti e per tutti coloro che non obbedivano alla norma Dio, patria e famiglia. La sua è stata una giunta reazionaria”. La speranza, aggiunge Menegazzi, “è che ora le cose cambino, magari grazie ai giovani eletti in consiglio comunale con Tommasi che sono attivi su molte di queste tematiche”.
Durante la sua campagna elettorale Tommasi non ha mai né criticato né fatto riferimento alle decisioni e alle posizioni di chi l’ha preceduto, scegliendo di raccontare in positivo la città che avrebbe voluto e presentando, innanzitutto, non tanto un programma ma il suo manifesto valoriale e quasi pre-politico. Un manifesto fatto di parole come comunità, persone, famiglia, cura, solidarietà; di frasi accoglienti e inclusive (“vorrei che qualsiasi cittadino o cittadina si sentisse a casa propria”); di rassicuranti spiegazioni sul fatto che le convinzioni di un sindaco non devono essere imposte e non possono rappresentare un ostacolo al rispetto delle scelte dell’altro.
Alla fine del 2021 le liste e i partiti che hanno sostenuto la sua candidatura hanno discusso il programma di coalizione intorno a undici tavoli tematici, scrivendo altrettanti documenti, in base ai quali è stato poi messo insieme il programma ufficiale di Tommasi, pubblicato sul suo sito. In tema di diritti, il documento dei tavoli e il programma coincidono su vari punti, tutti politicamente molto corretti e quasi banali, potrebbe dire qualcuno: la giunta comunale “sarà composta con il principio della parità di genere, basata sulle reali competenze delle persone individuate”; sarà predisposto “un piano cittadino per affrontare e risolvere in maniera trasversale i problemi quotidiani legati alle disabilità delle persone singole e delle loro famiglie”, verrà affrontata l’emergenza abitativa, saranno realizzati asili nido in ogni quartiere, una delle priorità sarà la lotta alla dispersione scolastica, la valorizzazione delle diversità sarà “il centro del modo di amministrare la città, una città che non discrimina” e in cui tutti potranno “esprimere appieno i loro diritti e realizzare le loro aspettative”.
Pride e aborto
Dal programma finale, però, è scomparsa l’indicazione di rafforzare i consultori, così come non si trova più alcun riferimento ai “diritti di scelta delle donne in stato di gravidanza”. Di diritto all’aborto Tommasi non ha mai parlato, se non per ricordare che “c’è una legge nazionale che va rispettata”. Ma a livello locale, come ha dimostrato Sboarina approvando ad esempio delle mozioni che finanziavano progetti e gruppi antiabortisti, si possono fare molte scelte per rendere quel diritto realmente garantito, libero e accessibile. Promuovendo ad esempio dei corsi di educazione alla sessualità o decidendo quali associazioni o consultori sostenere: quelli dove si forniscono, come dovrebbe essere, i certificati per l’interruzione di gravidanza e non quelli riconosciuti come tali dalla regione Veneto, ma in cui i ginecologi sono antiabortisti.
A Verona nessun sindaco ha mai partecipato a un Pride, né le associazioni che negli ultimi anni lo hanno organizzato hanno mai chiesto il patrocinio del comune. Quest’anno il comitato che sta preparando il corteo del 16 luglio ha espresso pubblicamente il proprio sostegno a Damiano Tommasi, “per respingere l’assalto di una destra legata a un passato che per troppo tempo ha penalizzato tante soggettività, diversità e differenze”. Tommasi non ha ancora fatto sapere se parteciperà alla piazza, anche se la domanda gli è stata rivolta esplicitamente. E il comitato Pride sta decidendo se presentargli ufficialmente una richiesta di partecipazione.
Nel programma di Tommasi l’acronimo lgbt+ nella sua forma più o meno estesa non c’è, ed è scomparso anche il proposito, presente nel documento finale del tavolo diritti, di abolire entro i primi cento giorni di mandato le mozioni omofobe approvate a Verona quasi trent’anni fa. Nel 1995, respingendo una risoluzione del parlamento europeo contro la discriminazione, fu infatti approvato un atto amministrativo che vietava alla giunta di deliberare provvedimenti che parificassero i diritti delle coppie omosessuali “a quelli delle famiglie naturali costituite da un uomo e una donna”. Nel dicembre del 2021, tra l’altro, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) della presidenza del consiglio dei ministri scrisse una lettera al consiglio comunale per chiederne formalmente la rimozione.
Oltre alla volontà di rendere Verona una città inclusiva, più concretamente Tommasi ha proposto l’adesione del comune alla Carta Re.a.dy, un accordo pensato nel 2006 da dodici pubbliche amministrazioni, tra regioni ed enti locali di tutta Italia, che vuole promuovere una serie di iniziative per tutelare i “diritti delle persone lgbti” e favorire una cultura sociale del rispetto e della valorizzazione delle differenze senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
Dal programma è scomparsa l’indicazione
sul rafforzamento dei consultori
Anche solo per voler sostanzialmente dare attuazione all’articolo 3 della costituzione, Tommasi è stato violentemente attaccato durante la campagna elettorale. Nel dibattito prima del ballottaggio Sboarina l’ha incalzato a dare risposte concrete sui temi da lui considerati non negoziabili: “Cosa ne pensi della famiglia? Di genitore 1 e genitore 2? E dei nostri valori tradizionali, dell’avere il crocifisso nelle nostre aule scolastiche, crocifisso che è un valore assoluto perché fa parte della nostra storia e della nostra identità?”. Senza troppo scomporsi Tommasi ha confermato che la Carta Re.a.dy si richiama alla costituzione, che un’amministrazione comunale dovrebbe avere l’obbligo di “togliere qualsiasi discriminazione o inciampo nel rispetto delle scelte di ogni individuo” e che l’ideologia gender lui non la saprebbe nemmeno spiegare: “Non capisco cosa significhi, c’è l’autonomia scolastica”. Sul crocifisso ha detto di credere “nella libertà e nella laicità della scuola” e anche “nella libertà di essere convintamente cristiani o di credere in altre religioni”.
Quando da candidato Tommasi ha incontrato le associazioni lgbt+ del territorio, gli sono state rivolte delle richieste molto concrete: “che si possa parlare della questione nelle scuole e che si possano organizzare dei corsi di formazione negli enti pubblici per creare ambienti inclusivi”, dice Ilaria Ruzza, presidente del circolo Sat Pink, servizio di accoglienza per persone trans operativo a Verona, Padova e Rovigo. “In altre province del Veneto” prosegue “siamo riusciti a organizzare degli incontri nelle scuole superiori per fare cultura e formazione. A Verona, invece, non abbiamo mai potuto organizzare nulla. È difficile che Damiano Tommasi possa essere un novello Mario Mieli. Ma decidere di non dare risposte precise e concrete significherà comunque fare del male alla generazione del futuro”.
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