“Se sono diventato quello che sono è anche grazie a un programma televisivo della Rai”. Marco Philopat, attivista, scrittore, personaggio che sfugge a qualsiasi etichetta e che per semplificare definiremo editore, ricorda benissimo il momento in cui la sua vita ha preso la piega giusta. Figlio di cattolici che votavano Democrazia cristiana nella difficile periferia milanese del Giambellino, cresciuto in una casa dove la cultura non era una priorità, viveva un disagio fisico a causa della sua corporatura. “Ero magro come uno stecco”, ricorda, “e questa fragilità era un problema in un ambiente come quello del Giambellino, dove prevalevano dinamiche basate sulla forza. Così fin dall’infanzia ho cercato una via per tirarmi fuori da quella situazione”. Lo chiamavano Philopat come il personaggio alto e striminzito di un fumetto della Repubblica Democratica Tedesca. Quel nome ha poi deciso di tenerselo in una sorta di autodenuncia quando è cominciata la sua seconda vita, innescata dalla scintilla di quel programma televisivo.

Nel 1977 Philopat frequentava un istituto tecnico-chimico, e ogni anno il numero dei suoi compagni diminuiva: il consumo di eroina dilagava. Fu allora che vide in tv, su Rai 2, un reportage da Londra sui Sex Pistols e sul punk. “Ero in un momento in cui dovevo scegliere se finire nell’eroina come un treno contro un muro, tornare nei ranghi socialmente accettati scuola-casa-famiglia o scovare una nuova strada. Scelsi quest’ultima, il punk”. Non passò molto tempo e Philopat si ritrovò con il pollice alzato sul ciglio di una strada per andare a Londra in autostop. Ci rimase alcuni mesi, poi tornò a Milano per cominciare la sua esistenza al servizio delle controculture.

La cassetta degli attrezzi

Che Marco Philopat, classe 1962, sia consapevole di avere tanto da raccontare è evidente dallo sguardo che getta ogni tanto all’orologio mentre siamo seduti al tavolo ombreggiato di un ristorante vegano in zona Porta Romana, a Milano, a pochi passi dalla sua casa editrice Agenzia X. Nel pomeriggio ha una serie di appuntamenti e vuole essere sicuro di riuscire a dire tutto nelle due ore che si è ritagliato per il pranzo, in un viaggio che parte dalla periferia milanese operaia, passa per il punk e le occupazioni milanesi e torna nelle periferie odierne toccando anche la trap.

“Il punk è stata una cassetta degli attrezzi che mi ha permesso e ancora mi permette di esprimermi”, spiega facendo roteare l’acqua nel bicchiere. “Ai tempi c’era chi diceva che il punk era solo musica, erano quelli che consideravamo i più a destra della scena. In realtà il punk per noi era un insieme di tante cose, abbracciava anche le attitudini più radicali, come essere vegetariani, anarchici, antisessisti, gender fluid. Il gender fluid di oggi nasce nel punk, per noi girare con le gonne era la normalità”. Dopo il viaggio nel Regno Unito alla scoperta di Sex Pistols, Clash e Ramones, a meno di vent’anni Philopat fonda la sua band. Privo di una formazione musicale e di senso del ritmo, dal momento che nella casa della sua infanzia la musica non era ospite gradita, la cosa che gli viene più facile è cantare, perché le urla camuffano le imperfezioni musicali. Ma l’escamotage non funziona a lungo. “Era molto deprimente, stare nel punk senza fare musica mi causava malessere. La passione però era tanta e sono andato cercando un’altra forma artistica per esprimere me stesso attraverso il punk. L’ho trovata nella scrittura delle punkzine”.

Queste riviste autoprodotte dalla grafica innovativa, che parlano di musica e cultura punk, sono allo stesso tempo uno strumento di crescita e un potente mezzo espressivo. Negli anni ottanta Philopat diventa una sorta di scribacchino del Virus, il centro sociale in zona Fiera Campionaria che lui e un altro centinaio di persone hanno trasformato in tempio della musica punk in Italia e nel mondo e che Philopat racconterà nel suo primo libro, Costretti a sanguinare (1997). Nel frattempo le porte del Virus sono varcate dai più importanti gruppi punk internazionali e sempre da quelle porte escono volantini, punkzine e altri contenuti editoriali spesso firmati da Philopat, che contestavano, spesso in modo rabbioso e provocatorio, i valori borghesi e le convenzioni sociali ma offrivano anche una versione alternativa e più politica del primo punk, quello pessimista e disperato del “no future”. “Il Virus ha continuato ad allargarsi”, racconta, “all’inizio eravamo una comunità volutamente chiusa, ma poi ci siamo aperti a nuove alleanze, sono arrivati gli studenti a cui non pareva vero esistesse uno spazio così distante dalla Milano da bere degli anni ottanta”. Nel 1984, l’anno del romanzo distopico di George Orwell che Philopat definisce “una profezia”, il Virus viene sgomberato e i protagonisti della controcultura milanese si ritrovano improvvisamente senza uno spazio di aggregazione.

“Ci siamo rifugiati nell’unico posto accogliente di Milano, la libreria Calusca di Primo Moroni, che per me è stato un maestro”, continua mentre si rolla la sua sigaretta di fine pasto. “Quello spazio nella seconda metà degli anni ottanta si era trasformato in una sorta di piazza d’incontro di chi resisteva alla Milano di allora, dai punk agli studenti di sociologia, informatica e filosofia, passando per gli ex militanti degli anni settanta”. Un laboratorio in cui Philopat e i suoi danno vita a Decoder, un magazine incentrato sulla tecnologia e il movimento cyberpunk. Da lì nasce la casa editrice Shake edizioni, un esperimento di successo che all’inizio degli anni duemila porta Philopat a fondare la casa editrice per cui lavora oggi, Agenzia X. Una conferma di come i libri non siano più usciti dalla sua vita dal momento in cui ha capito che quella era la sua strada.

“Per tutta la mia esistenza mi sono posto al servizio dei piccoli focolai sovversivi che nascono in periferia, facendo libri. Penso che i libri siano un’arma incredibile a disposizione di chi vuole alzare la testa e affrontare le disuguaglianze”, spiega. “Da Shake edizioni ad Agenzia X abbiamo sempre cercato di portare chi abita le periferie a leggere, di fare libri che potessero trovare un terreno permeabile nei contesti difficili. Vogliamo fare arrivare i libri nelle case dove non ce ne sono altri”.

Illegalità necessaria

I cataloghi offrono titoli su skate­board e graffiti, su tumulti nei quartieri popolari e mondo ultras, passando naturalmente per il punk ma anche per l’hip hop e la trap, due generi musicali che oggi sono sempre più spesso in cima alle classifiche di vendita degli album. Philopat è rimasto folgorato dalla trap. “Penso che il momento chiave della trap sia stata la pandemia”, teorizza. Confinati nel perimetro dei loro isolati, senza possibilità di spostarsi, sempre più ragazzi e ragazze si sono uniti in gruppi di quartiere dando vita a un mosaico urbano di gang musicali. Un legame con il territorio che non si è più spezzato e che se da una parte rende più forte la denuncia sociale veicolata dalla musica, dall’altra ostacola la nascita di un movimento culturale su larga scala come quelli del secolo scorso.

Forme di aggregazione sociale dal basso che Philopat riconosce oggi anche nei raduni spontanei per strada come i botellón, i concerti improvvisati nei parchi o sui tetti delle case popolari, o nei rave, che dopo il lockdown stanno vivendo una seconda giovinezza. “La pandemia ha messo in crisi i centri sociali, le persone si stanno indirizzando verso forme di ritrovo esterno più informali, in cui l’illegalità è una caratteristica necessaria perché le cose funzionino”. Lo ripete da sempre: l’illegalità è un pilastro della controcultura, senza illegalità è impossibile impostare un percorso di ribellione personale e collettiva. “Questa posizione è sempre più difficile da mantenere con l’avanzare dell’età”, ammette sorridendo. Ma lui resiste.

Lasciamo il ristorante e ci avviamo verso la casa editrice, uno spazio che non poteva che essere sulla strada, al piano terra. Vuole regalarmi il suo libro La banda Bellini, un affresco della Milano degli anni settanta intorno al quartiere Casoretto. Prima di salutarmi, a chiusura del nostro incontro, cita una canzone dei Clash che parla di un ragazzo che lancia un sasso e spacca una vetrina. “Io vengo dal punk e sarò sempre dalla parte di quel ragazzo”, chiosa. “Sarò sempre dalla parte del suo sfogo contro il sistema oppressivo in cui è immerso. A volte serve tirare un sasso per trovare un punto di rottura nella propria
vita”.

Da sapere
Il conto

VegAmore
Via Crema 12, Milano

Tris degustazione (lasagne al ragù di seitan, erbazzone, catalogna allo zenzero) 10,00
Tris degustazione (testaroli ai funghi, erbazzone, daikon gratinato) 10,00
Una birra Ipa 0,00
Acqua microfiltrata 0,00
2 caffè 2,00
Totale 22,00


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