Alla conferenza stampa di presentazione della mostra Lucio Dalla. Anche se il tempo passa, al museo dell’Ara Pacis di Roma fino al prossimo 6 gennaio, era tutto un già visto. Tra gli ospiti c’erano Carlo Verdone e Renzo Arbore, entrambi amici e collaboratori dell’artista, che hanno raccontato i soliti aneddoti che lo riguardano: Dalla che si arrabbia con Verdone per come viene promosso Borotalco (1982) e poi l’assolve, colpito da quello che era di fatto un omaggio a lui; Dalla che da giovane gira con due occhiali sul naso e suona il jazz; Dalla e il legame mai reciso con la Puglia che l’ha cresciuto quando d’estate si trasferiva con la madre a Manfredonia.
Il risultato è il solito ritratto: Dalla genio, Dalla figlio di una gavetta lunghissima, Dalla permaloso e sensibile, Dalla amico di tutti. Che è vero, sì, ma anche già visto.
Oppure no. La prospettiva nuova per raccontare quello che è stato il più popolare dei cantautori italiani, già celebrato da vivo e consacrato dopo la morte nel 2012, la traccia proprio la mostra che i due stavano introducendo. E lo fa creando un “universo Dalla” (che originariamente doveva essere il titolo dell’esposizione) fatto di oggetti e ricordi della sua vita pubblica e privata, dai suoi giocattoli da bambino agli inconfondibili berretto di lana e clarinetto.
La mostra di Roma – che dopo il debutto della scorsa primavera a Bologna, nel 2023 sarà anche a Napoli, Pesaro e forse Milano – si sviluppa in maniera più compatta negli spazi rispetto all’allestimento bolognese e presenta una sezione dedicata al rapporto di Dalla con la capitale, dove ha vissuto a via del Buco e ha avuto come amici Antonello Venditti e Franco Califano (come testimoniano le foto insieme). Eppure la visita non è un’esperienza per feticisti ma un modo diverso per guardare a Dalla.
Un bambino prodigio
La struttura della mostra è classica, fatta a blocchi, con la musica del cantautore in sottofondo e le immagini di concerti e ospitate televisive sui vari schermi. C’è la zona dell’infanzia e della famiglia, dove tra giocattoli, locandine e foto al mare vengono ricostruiti i primi anni di vita dell’artista: rimasto presto orfano di padre, era legatissimo alla madre modista, la quale d’estate lo portava in Puglia e fin da piccolo lo faceva recitare in una serie di spettacoli teatrali grazie ai quali era diventato abbastanza noto come bambino prodigio.
C’è poi la zona dedicata alla musica vera e propria, con tutti i dischi registrati in studio (23, di cui almeno 4 pietre angolari della musica italiana) e gli strumenti, tra i quali la tastiera che usò nel suo ultimo concerto a Montreaux, in Svizzera, la sera prima di morire.
E poi ci sono cimeli come i testi originali, oggetti presi da casa sua (ritratti, modellini di treni), abiti di scena e privati, e la sua ampia collezione di cappelli. Infine, lo spazio dedicato alle foto con amici e personaggi famosi (uno tra tutti il Dalai Lama) e gli angoli dedicati alla sua attività in teatro e al cinema, una sua grande passione, di cui però non si ricordano mai le prove da attore negli anni sessanta, quando la strada da percorrere era ancora tanta e la musica non pagava ancora abbastanza. Qui, per esempio, si potrà vedere un estratto dal film dei fratelli Taviani I sovversivi.
Assistere a tutto questo aiuta a ricostruire in maniera tangibile l’ampiezza di un percorso vario e composto da scelte mai banali. La storia di Dalla, insomma, che impara a suonare il clarinetto da autodidatta, ci prova con il jazz e con il cinema e solo verso i trent’anni trova la strada giusta, quando si presenta a Sanremo con 4/3/1943 (1971) con testo di Paola Pallottino. Eppure non s’accontenta neanche lì, rinuncia al successo facile (e agognato) affidando la scrittura delle parole delle sue canzoni al poeta d’ispirazione comunista Roberto Roversi.
Lavori sperimentali
I due compongono brani cerebrali e difficili, polemici e militanti, quasi progressive, finché Dalla non decide di mettersi in proprio anche sulle liriche e ottenere il successo pop con le varie Com’è profondo il mare, L’anno che verrà e Futura, a cavallo tra il 1977 e il 1982.
Ma, di nuovo, quando avrebbe potuto sedersi sugli allori continua a mettersi in gioco, alternando lavori sperimentali (l’elettronico Viaggi organizzati del 1984, il non-videoclip di Henna del 1993) ad altri che vendono milioni di copie (il tour con Gianni Morandi del 1988, l’album Cambio del 1990 con dentro Attenti al lupo o Canzoni, del 1996, che conteneva Canzone), segno di una tale padronanza del mercato musicale e della cultura pop da poterne sfruttare le dinamiche a suo piacimento.
Però non è solo questo, Lucio Dalla. Anche se il tempo passa. È soprattutto un modo per scoprire la dimensione umana del suo protagonista, il modo in cui viveva la popolarità e il successo. Le tante passioni come le vacanze in barca, il basket, il calcio, ma anche la mondanità e gli amici, l’attaccamento a oggetti materiali come abiti, giocattoli, ritratti di se stesso, sculture. Anche se, comunque, la mostra mantiene il riserbo su alcuni aspetti della vita su cui lo stesso artista non aveva mai fatto luce, come il suo orientamento sessuale e le relazioni sentimentali che ha avuto.
Con spirito un po’ malinconico e un po’ godereccio, Lucio Dalla. Anche se il tempo passa ci racconta com’era davvero il suo protagonista: un personaggio, per esempio, pieno di difetti fisici (basso, tarchiato, calvo ma con un parrucchino) e caratteriali (l’irrequietezza su tutti) ma in grado di giocarci fino a enfatizzarli, senza mai nasconderli; un divo, insomma, però ultra-umano.
Qui era la forza delle sue canzoni, che si staccavamo da terra partendo spesso da un quotidiano assolutamente comune, a volte brutto, perfino grottesco, triste, perdente. E questa mostra, insomma, sembra farci scoprire che il genio di Dalla fosse proprio “uno di noi”.
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