Sul sito ufficiale del C2C festival – finora noto come Club to Club, il festival di musica elettronica più importante in Italia, di scena dal 3 al 6 novembre con circa trenta show a segnare il “ritorno alla normalità” – sulla localizzazione dell’evento si legge questo: “Torino / Europa”. È un dettaglio, ma dice molto. Da un lato, infatti, si parla di uno dei festival a maggior vocazione internazionale nel panorama del nostro paese, sia per la scelta degli ospiti sia per il tentativo di coinvolgere pubblico che viene dall’estero; dall’altro, è proprio il legame con la città in cui è nato a renderlo quello che è. Come se le identità si sovrapponessero: C2C è un’espressione di Torino, sarebbe potuto nascere solo lì, e parla al mondo.

E questa ventesima edizione ha provato a confermarlo anche proponendo, più che in passato, un’esperienza immersiva nella città. Ha rinunciato a eventi-corollario, è vero, ma ha mantenuto i suoi luoghi simbolo (l’enorme e funzionale Lingotto per le serate di punta di venerdì e sabato, rimasto in pausa durante la pandemia; le più piccole e suggestive Officine Grandi Riparazioni, Ogr, per giovedì e domenica) invitando gli spettatori ad arrivare nel tardo pomeriggio per restare fino alle quattro di mattina e garantendo la possibilità di accedere alla pinacoteca Agnelli e ad altre zone del Lingotto. Tra l’altro poi, come da tradizione, di giorno c’era anche la Contemporary Art Week.

Il grosso comunque l’hanno fatto gli artisti, rinnovando le coordinate ideologiche e i legami con lo spirito originale, sabaudo, dell’evento: da Jamie XX ad Arca, dagli Autechre ai Bicep, fino agli italiani Nu Genea e Caterina Barbieri, è stato un manifesto della musica “altra” – che la produzione chiama “avant-pop”, pop avanguardistico che guarda al futuro senza distinzioni di generi – e di un modo intelligente di fare intrattenimento tipico delle origini della manifestazione.

Nuovi riferimenti

Club to Club, infatti, era nato nel 2002 come evento underground, di una notte, dove con un unico biglietto si potevano girare i locali dei Murazzi. Di club in club, appunto, in un momento in cui la cultura del clubbing brillava e Torino era il centro di quella movida diversa, contaminata, libera.

Poi quel modello è sparito lì come in tutta Italia, ma paradossalmente il festival è cresciuto, diventando il più grande tra quelli al chiuso nel nostro paese e un riferimento in Europa. Tra gli ospiti passati di lì: Franco Battiato (2014), Thom Yorke (2015), Aphex Twin (2018). Si è istituzionalizzato, ha scoperto gli spazi del Lingotto e un pubblico attento e affezionato, e però non ha mai perso il gusto per le proposte più alternative e la ricerca, per una musica da ballare e intelligente. Tanto più quest’anno in cui è definitivamente “uscito dal club”, dal nome – passato da da Club to Club, appunto, al meno vincolante C2C – al programma.

Arca al Club to club, Torino, novembre 2022. (Kimberley Ross)

È stata dunque un’edizione nel segno della contaminazione, della contemporaneità e in senso ampio della sperimentazione, tra hyper-pop, jazz, rap e r&b e l’elettronica come filo rosso. Le esibizioni migliori sono state proprio quelle coerenti con questo approccio, come il dj set che Jamie XX ha trasformato in una lunga festa in cui tra frammenti presi qua e là è riuscito a far sembrare tutto “pop”, popolare: la dubstep e suoi brani come Gosh, pezzi da battaglia di Steve Aoki, i Beach Boys e perle italiane come il 2° coro delle lavandaie.

Discorso simile per i Bicep, che il giorno dopo, in un concerto di sintetizzatori e visual psichedelici, hanno suonato per due ore quasi un unico flusso di loro canzoni, passando dalla dance all’house alla techno. E lo stesso vale per i Nu Genea, che in contemporanea si esibivano nell’altra sala in un dj set con inserti live che, come sempre, pescava in mari insoliti come l’etnica mediorientale e il funk italiano, napoletano, degli anni settanta e ottanta. Sabato, oltretutto, la direzione artistica di quel palco è stata curata da loro, con spettacoli scelti da tutto il Mediterraneo; tra questi, quello di Deena Abdelwahed è stato il migliore, una conferma della tradizione per cui il festival serve a scoprire artisti poco conosciuti.

Da Torino al mondo

Più complesse, ma sempre ammalianti, le performance degli Autechre e di Caterina Barbieri, con il gruppo inglese – forse non valorizzato dall’orario da cena e da un palco diverso da quello su cui dovevano esibirsi – che ha suonato la sua elettronica intricata e cerebrale completamente al buio, quasi fosse un’istallazione, tenendo fede al solito approccio estremo e sperimentale.

Barbieri invece ha portato nella sala principale, in un momento clou della terza giornata, il suo mondo meditativo, lento, fatto di loop ipnotici, sempre capace di incantare il pubblico.

Di contro, le poche perplessità sono arrivate dalle esibizioni meno audaci: l’hyper pop di Lyra Pramuk è sembrato davvero troppo monocorde; Yendry, nonostante le aspettative (la sua Ya era stata scelta da Barack Obama tra le migliori canzoni del 2021!), è parsa fragile e approssimativa; e il dj set di My Analog Journal, passato nel giro di minuti per Conga, What is love di Haddaway e Freed from desire, ha disatteso ogni promessa di ricerca.

L’esibizione dei Nu Genea, Torino, novembre 2022. (Kimberley Ross)

Al contrario, vale la pena ricordare il funk cervellotico di Caribou, i suoni scuri e intensi del dj scozzese Kode9 e il rap fisico di Pa Salieu, con sezione ritmica in stile free jazz. A riprova, tutti, di un programma ampio che ha mantenuto gli orari annunciati. Ed è stato bello muoversi da un padiglione all’altro del Lingotto in modo da poter ascoltare almeno un po’ di tutto.

Forse è la vivibilità, quella che rende i grandi festival fruibili da tutti, che a tratti è un po’ mancata: gli spazi per assistere ai concerti lontano dalla calca ci sono sempre stati, ma il sistema dei token da sostituire agli euro – ormai in uso in ogni manifestazione del genere, va detto – è stato sviluppato in maniera farraginosa, e il sabato per motivi di sicurezza se si voleva passare dal padiglione principale a quello secondario si era costretti a uscire e percorrere qualche decina di metri al freddo.

Per fortuna, poi, non appena si rientrava il caldo e l’atmosfera di festa vincevano sempre. Lo stesso caldo e la stessa atmosfera che avevano accolto gli spettatori il giovedì alle Ogr durante il live di Arca, arrivato alla fine di una giornata fredda e piovosa che gran parte dei presenti aveva passato in viaggio per Torino. L’artista venezuelana è partita con i brani pop più strani e futuristi, sul finale ha cominciato a picchiare duro con la parte più reggaeton del repertorio, ma soprattutto ha fatto battute, si è tagliata (ahia) a una mano per sbaglio e in generale ha distrutto l’aura da diva che la circonda. Ha mostrato, insomma, il lato umano della musica sperimentale e futurista che avremmo ascoltato da lì in poi. E in effetti era strano che un’artista così famosa si esibisse di giovedì, per di più nelle piccole Ogr. Ma la sua presenza, probabilmente, aveva qualcosa di programmatico, era un modo per far prendere le misure e far sentire il pubblico subito a casa. A C2C, in Europa, a Torino.

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