Il condono fiscale si farà, seppure sotto falso nome. Comincerà il suo cammino nella forma di una sanatoria per cartelle non pagate, sotto una certa soglia – mille euro, stando alle indiscrezioni della vigilia del varo della manovra per il 2023. Poi il parlamento potrà intervenire, molto probabilmente allargando le maglie. Restano esclusi per ora i riciclatori e la delinquenza organizzata. Ma la direzione è chiara, e coerente.
Nella politica fiscale del governo Meloni si può rinvenire infatti una precisa logica economica e politica, che parte dal condono – e dal fatto stesso di chiamarlo “tregua fiscale”, anche quando la presenza di una guerra vera ai confini consiglierebbe un uso più attento delle parole – e arriva alla flat tax.
I conti tornano solo sulla carta
La logica economica, innanzitutto. La destra al governo è alle prese con contraddizioni quasi insolubili. La principale è tra il suo antieuropeismo elettorale e la necessità di tenersi stretti i programmi di aiuto europei. La politica economica, ancora una volta, deve muoversi sui binari dettati dai vincoli internazionali ed europei, con stretti margini di manovra e la necessità di trovare nuovi fondi per aiutare il paese ad affrontare il mix micidiale di recessione e inflazione. Questo porta il governo Meloni da un lato a praticare tutte le strategie possibili per connotare la sua identità su altri terreni, a partire da quello dell’immigrazione e della riduzione dei diritti civili; dall’altro a cercare spazi, nella manovra economica, per recuperare fondi, o almeno far finta di farlo.
Forme di condono per le somme dovute al fisco – dalle cartelle passate a nuovi incentivi a riportare in Italia capitali illegalmente esportati – possono aiutare a far quadrare i conti, almeno sulla carta. Poco importa che queste entrate siano incerte, e soprattutto che siano una tantum, destinate in futuro a scomparire o, peggio, a creare altri buchi incentivando nuova evasione: i problemi emergeranno nel medio periodo, la politica guarda al breve.
Si tratta di misure che non toccano minimamente la grande maggioranza dei contribuenti
La logica politica va nella stessa direzione. In fondo, la destra ha vinto le elezioni grazie allo slogan “meno tasse”, e alla sua malintesa interpretazione. Molti l’hanno votata pensando a “meno tasse per tutti”, mentre tutte le proposte concrete sono rivolte a beneficiare una categoria precisa di contribuenti ed elettori: coloro che non hanno entrate da lavoro dipendente.
Innalzamento del tetto al contante (tolto dall’ultimo decreto per intervento del presidente della repubblica, ma promesso nella legge di stabilità), allargamento della platea dei lavoratori autonomi soggetti alla flat tax al 15 per cento, “pace fiscale” nelle sue varie articolazioni. Si tratta di misure che non toccano minimamente la grande maggioranza dei contribuenti, lavoratori e pensionati, che hanno la ritenuta d’acconto a fine mese: 34 milioni di persone, contro i cinque milioni di lavoratori autonomi.
Un problema storico gigantesco
L’ultima relazione ufficiale sull’economia non osservata (così si definisce il sommerso) e sull’evasione fiscale e contributiva contiene una stima del “tax gap”: in sostanza, il gettito fiscale che manca all’appello a causa dell’evasione. Per l’aggregato formato da lavoratori autonomi e imprese, la quota di imposta personale sul reddito non pagata è vicina al 70% per cento.In valore assoluto: 27 miliardi e 600 milioni di euro. L’1,7 per cento del pil.
Questo è il problema, gigantesco e storico, dell’economia italiana. Problema che la destra dice di voler affrontare con la seguente ricetta: se abbassiamo le tasse, diminuirà anche l’evasione. Peccato che questa ipotesi si sia dimostrata fallace in molti casi nel passato: per esempio, abbassare al 15 per cento l’aliquota se si sta al di sotto di un certo reddito da lavoro autonomo porta a sottodichiarare il proprio reddito per stare dentro quei limiti e pagare meno tasse. E che essa comporti effetti fortemente iniqui, tanto più adesso, se l’area con “tassa piatta” al 15 per cento salirà a 85mila euro annui: un reddito medio-alto, sul quale un professionista affermato pagherà meno tasse di un operaio.
Inoltre, conta il messaggio: ogni misura di comprensione e agevolazione per chi non ha pagato le imposte è, oltre che una sanatoria per il passato, una indicazione per il futuro, incentivando ancor più comportamenti illegali. Il modello economico che si ha in mente, in tutto ciò, è quello di una nuova spinta dalla “economia non osservata”, una eventuale futura ripresa trainata dalle piccole imprese frammentate e spesso poco innovative, in molti casi senza dipendenti o con dipendenti al nero – magari provenienti dalle schiere dell’immigrazione costrette nell’illegalità dal blocco degli ingressi legali.
Il mondo del lavoro autonomo e delle piccole imprese individuali, spesso senza dipendenti, rappresenta una base sociale forte e costituente dell’identità della destra. In numeri, è importante, ma è pur sempre una minoranza nel paese. Resta il mistero del silenzio della maggioranza, e di quella parte dei 34 milioni di contribuenti che hanno votato a destra anche se non godranno dei privilegi da condoni e flat tax, anzi ne saranno danneggiati per l’aumento del debito pubblico e i prevedibili tagli alla spesa sociale.
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