Il Camplus Bononia ha 206 stanze con balaustre colorate che affacciano sul Giardino dei talenti. Ha una mensa, una palestra, aule studio, una biblioteca, sale riunioni, una sala ricreativa, una terrazza. È uno dei tre collegi di merito per studenti che Camplus, marchio della Fondazione Ceur, ha aperto a Bologna. Gli ultimi tre piani dell’ala B, 48 stanze in tutto, sono destinate a clienti regolari, turisti o lavoratori che possono prenotare una camera su siti come Booking, dove una doppia costa 90 euro a notte.

Da gestore di appartamenti per studenti a Bologna, Camplus è diventato il principale operatore privato di residenzialità studentesca in Italia. Lo ha fatto prima con i fondi statali per l’edilizia residenziale pubblica, poi con quelli stanziati a partire dal 2000 per aumentare il numero di posti letto per studenti universitari. I progetti approvati per quest’ultima linea di finanziamento, presentati dalla Cooperativa Nuovo Mondo, dalla Fondazione Falciola e dalla Fondazione Ceur, tutte dietro il marchio Camplus, ammontano a 84 milioni di euro. Ma a fronte dei contributi pubblici non c’è alcun controllo sui canoni. Una stanza in un collegio di merito Camplus a Bologna costa fino a 1.300 euro al mese. Una stanza in una delle altre quattro residenze semplici di Camplus in città costa tra i 750 e i mille euro al mese. Sono cifre che la maggior parte degli studenti non può pagare.

A differenza delle semplici residenze universitarie, i collegi di merito offrono attività formative extracurriculari: tutorati individuali e di gruppo, orientamento al lavoro, corsi ed eventi organizzati con aziende. I collegi Camplus offrono corsi di lingua, di scrittura di un curriculum e di una lettera di presentazione, workshop sulla gestione del tempo, un laboratorio di sviluppo personale e uno sull’intelligenza emotiva. “Ci sono tutor per medicina, economia, statistica. È molto utile per le lingue. Ma quelli come me, di area umanistica, usano poco il servizio”, racconta Alessandra Lavino, 21 anni, iscritta al Dams di Bologna. Lavino ha una stanza al terzo piano del Bononia. “Dal secondo anno ho una borsa di studio Inps”. Nel 2020 l’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) ha erogato quasi 600 borse di studio per collegi di merito riservate ai figli di dipendenti pubblici. La borsa Inps arriva fino a 12mila euro all’anno ed è commisurata all’Isee. Al Camplus Bononia ne beneficia la metà degli studenti. “Per i primi due anni vale il voto della maturità, dal terzo anno bisogna aver dato tutti gli esami entro l’anno accademico con una media almeno del 24”, spiega Lavino. Gli studenti senza borsa Inps possono chiedere la riduzione della retta fino al 10 per centro per motivi di reddito e fino al 5 per merito accademico. E, mentre gli studenti che hanno passato la selezione per la borsa Inps sono ammessi direttamente, quelli senza borsa devono sostenere un colloquio conoscitivo con i tutor di Camplus, spiega Azzurra Trivi, di Pavia, iscritta a giurisprudenza all’Alma Mater. “Il colloquio è diviso in due parti: la prima prevede un lavoro di gruppo – nel mio caso era un progetto pubblicitario su Bologna – per valutare la tua leadership in base a come gestisci il lavoro”. E poi c’è un colloquio individuale: “Il tutor valuta se sei in grado di sostenere il corso di studi che hai scelto. Fa un bilancio prima di ammetterti nello studentato”. Dopo l’ammissione, Trivi non ha mai usato il servizio di tutorato di Camplus. “Ti fanno ripetere ad alta voce, a me non serve”. La maggior parte degli studenti al Bononia viene dalle regioni del sud; nel 2019 quasi un terzo dei 926 ragazzi italiani nei collegi Camplus arrivava dalla Sicilia. Nel panorama nazionale, gli studenti che abitano in un collegio di merito sono una esigua minoranza, circa 5mila in tutto.

Con i genitori

L’Italia ha il numero più alto in Europa, il 68 per cento, di studenti universitari che abitano con i genitori; solo il 5 per cento ha un alloggio pubblico o privato classificato come studentesco, contro una media europea del 17 per cento, secondo l’ultimo rapporto Eurostudent. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha previsto investimenti per 960 milioni di euro per la creazione di 60mila nuovi posti letto entro il 2026. Ma la misura sembra pensata per rilanciare l’edilizia più che per andare incontro agli studenti fuori sede.

A partire dal 2000 lo stato ha stanziato più di un miliardo di euro con la legge 338 per finanziare il 50 per cento del costo di realizzazione di nuovi posti in studentati. Dal 2000 ne sono stati creati 38.488. La maggior parte dei posti letto, 41.478 nel 2021, è gestita dagli enti regionali per il diritto allo studio; poi ci sono gli atenei, con circa mille posti in tutto. Sul totale dei posti degli enti, nel 2021 quattromila non erano disponibili anche a causa delle norme sanitarie e diecimila sono stati assegnati a studenti “non idonei”, come per esempio gli studenti Erasmus.

In Italia la politica per il diritto allo studio prevede l’assegnazione di borse di studio agli studenti che ne hanno diritto per reddito e merito, definiti “idonei” nelle graduatorie. I criteri variano tra regioni. Ma i fondi non bastano, così si parla di “idonei non beneficiari di borsa”, cioè di studenti che pur avendone diritto non hanno una borsa. Fino al 2015 questa situazione riguardava un quarto degli studenti idonei; di recente le cose sono migliorate e nel 2021 il 99 per cento degli idonei ha avuto una borsa. Se fuorisede, gli studenti idonei e quelli beneficiari di una borsa hanno diritto a un posto letto in una residenza universitaria. A Bologna un posto in uno studentato Ergo, l’ente regionale per il diritto allo studio, costa circa 200 euro al mese, una cifra che l’ente detrae dalla borsa di studio. Ma i posti sono pochi. In Emilia-Romagna ne mancano duemila, di cui mille a Bologna, secondo Stefano Dilorenzo, rappresentante di Sinistra universitaria nel consiglio studentesco. I dati Ergo lo confermano: nel 2020 a Bologna c’erano 1.620 posti per 2.791 studenti idonei. “Gli esclusi dalle residenze ricevono un sussidio in denaro. Ma mancano le case”, racconta Dilorenzo.

Carenza di dati

“Ogni anno ci ritroviamo a ragionare sul problema della casa non più come un’emergenza ma come un problema strutturale della città”, sostiene Isa Gigliotti, del Collettivo universitario autonomo, iscritta a scienze linguistiche all’università di Bologna. Gigliotti è arrivata cinque anni fa. “Ci ho messo sei mesi per trovare una casa. Se non avessi avuto amici da cui appoggiarmi sarei dovuta tornare in Calabria”. Santi Mansone, iscritto all’Accademia di belle arti di Bologna, ha dovuto cambiare città: ogni giorno prende il treno da Imola, dove per l’affitto paga la metà.

Se i posti in studentati pubblici non bastano, in quelli privati che hanno beneficiato del cofinanziamento statale non c’è modo di sapere quanti alloggi sono assegnati agli studenti idonei e a quali canoni. “Il problema dei canoni non si pone quando del cofinanziamento statale beneficiano le regioni”, spiega Federica Laudisa, esperta di diritto allo studio e ricercatrice presso l’Istituto di ricerche economiche e sociali del Piemonte. Un decreto del 2016 ha stabilito che gli enti regionali e gli atenei devono destinare almeno il 60 per cento dei posti a studenti idonei. Di fatto, a parte la Lombardia, gli enti regionali assegnano quasi la totalità dei posti a idonei e beneficiari perché la loro missione è garantirli, spiega Laudisa. Le cose cambiano con i soggetti privati. Secondo la norma possono beneficiare di fondi pubblici una serie di soggetti privati senza scopo di lucro, come collegi universitari e fondazioni, che devono riservare il 20 per cento dei loro posti a studenti idonei. “Questa è la clausola che dovrebbe assicurare la disponibilità di un certo numero di posti in strutture private a tariffe basse. Il problema è chi controlla”, afferma Laudisa.

Il monitoraggio dei piani di realizzazione degli alloggi spetta a un organo del ministero dell’università, la Commissione paritetica alloggi e residenze per studenti universitari. “Io ho posto la questione alla commissione. L’ho fatto a livello informale, ma l’ho posta” afferma Laudisa. L’Essenziale ha chiesto al ministero quanti sono i posti letto per studenti idonei in strutture private cofinanziate dallo stato, ma non ha ricevuto risposta. “Il ministero dovrebbe pubblicare dei dati consultabili con informazioni su chi ha partecipato a ciascun bando, con quale progetto, quanti posti sono oggetto di manutenzione, quanti sono da realizzare, quanti sono stati realizzati, quanti sono in corso d’opera e quanti posti sono destinati a studenti idonei. Altrimenti non c’è alcun controllo, anche da parte degli studenti che dovrebbero poter verificare”.

Oltre ai dati non pubblicati, il problema è poi l’assenza di un coordinamento strutturale tra gli enti regionali, che redigono le graduatorie degli aventi diritto, e i soggetti privati che realizzano e gestiscono i posti letto: il risultato è che gli alloggi finanziati con soldi pubblici non vengono utilizzati come dovrebbero. “Gli enti regionali dovrebbero spontaneamente bussare ai privati e assicurarsi che il 20 per cento dei loro posti letto sia destinato a studenti borsisti. Ma dubito che questo avvenga”.

Di fatto gli enti regionali si rivolgono ai privati solo in casi eccezionali. Secondo Patrizia Mondin, direttrice di Ergo, il problema sta nella difficoltà di stimare in tempi utili il fabbisogno annuale di posti letto: per conoscerlo bisogna aspettare i risultati dei test di ammissione ai corsi ad accesso programmato, in autunno, quando le camere dei privati sono già piene. Ma una collaborazione tra Ergo e Camplus c’è. “Siamo ricorsi a un accordo con Camplus per Ferrara dopo che il terremoto ha reso inagibili due residenze”. L’accordo si è concluso con una tariffa di 240 euro al mese a posto letto versata a Camplus. Si tratta però di singole iniziative. Del resto, spiega Mondin, l’offerta pubblica e quella privata non sono equiparabili: “I nostri posti sono riservati agli studenti più poveri. Se avessimo una disponibilità pubblica più ampia, potremmo diversificare anche noi l’offerta e le tariffe”. Invece l’attività più remunerativa, finanziata con fondi pubblici e borse di studio Inps, è riservata ai privati.

Edilizia sociale

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza accentua questa tendenza: “Quando ho letto il Pnrr sono saltata sulla sedia”, racconta Laudisa. Oltre allo stanziamento di 960 milioni di euro per nuovi posti letto, il piano ha modificato la legge 338 innalzando al 75 per cento la quota di finanziamento statale dei costi di realizzazione di alloggi, prevedendo la copertura dei costi di gestione dei nuovi studentati per i primi tre anni e confermando la possibilità per i gestori di avvalersi di un regime fiscale riservato all’edilizia sociale, che ha canoni inferiori a quelli di mercato.

Anche quella studentesca è classificata come edilizia sociale. Siccome per ogni nuova operazione immobiliare i costruttori privati devono per legge realizzare una quota di edilizia sociale, le agevolazioni spingeranno i grandi operatori a realizzare non case a prezzi accessibili ma residenze universitarie con tariffe che nessuno controlla. Così il Pnrr potrebbe finire per finanziare l’ingresso nel mercato degli studentati anche di colossi immobiliari stranieri e di soggetti di finanza immobiliare che, perseguendo l’obiettivo di riproduzione della rendita finanziaria, eroderebbero la quota di affitto sociale che non riceve alcun supporto pubblico strutturale. A Milano questa tendenza è già evidente, secondo due operatori del settore sentiti dall’Essenziale.

Infine, il Pnrr ribadisce quanto già stabilito da una legge del 2012: l’uso “flessibile” delle residenze universitarie con la possibilità di affittare i posti letto ad altri utenti, come turisti, “quando non necessari all’ospitalità studentesca” – ma in base a quale criterio o per quanto tempo, non è dato sapere. Questi incentivi servirebbero a rendere sostenibile l’investimento. Di fatto azzerano il rischio d’impresa, assicurando l’investimento privato con garanzie finanziarie pubbliche e aprendo ai privati il mercato dell’ospitalità studentesca, finora gestita in gran parte dagli enti per il diritto allo studio, con un nuovo modello misto di offerta per studenti e turisti, come quello del Bononia.

“Questa non è una modalità innovativa di supporto al diritto allo studio, non è un sostegno agli studenti ma agli investitori privati”, commenta Laudisa. “Come si fa a conciliare gli interessi privati con la tutela di un prezzo calmierato? Le risorse del Pnrr avrebbero dovuto essere interamente destinate ai gestori pubblici per garantire tariffe agevolate. È uno scenario preoccupante”. Un bando per più di 400 milioni, di cui 300 a carico del Pnrr, è partito a gennaio 2022.

Anche Federico Condello, delegato dell’ateneo di Bologna per gli studenti, è preoccupato. “In autunno avremo tutti gli studenti in presenza, e gli iscritti sono aumentati”. Le immatricolazioni all’Alma Mater sono cresciute del 4,4 per cento ma i nuovi posti letto programmati dall’ateneo, circa seicento, si vedranno solo fra tre anni. “Trovare una casa decente sarà un grosso problema. Il Comune ne è consapevole e ci stiamo confrontando. Come ateneo stiamo pensando anche a una misura di contributo all’affitto, anche se è un po’ come svuotare il mare con un bicchiere, non voglio nasconderlo”. L’università non ha giurisdizione sulle politiche abitative. “Quello che possiamo fare è denunciare un problema strutturale delle città universitarie. Un problema che non è neanche colpa delle amministrazioni, che non hanno molto margine di manovra”, spiega Condello. Gli studenti sono visti come fonte di degrado, ma l’impatto della popolazione studentesca sul pil locale è di tre milioni di euro al giorno. “La pandemia non è servita di lezione. Se tutta la didattica si svolgesse a distanza ci sarebbe un tracollo economico. Forse allora i prezzi delle case scenderebbero”.

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