“Sono fortunato perché abito vicino alla stazione, a Frosinone Scalo”. Mario Cunto non ha cercato un alloggio a Roma perché non può spendere cinquecento euro al mese per una stanza. Così tutti i giorni passa quattro ore sul treno nel tragitto tra casa e università. Cunto è tra gli studenti che la settimana scorsa hanno piantato le tende di fronte al rettorato della Sapienza. Su uno striscione appeso a una transenna c’era scritto “basta affitti insostenibili”. La protesta degli studenti contro il caro affitti, partita il 4 maggio da Milano, si è estesa a Roma, Torino, Bologna, Cagliari, Venezia e Trento, anche grazie alla mobilitazione nazionale indetta dall’Unione degli universitari con lo slogan “senza casa, senza futuro”.
A fronte di un fabbisogno di circa 700mila studenti fuorisede i posti disponibili sono poco meno di 40mila: l’offerta pubblica negli studentati soddisfa appena il 5 per cento della domanda. Gli studenti devono trovare un’abitazione in affitto ma i prezzi sono aumentati (il canone per il contratto agevolato per studenti è cresciuto del 23 per cento tra il 2019 e il 2021) e le case non si trovano più. Molte sono destinate a turisti, altre erano in ristrutturazione con il bonus 110 per cento e non sono più tornate disponibili per gli studenti.
In risposta alla mobilitazione, la ministra Anna Maria Bernini dell’università e della ricerca ha annunciato di aver sbloccato 960 milioni di euro stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per affidare ai gestori di studentati la creazione di 60mila nuovi posti letto entro il 2026. Con questi fondi, da spendere in due fasi, i gestori possono acquistare o prendere in locazione immobili e appartamenti da destinare a studenti, con un vincolo d’uso che è stato ridotto da venticinque a dodici anni. Gli immobili acquistati resteranno di loro proprietà.
Un altro bando per circa 400 milioni di euro finanzierà la manutenzione di ulteriori posti letto. Inoltre, alla fine del 2021 erano ancora in corso di realizzazione 105 interventi per alloggi finanziati con risorse stanziate tra il 2001 e il 2016.
Le due fasi del finanziamento
La prima fase di realizzazione dei posti previsti dal Pnrr si è conclusa a febbraio. Entro quella data dovevano essere creati e assegnati almeno 7.500 nuovi posti. Formalmente, l’obiettivo è stato raggiunto: 9.179 posti, più di quelli richiesti, sono stati ammessi al cofinanziamento con i primi due bandi di applicazione del Pnrr, per una spesa pubblica di 287 milioni di euro destinati a gestori pubblici e privati che hanno presentato i progetti. La seconda fase è legata a un nuovo fondo, denominato Fondo housing universitario, a cui sono destinati 660 milioni di euro per la realizzazione di ulteriori 52mila posti circa, che dovranno essere assegnati agli studenti entro il 31 maggio 2026. Questo fondo, a differenza degli avvisi finora pubblicati, è destinato ad aziende private. Per l’avvio di questa seconda fase il ministero dell’università e della ricerca (Mur) ha da poco pubblicato un avviso per il reperimento di immobili che diversi soggetti, tra cui le regioni e gli enti locali, possono mettere a disposizione. Per rendere operativo il fondo, il 16 maggio 2023 il governo ha inserito un emendamento al decreto sulla pubblica amministrazione, ma lo ha poi ritirato per incoerenza con quel testo di legge. L’emendamento sarà inserito in un altro decreto.
Ma l’assenza di un vincolo sulla destinazione dei posti agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio, e l’assenza di un monitoraggio da parte del ministero, pongono seri problemi. Dei 9.179 posti finora finanziati due terzi sono privati. Di questi, molti non sono nuovi ma sono stati messi a disposizione in strutture già esistenti, a canoni che arrivano anche fino a 800 euro a Milano e a 750 euro a Torino per una stanza singola. I canoni di locazione che saranno pagati dagli studenti non sono ancora stati definiti dal ministero. Ma il traguardo del Pnrr che condiziona il finanziamento per i posti “al rispetto del limite massimo concordato negli affitti a carico degli studenti” è stato dichiarato come conseguito.
Fondi pubblici per studentati privati
Prima della riforma prevista dal Pnrr, almeno il 20 per cento degli alloggi creati da enti privati con risorse pubbliche doveva essere assegnato agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio. Si tratta di una percentuale molto bassa. Ma non è chiaro se il vincolo sia mai stato rispettato perché il Mur non pubblica questo dato. In ogni caso, con i due nuovi bandi di applicazione del Pnrr questa percentuale è stata sostituita dalla dicitura “prioritariamente”. La riforma ha poi innalzato la percentuale di cofinanziamento concessa ai gestori di studentati dal 50 al 75 per cento dell’importo, consentendo loro di beneficiare del regime fiscale riservato all’edilizia sociale, una forma di edilizia sovvenzionata dallo stato rivolta a fasce sociali che faticano a pagare canoni di mercato. Queste misure sono mirate ad aprire a operatori privati un settore tradizionalmente gestito da enti pubblici.
Simone Agutoli, dell’Unione degli universitari (Udu) – che sta esaminando gli interventi finanziati dal Pnrr, a partire dalla prima e dalla seconda graduatoria dei progetti ammessi con i due bandi – conferma che in alcuni casi gli studentati privati che hanno ricevuto fondi pubblici per mettere a disposizione posti per il diritto allo studio erano già in funzione negli anni passati. L’Udu ha preparato un’analisi dei progetti a oggi finanziati che sarà presentata il 18 maggio a Roma. “La Commissione europea è a conoscenza del fatto che questi posti non sono nuovi?”, domanda Agutoli.
La residenza della Campus X a Tor Vergata a Roma ha beneficiato di oltre undici milioni di euro per 500 posti. Ma è stata inaugurata nel 2010, si legge sul suo sito web. In alcuni casi i fondi del Pnrr sono serviti ai gestori per comprare o prendere in affitto edifici che già ospitavano gli studentati.
Con oltre nove milioni di euro del Pnrr la Camplus international ha acquistato due immobili, quello del Camplus Darsena a Ferrara e quello del Camplus Gorla a Milano, dai proprietari precedenti, Banca Intesa e la Gem immobiliare, un’impresa edile milanese. Prima della data di acquisto, questi due immobili erano sedi secondarie della fondazione Ceur, che controlla la Camplus.
A Venezia la Restudent ha acquistato con più di 22 milioni di euro del Pnrr un immobile dove aprirà un nuovo studentato con 284 camere. Questi immobili restano di proprietà dei privati e hanno un vincolo d’uso di nove anni, passati i quali i gestori non hanno più l’obbligo di destinare le stanze agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio.
Anche molti dei posti in edifici presi in affitto dai gestori non sono nuovi: per esempio Camplus Pavia preso in affitto con fondi del Pnrr, era già gestito dalla Camplus nel 2021.
Del resto che si tratti di posti privati già esistenti era facilmente intuibile: il secondo bando di attuazione del Pnrr è stato pubblicato nel dicembre 2022 per i posti letto ancora mancanti per raggiungere l’obiettivo del Pnrr (almeno altri 2.982 posti) da realizzare e assegnare agli studenti tre mesi dopo, alla fine del febbraio 2023.
Questo escamotage ha permesso di rispettare formalmente il target del Pnrr di 7.500 posti da assegnare entro la fine di febbraio 2023 e non perdere i fondi. Ma non ha abbassato i canoni di locazione pagati dagli studenti.
I prezzi per una stanza nello studentato della Campus X in via Belfiore a Torino, in un edificio di proprietà del fondo immobiliare Ream sgr e preso in affitto con dieci milioni di euro del Pnrr, parte da 750 euro al mese.
A Milano la Campus X ha ottenuto quasi diciotto milioni di euro di fondi Pnrr per realizzare 580 posti. Ma nel suo bando le tariffe per gli studenti sono di 767 euro per una stanza singola, 455 euro per un posto in una doppia.
La Camplus ha pubblicato un bando per l’assegnazione di oltre duemila “nuovi posti alloggio” cofinanziati dal Pnrr. Il prezzo per una camera singola alla residenza Camplus Gorla di Milano, nell’immobile della Gem immobiliare acquistato con due milioni e mezzo di euro pubblici dalla Camplus international, è di 800 euro al mese; una doppia con bagno privato costa 490 euro al mese.
Una stanza singola in un monolocale a Torino, alla Camplus in piazzale Aldo Moro, in un edificio preso in affitto dalla Camplus con fondi Pnrr, costa 700 euro; una doppia in monolocale 420. Una singola nell’edificio della Camplus Darsena a Ferrara, acquistato con fondi Pnrr, costa 410 euro al mese; una doppia 350.
In altre residenze come la Camplus Moi a Torino le tariffe sono più basse: sembrerebbero effettivamente calmierate. Ma non ci sono dati pubblici su quanti e quali posti sono stati resi disponibili, a quali tariffe, a chi e per quanto tempo. Campus e Camplus X non hanno risposto alla richiesta di commento dell’Essenziale.
Secondo il Mur, sentito dall’Essenziale, il ministero ha chiesto ai gestori privati di destinare il 20 per cento dei posti agli studenti nelle graduatorie. Secondo la portavoce della ministra Bernini, “il ministero lo ha imposto informalmente”; infatti nei decreti questo vincolo non c’è. Secondo il ministero 2.100 posti (un terzo dei posti privati finanziati con la prima fase del Pnrr) sono riservati a studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio.
Alcune residenze private hanno anche la possibilità di locare le stanze a turisti, ma le norme nazionali non definiscono in quale percentuale e per quanto tempo. “Ogni anno il 30 giugno veniamo cacciati per far posto ai turisti”, racconta Angelica Morresi che studia comunicazione allo Iuav di Venezia e alloggia in una residenza privata convenzionata con l’ente regionale per il diritto allo studio. “Dopo il 30 giugno si può restare nello studentato solo presentando un certificato che attesti un esame da sostenere dopo quella data”. Una parte delle stanze è locata a turisti tutto l’anno. “Nei periodi di maggior afflusso turistico, come durante il carnevale, la convivenza è molto difficile. Può capitare di dover aspettare quaranta minuti alla reception in attesa di assistenza”, spiega Morresi. Insieme ad altri studenti Morresi ha piantato una tenda ai Magazzini S. Donato dove ci sono le aule universitarie.
Cambio di strategia
Secondo i relatori presenti al convegno “Il Pnrr e l’investimento nello student housing” organizzato dalla Scenari immobiliari e dalla Camplus a Roma il 13 aprile scorso, la scelta di finanziare soggetti privati sarebbe stata in parte motivata dalla lentezza degli enti pubblici nel realizzare i posti, a fronte dei tempi imposti dal Pnrr. Questo ha dettato un cambio di strategia. “Il sistema precedente ha fatto molto: non siamo al 17 per cento di copertura del fabbisogno, la media europea, ma vent’anni fa eravamo al 3,4 per cento. Oggi siamo al 6 per cento”, ha detto Alberto Scuttari, presidente del Codau (Convegno dei direttori generali delle amministrazioni universitarie) durante l’incontro . “Però sono numeri ancora troppo bassi: questo sistema non consente di realizzare i posti che vorremmo nei tempi stabiliti”.
Considerando che la seconda fase della misura del Pnrr, quella del Fondo housing universitario da 660 milioni, prevede di realizzare più di 50mila posti nei prossimi tre anni, si arriva a un contributo di 350 euro a posto letto per questo periodo, troppo poco per coprire il costo per realizzare posti ulteriori. Quindi, ha spiegato Scuttari, si è scelto di finanziare la gestione dei posti, non i costi della loro realizzazione. Secondo il ministero, sentito dall’Essenziale, si vuole promuovere la partecipazione al bando anche dei soggetti pubblici; questi, tuttavia, non hanno le risorse economiche necessarie per sostenere nuovi interventi a fronte di un contributo così esiguo.
Non è chiaro cosa si intenda per canone di mercato stabilito dallo stato
Stefano Paleari, consigliere del Mur per l’attuazione del Pnrr, intervenendo al convegno ha detto che i canoni di mercato dovranno essere definiti da una commissione ministeriale che “dovrà stabilire l’asticella di questi canoni”. Un comunicato del Mur parla di individuazione di un “costo medio calmierato per ogni posto a livello territoriale”. In verità, come ha chiarito il ministero all’Essenziale, la commissione non definirà un tetto ai canoni privati ma si limiterà a rilevare il canone medio di mercato delle locazioni nelle città universitarie. Su questo poi applicherà la riduzione del 15 per cento grazie al contributo pubblico.
Questa dichiarazione pone diversi interrogativi. Non è chiaro se saranno presi in considerazione i canoni di locazione di tutto il mercato privato cittadino, o solo quelli degli studentati. I prezzi per le stanze negli studentati privati possono essere più alti dei canoni di locazione medi cittadini; la riduzione del 15 per cento non soddisferà il fabbisogno di alloggi a prezzi accessibili. Di più, senza definire un tetto al canone applicato dagli studentati privati che beneficiano di fondi pubblici, il contributo pubblico finirà semplicemente per alimentare canoni di mercato. Gli enti pubblici per il diritto allo studio hanno risolto il problema del calmieramento dei canoni degli studentati grazie ai contributi pubblici. Ma l’obiettivo di garantire il diritto allo studio verrebbe meno destinando risorse pubbliche a gestori privati a scopo di lucro, senza imporre un tetto ai canoni e senza un vincolo sulla destinazione dei posti agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio.
La scelta di destinare la quasi totalità di queste risorse pubbliche ai privati non può neanche essere motivata con l’argomento della lentezza del pubblico nel realizzare posti nuovi. Il problema non è stato superato: è stato aggirato finanziando la gestione di posti privati già esistenti. Si tratta dunque di una scelta ideologica.
I fondi erogati con la prima fase del Pnrr, 300 milioni di euro per più di novemila posti, sarebbero stati sufficienti per crearne di nuovi. In alcuni casi infatti gli interventi sono per nuovi posti, anche realizzati da soggetti pubblici. Ma i 660 milioni di euro restanti non sono sufficienti a coprire i costi di realizzazione dei 50mila nuovi posti annunciati. Per questo servirebbero tra i quattro e i cinque miliardi di euro, ha spiegato Paleari, aggiungendo che il fondo da 660 milioni di euro “lavora attraverso un effetto di leva creando l’incentivo economico affinché l’investimento (privato) sia sostenibile”.
Ma cosa succederà dopo i primi tre anni, quando il contributo terminerà? In teoria, il Pnrr condiziona il finanziamento al rispetto del limite negli affitti a carico degli studenti anche dopo i primi tre anni. Ma già oggi i canoni non sono calmierati e non ci sono ancora garanzie che il contributo pubblico beneficerà davvero gli studenti – e non solo i gestori di studentati che materialmente lo percepiscono. Per quanto riguarda la destinazione dei posti, l’avviso per il reperimento di immobili da destinare a studenti con il fondo da 660 milioni rimanda ai successivi decreti attuativi la definizione di “quote” di posti da assegnare a studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio.
Intanto altri attori premono per spartirsi i contributi per il diritto allo studio. Silvia Rovere, presidente della Assoimmobiliare, intervenuta al convegno della Scenari immobiliari, sostiene che l’impostazione iniziale dei bandi Pnrr è stata criticata soprattutto dagli investitori, cioè i fondi immobiliari, che speravano di essere coinvolti. Fino al 2005 Rovere è stata responsabile del ministero dell’economia per i programmi dei fondi immobiliari e gli strumenti di privatizzazione del patrimonio dello stato; fino al 2013 è stata direttrice generale della Ream sgr, l’azienda di gestione del risparmio, che possiede uno degli immobili locati dalla Campus X a Torino con un cofinanziamento di quasi nove milioni di euro del Pnrr, e che gestisce uno dei fondi immobiliari che ha investito nella realizzazione della Camplus Moi, sempre a Torino. Se il contributo pubblico per calmierare gli affitti è destinato agli studenti, secondo Rovere questo andrebbe erogato non ai gestori degli studentati (come avviene oggi) ma ai fondi immobiliari che possiedono gli immobili. Il contributo pubblico gocciolerebbe dall’alto attraverso questi due livelli, quello della proprietà e quello della gestione degli studentati, fino a beneficiare gli utenti finali: gli studenti.
Rovere ritiene che il beneficio, trasferito ad aziende di gestione del risparmio e fondi immobiliari, arriverebbe comunque agli studenti. “L’idea che si possa includere tutta la filiera, dall’investitore allo sviluppatore, al costruttore, passando per il gestore, e arrivando allo studente, è un’idea che attribuisce il beneficio finanziario al soggetto proponente”, cioè agli investitori. Questi avrebbero “l’obbligo di ridurre l’onere al soggetto gestore, che a sua volta avrà l’obbligo di ridurre il canone pagato dallo studente”.
Ma la teoria trickle-down, cioè della redistribuzione spontanea verso il basso di vantaggi e risorse economiche ottenuti da chi sta in alto, nella realtà non ha mai funzionato. È una teoria che serve a legittimare l’appropriazione di risorse sottratte a chi ne ha più bisogno. E agli studenti, finora, non sono arrivate neanche le briciole.
L’indebolimento del pubblico
È stata proprio la volontà politica di disinvestire e vendere il patrimonio pubblico a indebolire gli enti pubblici e a privarli di strumenti per garantire il diritto alla casa e allo studio. A Pisa uno studentato pubblico con 317 camere è chiuso dal 2009. È in vendita sul portale istituzionale per la dismissione del patrimonio pubblico. Poi ci sono 170 case popolari vuote. “A Pisa quest’anno un migliaio gli studenti che avrebbero diritto a un posto in una residenza è rimasto senza alloggio. E trovare una casa a Pisa è un problema enorme”, racconta Giulia Contini dell’Unione inquilini.
Gli stessi enti pubblici hanno in parte assimilato l’ideologia del mercato diventandone un’estensione. All’Aquila l’ente per il diritto allo studio (Adsu) non ha partecipato ai bandi del Pnrr per nuovi posti letto, nonostante l’unica residenza pubblica, all’ex caserma Campomizzi, stia per chiudere. La Camplus aprirà a L’Aquila un secondo studentato da 125 posti con cinque milioni di euro del Pnrr. “C’è una chiara tendenza a lasciare il campo ai privati”, osserva Luca D’Innocenzo, ex assessore all’urbanistica. Un quadro simile lo fa il proprietario di un albergo che preferisce non essere citato. “Ho a cuore il problema abitativo perché ho a cuore la città”, dice. “Per questo ho dato la disponibilità di posti letto per studenti all’Adsu, che ha rifiutato l’offerta. Mi hanno detto che avevano la soluzione. Ma so che alcuni studenti stranieri non hanno trovato una casa e hanno dovuto rinunciare all’Erasmus. Non ci volevo credere, ma è così: l’Adsu di alloggi non si occupa più”.
Il comune, guidato da una giunta di destra, ha annunciato un piano per usare le abitazioni equivalenti, ovvero le abitazioni danneggiate dal sisma e cedute a prezzi di mercato al comune, per alloggiare gli studenti. Si tratta di circa 640 case. Per l’operazione è stata costituita una fondazione, la Ferrante D’Aragona, partecipata dall’università e dal comune. Intanto gli studenti immatricolati all’università sono calati negli ultimi due anni.
A Padova i posti letto in residenze pubbliche sono solo 1.765 a fronte di 70mila studenti. “L’università continua ad aumentare i corsi, ma le case non ci sono. Molti hanno dovuto cercare stanze in alberghi e b&b”, sostengono due attivisti del collettivo Spina. A Padova è cresciuto un mercato di contratti d’affitto falsi, che costano mille euro, perché senza un contratto di affitto gli studenti stranieri perdono la borsa di studio. “Intanto i gestori privati acquistano edifici inutilizzati dal comune e aprono residenze da seicento euro a posto letto”. Con i fondi del Pnrr l’università realizzerà 24 posti, l’ente per il diritto allo studio (Esu) 63, la Camplus 204. Ma senza un tetto ai canoni privati i milioni di euro del Pnrr finiranno solo per alimentare l’emergenza abitativa.
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