“Imogen Cunningham aveva un occhio vagabondo e questo, unito all’innata curiosità e all’atteggiamento progressista nei confronti del genere, della razza e della sessualità, ha dato vita a un’opera insolita e sfaccettata che rifugge facili descrizioni”. Le parole di Paul Martineau, curatore insieme alla storica Susan Ehrens, accompagnano il volume Imogen Cunningham: a retrospective (Getty Publications) che ripercorre in maniera esaustiva la carriera della fotografa statunitense.

Il percorso di Cunningham (1883-1976) comincia a Seattle nel 1905, quando suo padre le allestisce una camera oscura. Da quel momento non si ferma più, non si lascia intimorire da un mondo dominato dagli uomini e anzi sceglie di dedicarsi a un genere fino ad allora precluso alle donne: il nudo. Abbracciando le tendenze pittorialiste e moderniste Cunningham procede sfidando le convenzioni; uno dei suoi primi successi è un autoritratto del 1906, in cui è nuda e distesa sull’erba a pancia in giù. Grazie al suo coraggio e all’approccio innovativo si guadagna la stima e l’ammirazione di autori come Edward Weston e Ansel Adams.

Cunningham ha fotografato anche musicisti, danzatori, artisti e scrittori. Nel 1931 i ritratti sensuali di Martha Graham attirano l’attenzione di Vanity Fair che la manda a Los Angeles per raccontare le grandi star del cinema. Nonostante non sia mai stata veramente apprezzata dai suoi contemporanei, la fotografa continuerà a essere ispirata e prolifica fino alla fine. Il volume di Ehrens e Martineau vuole restituirle la statura artistica di cui non ha goduto da viva, mettendola sullo stesso piano dei suoi colleghi maschi.

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