Ci si chiedeva quale film sarebbe succeduto a Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho, premiato nel 2019, l’ultima edizione prima della pandemia. Quest’anno nessun film spiccava sugli altri al termine della 74a edizione del festival di Cannes: una buona annata, questo 2021, con 24 titoli nel concorso ufficiale. Dopo una discussione avvenuta in un luogo segreto, la giuria presieduta dal regista statunitense Spike Lee – primo artista afroamericano ad avere questo ruolo – ha rivelato l’elenco dei vincitori nel corso della cerimonia di chiusura.
Palma d’oro: Titane di Julia Ducournau; gran premio: A hero di Asghar Farhadi, ex æquo con Hitty n° 6 di Juho Kuosmanen; miglior sceneggiatura: Ryūsuke Hamaguchi e Takamasa Oe per Drive my car; miglior regia: Leos Carax per Annette; miglior attore: Caleb Landry Jones per Nitram; miglior attrice: Renate Reinsve per The worst person in the world; premio della giuria: Ahed’s Knee di Nadav Lapid, ex æquo con Memoria di Apichatpong Weerasethakul; Palma d’oro onoraria: Marco Bellocchio; Palma d’oro per il cortometraggio: All the crows in the world di Tang Yi; Caméra d’or: Murina di Antoneta Alamat Kusijanović.
Il festival di Cannes ha battuto un colpo rumoroso premiando la regista francese Julia Ducournau e la sua opera furiosamente contemporanea Titane. È la seconda volta nella storia del concorso che una donna ottiene la Palma d’oro. Ventotto anni dopo Jane Campion con Lezioni di piano, la giuria presieduta da Spike Lee ha ricompensato la più giovane tra i registi in competizione (37 anni). Il regista newyorchese ha peraltro commesso una gaffe durante la premiazione, facendo l’annuncio al momento di assegnare il premio per il miglior attore.
Un cinema diverso
Quando alla fine ha avuto in mano la Palma d’oro, Julia Ducournau ha calorosamente ringraziato la giuria per aver “riconosciuto il bisogno avido e viscerale che abbiamo di un mondo più fluido e più inclusivo”.

“Grazie alla giuria per aver fatto appello a una maggiore diversità nelle nostre esperienze al cinema e nella vita, e grazie anche per aver lasciato entrare i mostri”, ha aggiunto dal palco, in lacrime, la regista francese, grande appassionata di film dell’orrore.
Cannes invia così un segnale importante in un settore che s’interroga più che mai, da quattro anni, sul ruolo delle donne al suo interno e sull’uguaglianza di genere, sulla scia del caso Weinstein e poi del movimento #MeToo.
Quest’anno le registe in concorso erano solo quattro su 24 film. Tornando a Titane, la Palma d’oro premia un cinema trasgressivo e innovativo, intriso di femminismo. Il film, non certo destinato a tutti i tipi di pubblico, mescola elementi quali l’ibridazione tra una donna e una macchina, l’amore per le automobili e la ricerca di paternità. È stato di gran lunga il film più violento in concorso e senza dubbio non ha convinto tutta la critica. Ducournau ha portato sullo schermo l’esordiente Agathe Rousselle, una rivelazione, a fianco del navigato attore Vincent Lindon, che interpreta un pompiere gonfio di steroidi.
La regista aveva già lasciato un ricordo indelebile a Cannes nel 2016 con il suo primo lungometraggio, Raw. Una cruda verità, storia di una studente di medicina veterinaria che diventa cannibale, che le aveva permesso di diventare la capofila di un rinnovamento del cinema francese. Dall’altra parte dell’oceano ha ricevuto l’investitura di un maestro del brivido come M. Night Shyamalan.
◆ L’edizione del festival di Cannes all’inizio di luglio presentava tante sfide logistiche. In aggiunta alle misure antiterrorismo come i varchi e le perquisizioni, i filtri sanitari potevano rivelarsi un ostacolo di troppo per permettere il flusso continuo di spettatori e addetti ai lavori dalla mattina alla sera per dodici giorni. Era stato quindi frettolosamente messo in piedi un sistema di gestione dei biglietti che permettesse l’accesso alle sale senza creare code e assembramenti. Dopo qualche intoppo le cose hanno cominciato a funzionare, ma il numero di accreditati al festival è stato piuttosto basso: un terzo in meno di giornalisti stranieri e quasi il 50 per cento in meno di rappresentanti dell’industria, con un crollo di presenze dall’Asia e da Nord e Sudamerica. Le misure di sicurezza non hanno impedito al virus di circolare, così come sono circolate voci incontrollate che facevano temere addirittura una chiusura anticipata del festival. Léa Seydoux, una delle regine annunciate della manifestazione con ben quattro film in mostra, risultata positiva a un tampone il giorno prima di essere paracadutata sulla Croisette, è rimasta a casa. Focolai di covid-19 alla fine non ce ne sono stati ma il virus ha continuato a essere una presenza minacciosa, anche sugli schermi in film come Tralala dei fratelli Larrieu (fuori concorso) o Les intranquilles di Joachim Lafosse (in concorso). Libération
Sabato 17 luglio il regista francese Leos Carax ha ricevuto, invece, il premio per la migliore regia per Annette, un’opera rock sfarzosa e virtuosa che fa brillare due stelle, Adam Driver e Marion Cotillard. Nove anni dopo Holy motors, Carax, ormai sessantenne, ha ottenuto una delle più alte ricompense di Cannes per questo fuoco d’artificio cinematografico, cosceneggiato e messo in musica dal gruppo pop statunitense Sparks. Il film aveva aperto il festival, celebrando in pompa magna la possibilità di ritrovarsi per il cinema mondiale.
Marco Bellocchio ha invece ricevuto una Palma d’oro onoraria, a coronamento di cinquant’anni di carriera impegnata. Il regista italiano ha presentato un documentario molto personale che non risparmia né l’esercito né la religione, Marx può aspettare, in una sezione parallela del festival.
Dopo l’emozione del palmarès, sulla Croisette è arrivato il momento di rilassarsi. A chiusura del festival è stata proiettata in anteprima la commedia francese più attesa dell’estate, Agente speciale 117 al servizio della Repubblica. Allarme rosso in Africa nera, firmato da Nicolas Bedos, con Jean Dujardin, Pierre Niney e Fatou N’Diaye. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati