Il grande errore di Jonathan Lee è così totalmente immerso nella storia letteraria statunitense che è una sorpresa scoprire che il suo autore è un quarantenne del Surrey. Il romanzo ripercorre la vita di un grande americano, Andrew Haswell Green, attraverso la lente della sua morte. Green può essere considerato uno dei padri della moderna New York. Cresciuto in una fattoria dov’era giudicato troppo effeminato e troppo miope per maneggiare un’ascia, si fece un nome prima come avvocato battagliero, poi come architetto dell’unificazione di Manhattan con Brooklyn e il Queens. Una mossa chiamata dai suoi detrattori il “grande errore del 1898”. Green era un uomo tanto cauto nella vita privata quanto esuberante nell’attività pubblica. Fondò la Public library di New York, il Metropolitan museum of art e, soprattutto, quel polmone nel cuore della città che è il Central park. Lee apre il suo romanzo con la morte di Green, ucciso a ottantatré anni sui gradini della sua casa di Park avenue da un uomo chiamato Cornelius Williams. La narrazione si snoda tra questo sanguinoso momento presente e il passato di Green, cercando di scoprire la ragione dietro un omicidio apparentemente senza motivo. Lee si diverte molto con le convenzioni del romanzo poliziesco. Il grande errore è un libro di straordinaria intelligenza e stile, scritto in un linguaggio allo stesso tempo bello e giocosamente aforistico. È un romanzo il cui protagonista – onesto, dignitoso, ferito – vivrà a lungo nella mente del lettore. Alex Preston,
The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1431 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati