Ridley Scott non è nuovo ai drammi in costume e non sorprende che abbia deciso di raccontare l’ultimo “duello di Dio” avvenuto in Francia nel 1386. Quello che sorprende semmai è quanto poco tempo in The last duel sia dedicato al combattimento vero e proprio. Passiamo buona parte delle due ore e mezza del film osservando affascinanti frammenti di vita medievale che si concentrano su un processo per stupro, che non è considerato un crimine contro la donna, in questo caso Marguerite de Carrouges (Jodie Comer), ma contro la proprietà, cioè contro suo marito, Jean de Carrouges (Matt Damon). Jean accusa il suo ex amico Jacques Le Gris (Adam Driver) di aver violentato la moglie. Le Gris nega. I due si scontreranno a duello, sottoponendosi al giudizio di Dio. E se Jean dovesse perdere, Marguerite finirebbe sul rogo. Il film è diviso in tre atti, ognuno raccontato da una prospettiva diversa. Nel primo, scritto da Matt Damon, il punto di vista è quello di Jean. Nel secondo, scritto da Ben Affleck (che ha anche un ruolo nel film), conosciamo la versione di Le Gris. Ma è solo nel terzo segmento, scritto da Nicole Holofcener, che il film trova la sua vera e avvincente voce, cioè quella di Marguerite. È quasi fastidioso quando alla fine vengono sguainate le spade per il duello, magistralmente realizzato, e Marguerite viene di nuovo messa da parte. Il messaggio sembra proprio questo: saranno anche passati seicento anni da questo perverso senso di giustizia, ma The last duel suggerisce che sul trattamento riservato alle donne non abbiamo fatto tutta la strada che potremmo pensare di aver fatto. Dan Jolin, Empire
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Questo articolo è uscito sul numero 1431 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati