Nei prossimi giorni le delegazioni di almeno 120 paesi si ritroveranno a Glasgow per la 26a conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop26). Questo incontro rappresenta un appuntamento importante per la diplomazia climatica. Le principali economie sono tenute a riesaminare le azioni intraprese finora per raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015. L’amministrazione di Joe Biden vuole cogliere l’occasione per celebrare il rientro degli Stati Uniti nell’accordo, e ha inviato delegazioni in diversi paesi per convincerli a impegnarsi ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Tra i paesi che non lo hanno ancora fatto, l’India e la Cina sono quelli che inquinano di più. L’argomento che usano da anni è che la crisi climatica si deve ai gas serra emessi dall’occidente per più di un secolo. Qualsiasi tentativo di risolverla richiede che i paesi occidentali facciano molto più di quanto promesso, o almeno che onorino gli impegni già presi. Come hanno mostrato anni di negoziati, i progressi sono lentissimi e ci si concentra più sul fare annunci da sbandierare che sul rendere concrete le misure necessarie. Per i paesi sviluppati, soddisfare la domanda di compensazioni avanzata dai paesi in via di sviluppo significa sborsare somme di denaro che difficilmente saranno approvate dalla politica nazionale. Per i paesi in via di sviluppo, accettare impegni sull’azzeramento delle emissioni significa dare l’impressione di aver ceduto alla prepotenza internazionale. La Cop26 potrà al massimo incentivare soluzioni che favoriscano la transizione all’energia pulita. Ma il mondo dovrà formulare una risposta significativa per un pianeta sempre più caldo. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati