Rosewood ha intessuto una storia di sbalorditiva abilità artistica, devastazione, compassione e consapevolezza sociale. Ogni pagina del suo romanzo di esordio è satura di traumi: abuso, alienazione, aggressione sessuale, crisi d’identità, codipendenza, estorsione emotiva, gli effetti ossessionanti della negligenza e dell’abbandono. Ci si potrebbe aspettare una lettura estenuante. Al contrario, Se avessi due vite ha un tocco di leggerezza che dà ai lettori la sensazione di scivolare attraverso un sogno condiviso. All’età di sette anni, la protagonista senza nome è portata in un accampamento militare vietnamita per vivere con la madre che non vede da quando aveva tre anni. I traumi che sperimenta durante questo periodo la seguono a lungo. A metà dei suoi vent’anni, la ritroviamo sola, immigrata a New York, mentre cerca disperatamente di ricreare due delle relazioni più significative che aveva avuto da bambina. Quando il suo sogno comincia finalmente a prendere forma, la tragedia la colpisce. Rosewood ha costruito un romanzo di formazione in cui la protagonista, piuttosto che trovare le risposte, scopre che è più illuminante convivere con le domande difficili della vita.
Ryan Smernoff, Los Angeles Review of Books
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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati