Quando Kafka consegnò alla madre la sua Lettera al padre, sapeva che la sua missiva non avrebbe mai raggiunto il destinatario. Ma con quel testo ha creato una specie di genere. L’aria che mi manca di Luiz Schwarcz segue la tradizione inaugurata dallo scrittore ceco e ritrae in una lunga narrazione il rapporto silenzioso con il padre André, un ungherese arrivato in Brasile in fuga dai nazisti che è riuscito a sopravvivere solo grazie al sacrificio del padre. Il libro condivide con Kafka il tono di sfogo e di regolamento di conti, ma qui il duello è con l’autore stesso. Se la memoria può essere selettiva, questa scelta non si traduce necessariamente in un catalogo di gioie. Non è raro che la mente insista nel tirare fuori una collezione di dolori e angosce. L’aria che mi manca descrive il mistero familiare che circondava la famiglia Schwarcz e che, a poco a poco, ha portato a una depressione permanente in Luiz. I ricordi del narratore sono anche un invito a riflettere sull’identità brasiliana. Rievoca un’epoca in cui si viveva tra il rumore e il furore, ma anche tra le disuguaglianze, la povertà e un analfabetismo estremo. Il libro è un esperimento di ricostruzione e salvataggio, ma è anche un esercizio per guardare al di là di questa valle di ombre.
Jonatan Silva,
Escotilha
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Questo articolo è uscito sul numero 1444 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati