C hi ha osservato per mesi i contingenti militari russi ammassarsi al confine ucraino, questa settimana ha avuto l’impressione che le cose stessero per precipitare. Alcuni funzionari statunitensi avevano perfino previsto il momento esatto dell’invasione russa: prima dell’alba del 16 febbraio. Ma i segnali politici arrivati da Mosca negli ultimi giorni fanno immaginare che la Russia stia cercando di allontanarsi dall’orlo del baratro. O, quantomeno, che Putin sia indeciso. Ci sarà una guerra oppure prevarranno i negoziati? Il presidente russo continua a lasciare il mondo nel dubbio.
La mattina del 15 febbraio il ministero della difesa russo ha annunciato che avrebbe ritirato parte delle truppe dal confine con l’Ucraina. Una mossa arrivata dopo che Sergej Lavrov, il ministro degli esteri, aveva dichiarato che c’era ancora spazio per i negoziati con l’occidente, in particolare sul tema del controllo degli armamenti. L’apertura è sembrata segnare l’inizio di quella de-escalation che i paesi occidentali chiedevano da tempo. Probabilmente – pensa qualcuno – la Russia ha fatto un passo indietro messa di fronte alla determinazione dei paesi della Nato, pronti a farle pagare un prezzo altissimo in caso d’invasione.
Questa percezione è rafforzata dalla duma, il parlamento russo, che ha approvato una risoluzione per chiedere al presidente di riconoscere formalmente le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, i due micro-stati sorti nel 2014 nel Donbass, nel sudest dell’Ucraina, e sostenuti dalla Russia. La mozione, presentata dai comunisti, è stata votata da 351 deputati su 450. Il riconoscimento di Mosca equivarrebbe in pratica a un’annessione delle regioni secessioniste. Secondo alcuni in questo modo Putin è riuscito a dichiarare vittoria e allo stesso tempo a fare marcia indietro. La propaganda russa sostiene che il presidente ha di nuovo fatto lo sgambetto all’occidente.
Ma la situazione diplomatica rimane poco chiara. In una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Mosca, il pomeriggio del 15 febbraio Putin ha affermato che non avrebbe assecondato la richiesta della duma, almeno non ancora. I parlamentari hanno però dimostrato di aver capito i sentimenti dell’opinione pubblica, ha detto Putin, prima di aggiungere che nel Donbass è in corso un “genocidio” contro la popolazione russa, messo in atto dall’Ucraina. Un’idea ridicola.
La duma e il presidente
Un modo per risolvere il problema ci sarebbe: l’Ucraina dovrebbe rispettare i cosiddetti accordi di Minsk, siglati in due parti – nel settembre 2014 e nel febbraio 2015 – per mettere fine alla guerra nel Donbass. “Siamo molto fiduciosi che i nostri partner occidentali eserciteranno la dovuta influenza sul governo di Kiev”, ha dichiarato Putin.
Intanto, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che l’apparente apertura della Russia al dialogo “è motivo di cauto ottimismo”. Ma ha aggiunto che non ci sono ancora prove di una de-escalation. Anzi, hanno dichiarato alcune fonti occidentali, la Russia continua ad ammassare soldati al confine con l’Ucraina, nonostante il presunto rientro di alcune unità. Un attacco russo all’Ucraina “è ancora possibile”, ha sottolineato il presidente Joe Biden. Anche Dmytro Kuleba, ministro degli esteri dell’Ucraina, si è detto scettico: “Non crediamo a quello che sentiamo, ma a quello che vediamo”.
Da alcune informazioni d’intelligence liberamente consultabili, le prove di un ritiro russo ci sono solo per una singola unità in Crimea. “Al momento non abbiamo certezze sulla partenza di altri importanti contingenti militari”, ha dichiarato Ruslan Leviev, un giornalista indipendente che ha documentato i movimenti di truppe fin dall’inizio della crisi. “Il ritiro che è stato pubblicizzato riguarda soprattutto unità di stanza in regioni vicine all’Ucraina, che quindi non si sposteranno di molto”.
Inoltre, secondo fonti occidentali, la Russia potrebbe mantenere il suo atteggiamento minaccioso per settimane, se non mesi. “Putin non ha preso una decisione”, dice una delle nostre fonti. “Penso che al momento si tenga aperta ogni possibilità. Non credo abbia fatto scelte definitive. Allo stesso modo, non penso che voglia starsene con le mani in mano e non fare nulla”.
Putin potrebbe cercare di giocare la carta del “genocidio” dei russofoni del Donbass da parte degli ucraini. Secondo gli accordi di Minsk, le due regioni dovrebbero essere riassorbite nell’Ucraina ma con uno status di speciale autonomia. Le altre disposizioni includono il ritiro delle armi pesanti, decentramento del potere, libere elezioni e amnistie.
Grazie all’intesa raggiunta a Minsk, dal 2015 nel Donbass è in vigore un fragile cessate il fuoco. Ma gli accordi sono confusi e contestati, e non sono mai stati pienamente attuati. A Kiev in molti vorrebbero rinnegarli, perché li considerano il cavallo di Troia con cui Mosca mantiene il suo controllo sull’Ucraina.
Un riconoscimento russo delle repubbliche secessioniste potrebbe avere conseguenze enormi. Servirebbe a formalizzare la presenza militare russa in Ucraina orientale. E questa, a sua volta, potrebbe essere usata per soddisfare le rivendicazioni dei separatisti sull’intero territorio delle province di Donetsk e Luhansk, comprese le città controllate dall’Ucraina, come il porto di Mariupol. Ma violare la sovranità dell’Ucraina significherebbe anche far decadere gli accordi di Minsk, concedendo così a Kiev di liberarsi di un compromesso che ritiene ingiusto e accettato sotto la minaccia delle armi. Questo spiega le remore di Putin ad assecondare il voto della duma.
Sospesi nell’incertezza
Per ora i mezzi d’informazione di stato russi puntano sulla prospettiva di una prolungata incertezza per l’Ucraina. Margarita Simonjan, direttrice dell’emittente Rt, finanziata dal Cremlino, ha detto che il suo “capo” ha dimostrato all’occidente di non piegarsi ai piani dettati dall’esterno. E gli ha riconosciuto il merito di aver imposto un dibattito sulla sicurezza che a occidente nessuno voleva. “Ci siamo ritirati dopo aver mostrato quello che dovevamo mostrare. Nel frattempo l’economia ucraina è stata fatta a brandelli. Una questione da poco, forse. Ma gratificante”.
In effetti le recenti tensioni hanno colpito duramente l’economia ucraina. Il presidente Volodymyr Zelenskyj ha previsto che per stabilizzarla potrebbero volerci fino a cinque miliardi di dollari. La notizia dell’evacuazione delle ambasciate occidentali ha nel frattempo aumentato il nervosismo, anche se tra la popolazione non si registra un panico diffuso.
Gli ucraini, insomma, vivono in una specie di “iperrealtà”, ha detto il commentatore politico Volodymyr Fesenko. Sono intrappolati tra verità e finzione. Il loro atteggiamento, ha aggiunto Fesenko, ricorda il comportamento della gente a Kiev dopo il disastro di Černobyl del 1986. “Allora c’era chi continuava a giocare a pallone all’aperto come se niente fosse. E altri che si chiudevano in casa”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati