Il 22 aprile negli Stati Uniti è entrato in vigore il divieto d’importare petrolio dalla Russia. Tra i paesi che potrebbero trarre vantaggio da questo provvedimento c’è sicuramente il Venezuela. Secondo la banca Credit Suisse, quest’anno il tasso di crescita del pil venezuelano in termini reali raggiungerà il 20 per cento (partendo da una base molto bassa), mentre la produzione di greggio aumenterà di almeno un quinto.
Già prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, la produzione di petrolio in Venezuela era cresciuta: nel 2021 era raddoppiata e aveva raggiunto gli ottocentomila barili al giorno. Anche se la cifra è di gran lunga inferiore ai tre milioni di barili prodotti negli anni novanta, sarebbe comunque sufficiente a sostituire i 199mila barili al giorno che gli Stati Uniti importavano dalla Russia. Tra l’altro, diverse raffinerie statunitensi sono state progettate proprio per processare il greggio viscoso del Venezuela e hanno difficoltà a lavorare il petrolio saudita, più liquido, e quello di scisto estratto negli Stati Uniti.
Qualsiasi accordo sarà raggiunto, è chiaro che non sarà solo alle condizioni di Biden
Finora, però, Washington ha mantenuto il divieto d’importare anche il greggio venezuelano. La misura fa parte di un pacchetto di sanzioni economiche introdotto dagli Stati Uniti per indebolire il governo autoritario del presidente Nicolás Maduro. Washington accusa Maduro di “narcoterrorismo” e offre una ricompensa di 15 milioni di dollari a chiunque contribuisca a consegnarlo alla giustizia. Inoltre, dal 2019 l’amministrazione statunitense riconosce come presidente legittimo Juan Guaidó, leader dell’opposizione e del parlamento venezuelano.
Manovra di distensione
Nonostante questo, all’inizio di marzo tre alti funzionari statunitensi sono andati a Caracas e hanno incontrato i rappresentanti del governo di Maduro, durante una riunione che è stata descritta come “rispettosa”. Tre giorni dopo l’arrivo in Venezuela della delegazione statunitense, Joe Biden ha annunciato il divieto sulle importazioni di petrolio russo.
“I tempi dell’incontro lasciano pensare che l’obiettivo dell’amministrazione statunitense fosse ottenere più petrolio”, spiega Elliott Abrams, rappresentante speciale per il Venezuela durante l’amministrazione Trump.
Comunque, se Biden sta considerando una manovra di distensione con Caracas i motivi non sono solo economici. Il presidente degli Stati Uniti potrebbe approfittare della guerra in Ucraina per creare una spaccatura tra il Venezuela e la Russia, cioè uno dei suoi principali alleati.
Il leader russo Vladimir Putin ha cominciato a interessarsi al paese sudamericano dopo il 2008, quando gli Stati Uniti parlarono dell’ipotesi che la Georgia e l’Ucraina entrassero nella Nato. Putin decise di reagire operando nella zona d’influenza di Washington e trovando un alleato ideale in Hugo Chávez, predecessore di Maduro. Tra il 2009 e il 2019 la Russia ha venduto quasi nove miliardi di dollari di armi al Venezuela. Nel 2017, quando l’ex presidente statunitense Donald Trump valutò la possibilità d’invadere il paese, il governo russo mise a disposizione di Caracas bombardieri a lungo raggio capaci di sganciare armi nucleari. Nel 2019, quando gli Stati Uniti e altri governi hanno riconosciuto Guaidó presidente legittimo del Venezuela, Putin ha mandato soldati e mercenari per difendere Maduro.
Nello stesso anno il governo di Mosca ha creato una rete per permettere al Venezuela di aggirare le sanzioni economiche, aiutando il governo a vendere oro e petrolio, anche se a prezzi ridotti, e Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale, ha spostato la sua sede europea da Lisbona a Mosca. Dalla capitale russa sono partiti aerei pieni di contanti diretti in Venezuela per scongiurare il collasso economico del paese. Secondo vari osservatori, gli alleati di Maduro conservano i loro patrimoni nelle banche russe.
Oggi il Cremlino sostiene che, durante una telefonata con Putin, Maduro abbia dato il suo assenso all’invasione dell’Ucraina. Ma è evidente che il conflitto sta danneggiando i rapporti tra i due paesi. A causa delle sanzioni occidentali sulle banche russe, infatti, Maduro e i suoi alleati avranno grandi problemi a trasferire il loro denaro lontano dalla Russia, spiega Francisco Monaldi della Rice university del Texas.
In occasione dell’incontro con i funzionari statunitensi a marzo, sembra che il presidente venezuelano abbia chiesto alla delegazione di sospendere temporaneamente le sanzioni contro le banche russe per permettere a Caracas di prelevare i propri fondi, ma a quanto pare gli statunitensi non hanno accettato. Inoltre Maduro forse ha paura che la Russia, diventata a sua volta uno stato paria, possa diventare un concorrente nella vendita di petrolio a prezzi stracciati. Dal 2020 la Cina è la principale acquirente del greggio venezuelano, ma per Pechino non avrebbe senso importare petrolio dall’altro capo del mondo se dietro l’angolo fosse disponibile il greggio russo a prezzi simili.
La Chevron, l’ultima azienda statunitense attiva in Venezuela, è pronta ad approfittare di qualsiasi variazione nel regime delle sanzioni. Oggi le autorità statunitensi permettono all’azienda di mantenere le sue infrastrutture nel paese sudamericano, ma non di estrarre petrolio. Il permesso scadrà a giugno, e dopo la Chevron chiederà una licenza ampliata che le consenta di vendere il petrolio venezuelano. Secondo la Reuters, l’azienda sta creando una squadra che si occuperà di vendere il greggio estratto in Venezuela e ha anche avviato i preparativi nell’isola di Aruba per chiedere dei visti per i suoi dipendenti.
Il sito Caracas Chronicles scrive che la vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez e il ministro degli esteri Félix Plasencia incontreranno presto alcuni funzionari statunitensi a Trinidad e Tobago. Il 14 aprile un gruppo di 25 economisti venezuelani ed esponenti della società civile, in gran parte oppositori di Maduro, ha inviato una lettera a Biden per chiedergli di alleggerire le sanzioni economiche e autorizzare le aziende petrolifere occidentali a operare di nuovo nel paese.
Posizione di forza
L’amministrazione Biden continua a ripetere che non vuole un’alleanza con Maduro e che è preoccupata per il mancato rispetto dei diritti umani da parte del governo. Dopo l’incontro di marzo Maduro ha liberato due prigionieri statunitensi detenuti a Caracas e ha promesso di riprendere i negoziati con l’opposizione venezuelana, che si stavano svolgendo in Messico.
Tuttavia molti osservatori non credono che gli Stati Uniti riusciranno a cambiare l’approccio dittatoriale di Maduro facendo affari con lui. “Se Washington decide di comprare il petrolio e allontanare Maduro dall’influenza russa significa che ha accettato di avere a che fare con il governo, così com’è”, spiega Brian Winter dell’organizzazione Americas society. Inoltre, anche in caso di cancellazione immediata delle sanzioni, gli analisti dubitano che il Venezuela sia nelle condizioni d’incrementare la produzione dopo anni di corruzione e cattiva gestione. “Questa situazione mi ricorda la politica di Barack Obama verso Cuba”, afferma Abrams. “Dare senza ottenere nulla in cambio”.
Negli ultimi anni la posizione di Maduro si è chiaramente rafforzata. Il suo indice di gradimento è al 19 per cento e supera quello di Guaidó, che è al 12 per cento. Dal 2019 Maduro ha portato avanti senza clamore una serie di riforme economiche, eliminando il controllo dei prezzi, cancellando alcune restrizioni sui cambi e favorendo gli investimenti privati. Il dollaro è diventato di fatto la valuta nazionale e ha contribuito a ridurre l’inflazione, che è passata dal 3.000 per cento nel 2020 al 686 per cento del 2021.
“Maduro non è mai stato in una posizione così forte”, spiega Temir Porras, ex capo dello staff del presidente. “Ha tutto sotto controllo”. Questo significa che qualsiasi accordo venga raggiunto, non sarà solo alle condizioni di Biden. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati