Si pensa che gli abitanti originari dell’isola giapponese di Hokkaido, gli indigeni ainu – una parola che significa “umano” nella loro lingua madre – si siano stabiliti in quella zona all’incirca nel dodicesimo secolo. Vivevano a stretto contatto con la natura e la musica era fondamentale per la loro cultura; avevano canzoni per lavorare, giocare, raccontare storie e perfino risolvere contrasti. Per gli ainu, fare musica era naturale come respirare. Nell’ottocento la loro pace fu interrotta improvvisamente dal colonialismo. Dopo la restaurazione Meiji, che riunì il Giappone sotto un unico imperatore, Hokkaido fu occupata e il popolo ainu fu cacciato dalle sue terre. Furono costretti a diventare cittadini giapponesi e l’uso della loro lingua fu bandito insieme alle loro pratiche culturali. Ma negli anni gli ainu si sono dimostrati resistenti, trasmettendo la loro cultura di generazione in generazione per via orale. Per cui oggi ci sono ancora artisti che portano avanti questa tradizione, facendola incontrare con la musica moderna. Uno di questi è Oki Kano, nato e cresciuto a Hokkaido e figlio del famoso scultore del legno Bikki Sunazawa. Dopo aver vissuto a New York alla fine degli anni ottanta, il musicista è tornato in Giappone e ha riscoperto il tonkori, uno strumento a corde simile a una cetra a lungo considerato un oggetto antiquato. In questi anni Oki Kano è diventato un ambasciatore della cultura ainu nel mondo.
Shy Thompson,
Bandcamp daily
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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati