Alejandro González Iñárritu torna in Messico per realizzare un’epopea autobiografica proiettata su un paesaggio onirico e magico-realistico personale, in cui finzione e realtà si trasformano l’una nell’altra in modi tecnicamente eleganti ma a tratti quasi insopportabili. Incredibilmente autoindulgente e compiaciuto – una specie di continuum tra Federico Fellini e Terrence Malick –, Bardo ruota intorno a Silverio (un elegantissimo Daniel Giménez Cacho), giornalista-documentarista messicano che ha avuto successo negli Stati Uniti, dove sta per ricevere un importantissimo premio (sospetto che Iñárritu abbia un’idea sbagliata dello status dei documentaristi rispetto ai registi). Ma Silverio vive una profonda crisi di mezza età, ed è immerso in un pozzo di memorie e ansie allucinatorie sulla famiglia, la carriera e il paese. Un film spettacolare, al punto che si può perdonare il suo narcisismo.
Peter Bradshaw, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 91. Compra questo numero | Abbonati